UNRAE, Cardinali: "La transizione all’auto elettrica si può fare"

- di: Andrea Colucci
 
Italia Informa ha intervistato in esclusiva l’ingegner Andrea Cardinali, Direttore Generale di UNRAE, l’associazione che riunisce in Italia i produttori di autoveicoli esteri. Con lui abbiamo parlato di mercato: dei dati 2022 e delle previsioni per il 2023 che si sta per chiudere. Molto interessante il suo punto di vista sulla transizione all’elettrico e sulle ragioni per cui l’Italia è tra i Paesi europei più indietro rispetto alle immatricolazioni di auto elettriche. Questo e molto altro nell’intervista che fa il punto su tutto il 2023 e guarda all’anno nuovo.

UNRAE, Cardinali: "La transizione all’auto elettrica si può fare"

Ingegner Cardinali, siamo alla fine dell’anno e tipicamente alla fine dell’anno si fanno un po’ i conti. Il mercato italiano dell’auto chiuderà il 2023 attorno a 1,6 milioni di immatricolazioni, con una crescita a doppia cifra, rispetto al 2022, che ha superato anche le previsioni più ottimistiche. Che cosa si prevede per il 2024? Secondo lei, qual è la reale dimensione del mercato italiano? Prima del Covid si parlava di una dimensione da 1,9 milioni di auto nuove all’anno…

Come dice lei, i conti si fanno alla fine, ma manca ancora quasi un mese. Normalmente alcune dinamiche si vedono proprio sul filo di lana di fine anno. I mesi estivi e quelli immediatamente successivi hanno visto un fermento particolare che un po’ ha sorpreso anche noi. C’è stata una crescita superiore alle attese: il terzo trimestre è stato superiore a quanto avevamo previsto tanto che abbiamo rialzato le nostre previsioni da un milione e mezzo a un milione e 570mila. È probabile che si raggiunga il milione e 600 mila.

Qual è la vera dimensione del mercato italiano? Questa è una bella domanda, perché prima del Covid avevamo più di un milione e novecentomila [immatricolazioni ndr] Prima di Lehman Brothers ne avevamo due milioni e mezzo. Nel frattempo, abbiamo visto un riassestamento di tutto quello che ruota intorno a questi numeri, cioè sostanzialmente le reti di vendita e assistenza si sono dovute adeguare a questo mezzo milione di unità in meno e con il Covid abbiamo dovuto fronteggiare una crisi che, se ricordate, ci ha portato a un milione e 300mila. Quindi diciamo che tornare a un milione e 900mila sarebbe il nostro naturale obiettivo. Ci torneremo? Le nostre previsioni in realtà dicono un milione e 800mila per i prossimi anni, non per il prossimo anno.

Per il prossimo anno prevediamo una leggera crescita rispetto al milione e 600mila del 2023, ma non un ritorno immediato al milione e 800mila. Lo definiamo mercato, ma in realtà parliamo di ritorno a una normalizzazione delle forniture, non è tanto la domanda che stiamo fotografando. Cioè, il numero di immatricolazioni non dà il polso della domanda perché sapete benissimo che abbiamo sofferto per due anni una crisi mondiale, qui non parliamo di mercato Italia, parliamo di catene di fornitura globali dove si è interrotto tutto. Prima con il Covid poi con la crisi dei chip che ha interessato non soltanto l’automotive, ma tante industrie che fanno affidamento sui chip che si sono sostanzialmente bloccati a ridosso del Covid per tanti motivi; la guerra in Ucraina, che abbiamo scoperto forniva l’80-90% dei cablaggi per tutte le fabbriche in Europa. Quindi sostanzialmente questa ripresa del mercato in realtà non è altro che una normalizzazione delle forniture a monte delle fabbriche e della logistica a valle che ancora un pochino soffre perché non è cosa particolarmente nota, ma la logistica soffre una carenza spaventosa di autisti, tanto per dire una cosa che magari l’uomo della strada non conosce, e quindi in realtà non c’è un’esplosione della domanda e comunque siamo sempre 17% sotto, nonostante un 20% di crescita rispetto all’anno scorso, 17% sotto il 2019, quindi è una situazione ancora, come dire, di ripresa ma lontana da quella che riteniamo ancora la normalità o quanto meno speriamo sia la normalità.

Parliamo di transizione ecologica. Dopo il flop 2022, anche nel 2023 i fondi stanziati dallo Stato per incentivare la transizione ecologica avanzeranno. In due anni sono circa 600 milioni di euro che, peraltro, lo Stato, per il momento, ha deciso di trattenere per sé. Che cosa non ha funzionato? E che cosa bisognerebbe cambiare nell’architettura degli incentivi attuali per raggiungere gli obiettivi che si era posto il governo Draghi quasi due anni fa? C’è una possibilità che questo accada nel 2024?

Per quanto riguarda gli incentivi la risposta è molto netta: da parte nostra c’è stata una critica severissima sin dall’inizio, cioè questo nuovo schema, 2022-23-24, sembra quasi fatto apposta per non spendere questi fondi. Sono stati introdotti dei correttivi rispetto allo schema precedente che era il 2019-20-21 che in realtà non sono dei correttivi, sono dei bug, sono tre modifiche che hanno completamente azzoppato il sistema degli incentivi, lo hanno soffocato nella culla. Ricordiamo che l’Italia è stata l’ultima a introdurre gli incentivi all’elettrico rispetto ai grandi mercati, cioè se parliamo di Germania, Francia, UK, Spagna, avevano degli schemi-incentivi in vigore da 7, 12, 13, 14 anni. Noi abbiamo iniziato alla fine del 2019 con 50 milioni, quindi non lo contiamo neanche, sostanzialmente abbiamo iniziato nel 2020, quindi neanche 4 anni fa. Dopo due anni, in cui hanno funzionato perché non è avanzato neanche un centesimo, li abbiamo stravolti, cioè, abbiamo escluso le aziende e abbiamo defalcato il tetto di listino delle vetture incentivabili portandolo per quanto riguarda gli elettrici puri da 50 mila a 35 mila euro, che vuol dire aver dimezzato letteralmente, precisamente il numero dei modelli incentivabili. Per altro non è soltanto una questione di numero, ma per loro natura i modelli che rientrano al di sotto di quella soglia di prezzo, sono modelli che in buona parte non dispongono della possibilità della ricarica super veloce, che è una contraddizione perché oggi la possibilità di ricaricare in maniera super veloce, anche nella psicologia dell’automobilista, è un requisito molto importante perché oggi l’automobilista italiano forse più di altri anche perché  più pigro, è abituato ad avere una rete di distribuzione dei carburanti ipercapillare, fa benzina sotto casa, diciamo ha delle caratteristiche un po’ particolari, quindi ad oggi sostanzialmente l’elettrico è ancora un po’ ghettizzato in area urbana; quella elettrica è ancora spessissimo la seconda se non addirittura la terza auto di famiglia. L’esclusione delle aziende è stata un errore marchiano perché le aziende dovrebbero essere il motore della transizione ecologica per una serie di motivi, innanzitutto perché hanno un ciclo di sostituzione delle vetture che è molto più accelerato rispetto al privato, parliamo di 3-4 anni, contro 8-9, 10 anni per le famiglie e poi hanno la possibilità di infrastrutturarsi in autonomia, cosa che un privato spesso non ha, specialmente se vive in condominio, e hanno anche un effetto estremamente positivo nell’indotto. Mi spiego. L’auto che viene sostituita dopo 3-4 anni è un usato fresco che viene reimmesso sul mercato ad un prezzo molto più accessibile a quelle fasce sociali che oggi non si potrebbero permettere l’elettrico nuovo; quindi, avrebbe un effetto volano rendendo l’elettrico accessibile senza bisogno di incentivi; quindi lo stesso Stato ci guadagnerebbe due volte. Questa esclusione delle aziende, a suo tempo, fu motivata con un’argomentazione veramente inspiegabile, cioè “tanto le aziende comprano l’elettrico comunque”, argomentazione mai dimostrata. Peraltro, i dati di Invitalia non sono mai stati resi disponibili su quanti incentivi siano andati alle aziende e quanti ai privati, una mancanza di trasparenza incomprensibile. Sono stati poi reintrodotti su nostra reiterata pressione esclusivamente per le aziende di noleggio, quindi escludendo gli acquisti diretti e escludendo i leasing con bonus dimezzati. Quindi ho sintetizzato: sostanzialmente non si volevano spendere questi fondi e il risultato è stato raggiunto. Sono avanzati 300 milioni l’anno scorso, 300 quest'anno perché l'anno ormai è quasi finito e le prenotazioni dimostrano che effettivamente avremo un tesoretto a fine anno di 600 milioni, non sappiamo ad oggi cosa ne verrà fatto, sappiamo praticamente per certo che non ci sono i tempi tecnici per modificare nulla entro il primo gennaio; quindi, con l’inizio del 2024 ripartirà lo stesso schema degli anni passati. Noi ci auguriamo, perché veramente come un disco rotto stiamo ripetendo le stesse richieste da due anni, che si vada a modificare questo schema, che venga fatto il primo possibile e che le modifiche vadano nella direzione da noi auspicata.

L’Italia è in fondo a quasi tutte le classifiche europee sulle auto elettriche pure. E non solo in termini di quote di mercato. In termini di volumi, l’Italia, quarto mercato europeo per immatricolazioni, galleggia ormai tra l’ottavo e il nono posto giocandosela con paesi minori come Austria, Danimarca e Belgio. Ormai l’Italia sta diventando un mercato di nicchia per le Case che producono BEV. Perché gli italiani, al contrario degli altri europei, non comprano auto elettriche?

Credo che ci sia un intreccio perverso di varie motivazioni, non possiamo addossare interamente la colpa agli incentivi, perché anche quando funzionavano, eravamo comunque il fanalino di coda. Per altro aggiungo che non siamo indietro rispetto al Belgio e alla Danimarca soltanto, siamo indietro anche rispetto al Portogallo e alla Romania, quindi un quadro veramente desolante. E le ragioni sono tante. La spiegazione che sento più spesso addurre dalla politica, in generale, è la questione del reddito pro capite italiano: essendo cosa nota che ad oggi un veicolo elettrico soffre di un price-gap rispetto a analogo segmento a combustione interna, l’italiano medio non si può permettere di [comprare un veicolo elettrico ndr]. Con un incentivo adeguato questo price-gap ovviamente si riduce e quindi la propensione all’acquisto verrebbe guidata in maniera opportuna. Gli incentivi all’estero sono anche molto più corposi di quelli italiani, ma questo è solo un elemento. C’è un tema infrastrutturale: la dotazione di punti di ricarica in Italia sta crescendo, non sarebbe onesto negarlo, sta crescendo con una velocità notevole in questo ultimo anno, però intanto serve tempo affinché questa crescita venga assimilata nell’immaginario collettivo, non è che il giorno dopo aver visto una colonnina sotto casa, io corro in concessionaria a comprare un’auto elettrica, questa cosa va metabolizzata. Apro e chiudo parentesi: i numeri che circolano sono numeri lordi perché c’è una percentuale purtroppo a doppia cifra di colonnine che sono installate ma non attivate. E poi c’è un’altra percentuale di colonnine che sono state attivate ma sono obsolete o guaste quindi in realtà i numeri netti sono più bassi. Ma anche le infrastrutture non spiegano tutto. C’è un tema culturale. C’è una resistenza da parte dell’italiano che forse è più elevata rispetto a quella di un olandese, di un norvegese. Però gli italiani non è che siano poi così nemici delle nuove tecnologie, perché in altri campi, penso alla telefonia, hanno dimostrato di essere molto avanti, non sono così paleolitici come li vogliono far passare. C’è molta confusione, anche nell’informazione e c’è molta confusione da parte della politica. C’è stata una serie di andirivieni e di informazioni contrastanti sull'elettrica. Ci sono tantissime fake news, l’altro ieri è uscita la notizia che su Facebook siamo il Paese dove è stato rimosso il maggior numero di contenuti nel mondo in quanto falsi. Questo forse una qualche correlazione ce l’ha... Io se fossi un consumatore diciamo digiuno di nozioni specifiche sarei molto incerto.

L’Italia ha il parco circolante più vecchio d’Europa. L’età media delle auto supera i 12 anni e continua ad aumentare. Perché gli italiani non cambiano macchina nonostante quelle di oggi, anche quelle con motore termico, siano estremamente più sicure ed ecologiche rispetto a quelle immatricolate anche solo 7-8 anni fa. Non è che gli italiani sono più affezionati alle loro auto?

Oddio, non ne farei neanche una questione di affezione. Da tutti i sondaggi emerge in maniera inequivocabile che l’Italiano è affezionato all’auto nel senso che non rinuncerebbe all’auto, non necessariamente a quella che sta guidando in quel momento. L’84% dichiara che l’automobile è il mezzo di trasporto più comodo in assoluto e una percentuale altrettanto elevata dichiara che non rinuncerebbe mai a quella in uso esclusivo, magari non di proprietà, ma comunque in uso esclusivo. Questo perché notoriamente le alternative sono scarse, scomode, inadeguate. Il fatto che tenga la stessa auto e la faccia invecchiare in questa maniera è ovviamente legato al fatto che il volume del mercato del nuovo rispetto al circolante è troppo basso. Noi siamo un paese ad altissimo tasso di motorizzazione, quasi il numero uno in Europa, circa 650 vetture ogni 1000 abitanti, ma una dimensione di mercato a 1,5 milioni rapportata al circolante che sono quasi 40 milioni, vuol dire un ciclo di sostituzione di 26-27 anni e quindi ne consegue un’età media di 12 anni e mezzo. E questo è drammatico dal punto di vista dell’impatto ambientale e della sicurezza stradale. Motivi? Sicuramente l’erosione del potere da acquisto degli italiani: il tema reddito esiste, sarebbe sciocco negarlo. Io ho visto un confronto tra il reddito medio di tutti quanti i paesi europei, confronto 1990 e 2020, è una cosa impressionante. L’Italia è l’unico Paese con una variazione negativa, meno 2,9%, gli altri paesi viaggiano con incrementi a doppia e addirittura a tripla cifra, quindi il problema c’è.

Rimaniamo comunque un paese non povero. Questi ultimi anni hanno visto anche un’esplosione dell’inflazione che, per quanto adesso stia calando velocemente è un dato acquisito, le dinamiche salariali non l’hanno accompagnata; quindi, l’erosione del potere di acquisto rimane il dato fondamentale. Ci sono però nuove formule anche per acquisire un’autovettura che non esistevano, esiste il noleggio, esiste la subscription, esistono modalità che non richiedono un esborso massiccio quindi, in realtà si potrebbe sostituire l’auto, ma c’è un’incertezza che deriva dai messaggi contrastanti, dalle fake news: sull’elettrico io ho sentito cose inimmaginabili, del genere che prendono fuoco come delle scatole di fiammiferi. Per esempio, sul drammatico incidente dell’autobus, riconducibile all’assenza di un tratto di guardrail, la prima cosa che è stata detta è che "era elettrico". Ecco, l’uomo della strada, quando sente queste cose, chiaramente nel subconscio qualche cosa poi gli rimane. Guardi, veramente sull’elettrico c’è tutta una narrativa sul suo impatto ambientale che non è vera, sulla sua autonomia che non è vera, anche le miniere di cobalto dove vengono sfruttati i bambini. Il cobalto in realtà non viene estratto in miniere ad hoc ma è un prodotto collaterale di miniere di rame, che esistono da sempre e delle quali nessuno si è mai preoccupato, finché non è spuntata fuori l’auto elettrica, le batterie vengono prodotte per altre centinaia di oggetti, nessuno se ne è mai occupato, c’è anche chi ha paura di rimanere fulminato. Guardi veramente, ci si potrebbe scrivere un’enciclopedia, e questo non credo sia casuale, purtroppo credo che ci sia proprio una campagna in qualche modo mirata.

Il governo sta lavorando all’attuazione della delega fiscale, approvata lo scorso agosto. C’è la possibilità di riformare efficacemente la fiscalità sull’auto, dalla tassa automobilistica alla detraibilità dell’Iva, dalla deducibilità dei costi all’ammortamento per le auto aziendali? Oppure, com’è accaduto negli ultimi anni, si dirà che non ci sono i soldi e le imprese e cittadini italiani continueranno a pagare di più rispetto ai colleghi europei contribuendo a deprimere le potenzialità del mercato?

L’Italia è in deroga rispetto a regime comunitario dell’Iva da 30 forse quasi 40 anni perché il regime comunitario provvede la detraibilità totale dell’Iva e noi siamo in deroga con il 40% di detraibilità, una deroga che viene rinnovata periodicamente; quindi, su questo noi dell’associazione l’abbiamo sempre chiesta e mai ottenuta. Adesso la proposta di UNRAE ma non solo, anche di tante altre associazioni, è quella di una detraibilità maggiorata ma in chiave green, quindi 100% per le auto a zero emissioni, 80% per le auto a bassissime emissioni e un aumento a 50% per le auto a basse emissioni. Ma c’è il tema della deducibilità, che ha un tetto in valore assoluto che è un valore in lire convertito in euro, e già questo dovrebbe dare l’idea del suo anacronismo, una percentuale che è limitatissima rispetto al 100% che c’è negli altri mercati e dei tempi di ammortamento che sono molto più lunghi di quelli di altri mercati, il che rende le aziende che usano le auto, di qualunque settore merceologico, meno competitive rispetto alle loro concorrenti di qualunque altro Paese. Quindi questa cosa dovrebbe stare a cuore, diciamo, a chi si occupa di industria a 360 gradi, non a chi si occupa di auto. Ci sono stati due emendamenti in tal senso che recepivano queste istanze, sono stati ritirati con la promessa appunto di recepirli nei decreti legislativi a fronte della legge delega. Noi siamo qui, con le dita incrociate perché chiaramente la delega fiscale è a 360 gradi, dentro c’è l’IRPEF, c’è l’IRES, ci sono tante cose e la coperta è quella. Il problema di provvedimenti di questo genere è che non hanno un costo certo: mentre per gli incentivi io stanzio un budget di 100 milioni e quando arrivo a 99 mln e 999, so che ho finito. Questi sono provvedimenti che richiamano a qualcuno, che forse si è scottato di recente con il super bonus, quel tipo di esperienza, no? Ipoteticamente dovesse esplodere il mercato dell’auto elettrica potrebbero andare fuori controllo. Questi provvedimenti però avrebbero un effetto positivo sul mercato e quindi anche sul gettito fiscale di tutte le altre voci, però purtroppo la ragioneria generale dello Stato non ammette in fase di budget di riflettere quello che chiamano l’effetto di retroazione; quindi, il costo viene necessariamente riflesso nel budget, la retroazione solo a consuntivo. Nel frattempo lo Stato incassa l’extragettito sui carburanti.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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