Nei primi sei mesi del 2023 il mercato dell’auto è cresciuto del 23% ma, seppur di poco, è ancora sotto, in termini di volumi, rispetto al 2021 anno che, a sua volta, aveva scontato un buco enorme di immatricolazioni rispetto all’ultimo anno prima della pandemia. Ripresa che si può spiegare, oltre che con un fisiologico rimbalzo dopo un anno nero, anche con un lento ritorno alla normalità dal punto di vista produttivo e logistico che sta facendo diminuire i tempi di consegna delle auto nuove. In questo quadro, si inseriscono due variabili: il sostanziale fallimento degli incentivi destinati alle auto elettriche, con la mancata attuazione degli incentivi per le colonnine di ricarica per le auto private, e la riforma fiscale dell’auto che è in discussione in Parlamento nell’ambito del ddl Delega fiscale.
Intervista a Michele Crisci, Presidente dell’Associazione delle Case Automobilistiche
Presidente, il mercato si sta veramente lasciando alle spalle la grande crisi? Che cosa prevedete per la seconda parte dell’anno e, in prospettiva, anche per i prossimi anni?
Il mercato, rispetto al 2022, ha ricominciato a servire correttamente la clientela grazie al fatto che ormai la componentistica sta ricominciando a funzionare e circolare. Tutte le parti del globo stanno ricominciando a lavorare a tempo pieno e anche i paesi asiatici, che erano stati messi a dura prova dalla pandemia. Oggi, quindi, la situazione si sta definitivamente assestando: questo porta a dei segnali positivi ma che non ci devono distrarre più di tanto. Il 2022, infatti, è stato un anno particolarmente deficitario dal punto di vista delle forniture. Il primo semestre del 2023 segna un +23% di immatricolazioni e, per la seconda parte dell’anno, il trend è più o meno analogo: questo porterà a superare agevolmente 1milione e 400mila nuove immatricolazioni. Certo, siamo ancora distanti dalle quasi 2milioni di auto immatricolate del mercato pre-Covid, ma è anche vero che questi numeri difficilmente si rivedranno nell’immediato futuro. Piuttosto, sarà interessante capire quanto velocemente si svilupperanno le nuove tecnologie e mi riferisco, soprattutto, al processo di elettrificazione e all’ampio gap che l’Italia sarà in grado o meno di recuperare con il resto d’Europa. A riguardo, siamo ormai nell’ordine di 15 punti percentuali di differenza: solo il 4% delle nuove auto immatricolate in Italia sono elettriche contro un 20% di Germania, Francia e Regno Unito, per non parlare dei paesi del Nord Europa.
A questo proposito, fondi stanziati dallo dallo Stato per incentivare l’acquisto di auto a basse emissioni sono utilizzati con il contagocce. Dei 190milioni di euro destinati alle auto elettriche, dopo i primi 6 mesi dell’anno sono ancora disponibili più di 147milioni. Per quanto riguarda le plug-in (ovvero le auto con emissioni comprese tra 21 e 60 g/km) la situazione è addirittura peggiore: sono stati utilizzati solo una ventina dei 235milioni messi a disposizione dal governo. Perché accade questo?
L’Italia sta affrontando diversi ritardi nella politica di affiancamento verso il green: la Germania e la Francia, per esempio, sono partite 15/20 anni fa nell’incentivare queste nuove tecnologie, abituando il pubblico a tali strumenti molto prima di noi. L’Italia ha iniziato a incentivare l’acquisto di auto elettriche e ibride solamente da 3/4 anni. Inoltre, il nostro paese gode di un sistema incentivante che non sta funzionando: mi riferisco in particolar modo all’imposizione di una soglia al prezzo di acquisto di queste vetture (purché il prezzo di listino non superi i 35mila euro Iva esclusa), cercando quindi di proteggere le classi meno abbienti. Ma ciò, in realtà, non permette di coinvolgere né le classi più svantaggiate (che non acquisterebbero comunque un’auto elettrica) né le classi che potrebbero permettersi una macchina elettrica, ma che non ricorrono agli incentivi perché non possono accedervi.
Senza contare che, all’inizio, gli incentivi erano destinati solo ai privati, quando sappiamo benissimo che sono le aziende a ricorrere più massicciamente all’acquisto di queste nuove tecnologie, non ultimo in quanto hanno la possibilità di ricaricare le macchine all’interno delle proprie strutture, facilitando in questo modo i dipendenti all’utilizzo di queste vetture.
Oggi anche le aziende vengono comprese negli incentivi, ma con fondi che rappresentano la metà rispetto a quanto destinato ai privati.
L’ultimo fattore riguarda una grossa mancanza dal punto di vista fiscale: i paesi citati in precedenza hanno operato in maniera precisa per rinnovare il parco auto. Le auto aziendali in Italia, per esempio, possono detrarre l’Iva fino al 40%: in merito, abbiamo chiesto al governo di essere al passo con gli altri paesi europei e di detrarre l’Iva al 100% sulle vetture elettriche e l’80% sulle auto plug-in. L’Italia, anche in questo caso, è partita con incentivi non corretti e che non aiutano un’accelerata di questa transizione.
Lei ha appena accennato ai i motivi per i quali i fondi stanziati dallo stato non vengono utilizzati. Qui c’è un’aggravante: l’iniziativa del 2023 ricalca esattamente l’analoga iniziativa, del 2022. Con la legge di bilancio per quest’anno, infatti, il nuovo governo ha ritenuto di non cambiare un’impostazione che si era già dimostrata ampiamente insufficiente, condannandola di fatto al secondo fallimento consecutivo. Lei crede che si sia trattato di una distrazione oppure esiste una volontà politica precisa di non cambiare il quadro attuale?
Il governo Draghi aveva molti ministri che fanno parte oggi dell’attuale governo. Quindi, c’è una certa linearità nel mantenere determinate scelte. È evidente che questi incentivi non stanno funzionando: inserire una soglia per accedere a delle agevolazioni non vuol dire favorire chi è al di sotto di quella soglia, ma significa escludere chi sta al di sopra. Noi stiamo parlando tantissimo con l’attuale governo e abbiamo più volte ribadito la nostra posizione: la protezione dell’industria Italia non passa attraverso il protezionismo, ma attraverso un aumento della produzione legata alle nuove tecnologie e non alle vecchie. Questa riconversione industriale deve essere accompagnata a livello di competenze e si tratta anche di ricalibrare gli incentivi per fare in modo che il tiraggio del mercato porti la voglia di investire da parte del settore. Speriamo che questo sia davvero l’anno zero per poter partire con grande velocità verso questa transizione ambientale. Non è solo un dovere di tutti, ma anche una grande opportunità: il rischio, altrimenti, è diventare un mercato irrilevante.
Il Sottosegretario Massimo Bitonci e il Ministro dei Made in Italy Adolfo Urso lo hanno affermato in diverse occasioni pubbliche: il governo sta valutando di reintrodurre un contributo statale per le auto termiche con emissioni comprese tra 61 e 135 g/km. Si è addirittura ventilata l’ipotesi di reintrodurre incentivi sull’acquisto di auto usate Euro 6 vincolati alla rottamazione. Che cosa pensa delle ipotesi di modulare gli incentivi in questa direzione invece di eliminare le cause che hanno determinato il fallimento?
Se il governo pensa davvero di inserire nuovamente dei contributi per premiare le auto comprese tra 61 e 135g/km darebbe un bruttissimo segnale al pubblico e all’Europa. Non si può continuare a premiare tecnologie vecchie. Il parco circolante italiano è il più cospicuo e più vecchio d’Europa e gran parte di queste auto vanno sostituite. È evidente che l’ipotesi di rintrodurre incentivi per l’acquisto di macchine usate Euro 6 deve essere solo una piccola parte della strategia: l’altra parte fondamentale, dal punto di vista economico e per il futuro, è agevolare le nuove tecnologie. Questo deve accadere, non solo per dare una risposta a chi ha scelto di produrre auto elettriche, ma anche per il futuro delle nostre industrie. Le opportunità che ci sta fornendo la transizione vanno abbracciate pienamente.
Sempre a proposito di incentivi e auto elettriche: la diffusione delle Bev è determinata anche della possibilità di ricarica. L’anno scorso il governo aveva messo a disposizione 40 milioni di euro destinati ai privati che avessero voluto installare infrastrutture di ricarica. Con la legge di bilancio 2023, il governo Meloni ha stanziato risorse sia per il 2023 che per il 2024 ma, incredibilmente, oggi dopo 6 mesi manca ancora un decreto attuativo che permetta di spendere questi fondi. Viene il sospetto che la transizione non sia propriamente in cima ai pensieri dell’attuale governo...?
Riguardo alle colonnine di ricarica occorre fare chiarezza: esistono quasi 40mila punti in Italia tramite i quali è possibile ricaricare le auto elettriche, il problema è che la rete viaria italiana è la più lunga d’Europa. In Italia, ogni 100 km, ci sono circa 4 impianti contro i 9 della Germania. Siamo molto distanti, quindi, non solo dalla Germania ma anche da Francia e Regno Unito. Il secondo aspetto riguarda la potenza di questi impianti: solo il 4% delle stazioni di ricarica presenti in Italia raggiunge i 150 kw di potenza (ovvero la potenza necessaria per ricaricare la macchina in poco più di 20 minuti). Un altro fattore riguarda la presenza non omogenea delle stazioni sulle nostre strade, autostrade e superstrade: in alcuni autogrill, ad esempio, sono presenti 4/5 stazioni di ricarica per poi non trovare più nulla nei successivi 300/400 km. A questo proposito ci vorrebbe un piano geograficamente coordinato di distribuzione degli impianti di ricarica, in modo tale che chi deve viaggiare sulle autostrade possa sapere che è possibile trovare delle stazioni.
Per quanto riguarda, invece, gli impianti casalinghi, mi stupisce la mancanza di strumenti fiscali (come il superbonus 110% per cambiare infissi e lavori vari) per piantare un impianto di ricarica casalingo. Il buon segnale che registriamo, invece, riguarda una serie di bandi, andati a buon fine, per le installazioni di impianti di ricarica comunali extra-autostrade. Si tratta, in totale, di circa un migliaio di punti di ricarica e questo è sicuramente un segnale positivo. L’Italia può contare su grandi aziende che lavorano come provider dell’energia elettrica e il mio sogno è vedere sulle nostre autostrade distributori di ricarica elettrica come esistono per diesel e benzina.
In Parlamento è in discussione il ddl delega fiscale: se ne è parlato soprattutto per l’ipotesi dell’abolizione del superbollo per le auto che hanno meno di 20 anni e più di 185kw di potenza. Si parla anche dell’ipotesi che questo strumento potente messo a disposizione del governo possa essere utilizzato per realizzare una revisione complessiva della fiscalità delle auto, dalla tassa automobilistica alla detraibilità dell’Iva sulle auto aziendali. Ci sono novità su questo fronte? C’è davvero la possibilità di una riforma fiscale che vada in questa direzione?
Abbiamo incontrato più volte i Ministri Matteo Salvini e Maurizio Leo su questo tema, spiegando loro il nostro punto di vista di come dovrebbe essere strutturata la riforma fiscale. Sarebbe ideale avere una detrazione del 100% dell’Iva per le auto elettriche e dell’80% per le plug-in, perché darebbe un grande respiro alle aziende: l’adozione di nuove tecnologie deve partire proprio dalle aziende, ovvero da coloro che hanno la possibilità e l’intenzione di utilizzare questi strumenti. Fornire la possibilità a chi non ha intenzione di usufruire di queste nuove tecnologie è solo un’offerta socialmente inutile che non ha molto senso. Durante il corso dell’anno, mediamente il 60% delle vetture che circola sulle nostre autostrade è aziendale: quando si parla, quindi, di emissioni e CO2, dobbiamo entrare nell’ottica che si tratta di un concetto che riguarda principalmente auto aziendali. Proprio per questo motivo, una fiscalità che possa agevolare l’acquisto o il noleggio di nuove macchine porterebbe immediatamente non solo a un aumento di vetture elettriche, ma anche a un beneficio in termini di emissioni. Il fatto che gli incentivi stiano fallendo non porta solo a una obbligata idea di provare a revisionarli, ma comporta anche degli effetti collaterali come l’innalzamento di CO2.