L’ex assessore ai domiciliari si difende: “Mai preso un euro, ho agito per il bene pubblico”. Ma le chat e i verbali parlano di conflitti noti, pareri pilotati e un sistema parallelo attorno alla Commissione Paesaggio.
(Foto: Giancarlo Tancredi ex assessore Urbanistica Comune di Milano).
“Forse avrei fatto meglio a non farlo”. È la frase chiave, pronunciata da Giancarlo Tancredi, davanti al gip Mattia Fiorentini. Una frase che pesa come un macigno sull’indagine che ha terremotato la macchina urbanistica del Comune di Milano, e che inchioda l’ex assessore a una presa d’atto tardiva ma rivelatrice. Tancredi non nega i rapporti con Giuseppe Marinoni, architetto di riferimento e già presidente della Commissione comunale per il paesaggio. Non nega nemmeno la “disponibilità a parlare” di alcuni dossier sensibili, come il progetto sui “Nodi e Porte metropolitane 2025”. Ma adesso, alla luce di carte, chat e intercettazioni, ammette: quel legame era “imbarazzante”. E forse anche qualcosa di più.
“Mai utilità personali, ho sempre agito per il Comune”
Nel verbale reso pubblico oggi e acquisito agli atti, Tancredi esordisce con una difesa netta: “Non mi riconosco in nessuno dei capi d’accusa. Ho sempre agito in buona fede, nel rispetto delle regole e nell’interesse pubblico. Non ho mai tratto vantaggi personali, né direttamente né indirettamente”. Una linea che ripete da settimane, anche dopo essere stato posto agli arresti domiciliari insieme allo stesso Marinoni, all’architetto Alessandro Scandurra e al manager immobiliare Manfredi Catella.
Il punto più critico riguarda il cosiddetto “snodo Marinoni”: un sistema parallelo che, secondo l’accusa, avrebbe permesso a pochi architetti di influenzare – se non orientare – l’approvazione di progetti strategici. Marinoni, a capo della Commissione che rilasciava i pareri sui piani urbanistici, era anche il firmatario del contestato studio “Nodi e Porte metropolitane”, ufficialmente patrocinato dal Comune, ma ritenuto dai pm un “piano regolatore ombra”. Una definizione pesantissima.
Le chat che inchiodano: “Sei in conflitto, fatti sostituire”
Ma c’è di più. Già nel giugno 2024, Tancredi sapeva. In una chat acquisita dai magistrati, l’assessore scriveva a Marinoni di non presentarsi a un incontro sul progetto Gallaratese: “Fatti accompagnare da qualcuno dello studio, non puoi partecipare perché sei in conflitto”. E ancora: “Se un membro della Commissione porta un progetto in aula e neanche si astiene, è gravissimo. Non l’ho detto, ma lo davo per scontato”.
Il tono è rassegnato, ma il messaggio chiaro: Tancredi era consapevole dei conflitti d’interesse, eppure ha lasciato che la macchina andasse avanti, anche con il patrocinio gratuito al piano firmato proprio da Marinoni. Oggi dice che forse sarebbe stato meglio non coinvolgerlo, ma lo ha fatto. E questo basta a renderlo centrale nella rete su cui indagano i pm.
Il cerchio attorno alla Commissione paesaggio
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, tutto ruotava attorno alla Commissione per il Paesaggio, composta da architetti e tecnici selezionati dal Comune. Tra loro anche Scandurra, ora ai domiciliari, progettista della discussa Torre Futura (ex Torre Calvino) e collaboratore di studi coinvolti nei progetti in esame. Tancredi sostiene di aver più volte ammonito i commissari: “Predicate bene e razzolate male. Così mettete in difficoltà voi e l’intera amministrazione”. Ma è stato sufficiente? Il gip scrive che non solo non è bastato, ma che l’assessore sapeva e non ha agito per interrompere il meccanismo.
Il regolamento della Commissione prevedeva infatti un obbligo di astensione nei casi di conflitto, e Tancredi – che ne aveva la supervisione – avrebbe potuto bloccare tutto. Invece, pur sollevando verbalmente dubbi e perplessità, ha lasciato correre.
Sala fuori dal giro? “Non fu lui a proporre Marinoni”
Nell’interrogatorio, Tancredi prova anche a tirare fuori dal fuoco il sindaco Giuseppe Sala, anch’egli indagato, ma finora ai margini dell’indagine. “Non fu lui a proporre Marinoni, fu una valutazione condivisa con gli uffici. Marinoni era un nome autorevole, con una grande conoscenza dell’architettura milanese”, ha dichiarato. Parole che, almeno per ora, sembrano allontanare Sala dal centro della vicenda, ma che potrebbero non bastare a salvarlo da un futuro rinvio a giudizio.
Il Riesame e la speranza di tornare libero
Nel frattempo, Tancredi ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame per ottenere la revoca dei domiciliari, come già fatto da Marinoni, Scandurra e Catella. La decisione è attesa per fine agosto, ma secondo fonti giudiziarie il quadro indiziario resta solido, anche in assenza di movimenti di denaro. Per il gip, infatti, non serviva la tangente: bastava il potere.
E il potere, per i pm, si esercitava attraverso consulenze incrociate, pareri addomesticati, studi paralleli e un sistema di relazioni informali tra chi progettava e chi doveva giudicare. Una prassi che ha finito per travolgere l’intero impianto regolatore del Comune.
Il prezzo della disinvoltura
Questa storia è una fotografia precisa di come può degenerare un sistema se la linea tra competenza e complicità diventa labile. Tancredi, architetto stimato e volto tecnico dell’urbanistica meneghina, oggi si trova a dover spiegare non ciò che ha preso, ma ciò che ha lasciato accadere. Le sue parole, “avrei fatto meglio a non farlo”, non suonano come confessione, ma come consapevolezza tardiva.
Eppure, nel silenzio istituzionale che avvolge Palazzo Marino, è proprio questa consapevolezza il nodo più politico di tutti. Perché non è solo un problema giudiziario, ma un dubbio che riguarda la trasparenza, la vigilanza e il rispetto delle regole in un settore – quello dell’urbanistica – dove il confine tra pubblico e privato è sempre più sottile.