Per la concorrenza straniera, regole quali rivoluzione green, digitalizzazione, burocratizzazione dei controlli di sistema che poco o niente hanno in comune con le nostre caratteristiche produttive e distributive, rappresentano scappatoie tali da diventare una sorta di regalo a quei paesi che copiano il made in Italy come Cina, India, Indonesia e Vietnam, con i quali si stenta a condividere valori come l’equità sociale, la giusta remunerazione del lavoro: lo afferma un documento di Unimpresa secondo cui la transizione verde è ormai uno strumento nelle mani delle multinazionali, mentre per le microproduzioni è diventata un maglio dai costi insostenibili.
Unimpresa Moda: "Regole green e burocrazia un regalo a chi copia il Made in Italy"
Per tutelare le produzioni italiane nel mercato internazionale, spiega Unimpresa, occorre attuare politiche accorte nei confronti dei paesi più aggressivi, quali Cina, India e Turchia ed è necessario adempiere agli impegni di sostegno alle economie emergenti e a noi complementari. L’Italia deve chiedersi se riuscirà ad imporre un cambio culturale alle “nazioni colosso” che vantano storie millenarie solo perché da noi i concetti dei diritti d’autore, dei brevetti e della contraffazione sono diventati, da qualche anno, uno strumento di protezione per la nostra produzione.
“Facciamo i conti: cosa è rimasto, in Italia, dopo i raid dei miliardari francesi? Gli esecutori e un esercito di commercianti conto terzi prestati alla finanziarizzazione. A Milano i creativi non arrivano più, soprattutto quelli giovani, in Puglia lavorano per i miliardari della moda francesi come Arnaud. Questi imprenditori cosa ricevono dalle istituzioni? Come si potrebbe alleviare le loro difficoltà? A queste domande non ci sono risposte, ma in generale c’è una strana fiducia nell’aumento dei controlli di ulteriori regole da commercialisti di cui non si capisce l’utilità e si percepisce, invece, l’inefficacia”, commenta la presidente di Unimpresa Moda, Margherita de Cles.
Unimpresa lo scorso 6 agosto ha partecipato al quinto incontro al Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Alla riunione hanno preso parte il ministro Adolfo Urso, il viceministro Valentino Valentini, il capo di Gabinetto Federico Eichberg e il vicecapo di gabinetto Elena Lorenzini. Durante la riunione, è emerso che le aziende fanno fatica a ripagare i prestiti post Covid e sono in una situazione di grande difficoltà e instabilità finanziaria, poiché è venuta a mancare la liquidità per pagare i debiti. Gli strumenti finanziari d’emergenza proposti dal governo non sono riusciti ad alleviare i debiti, maturati durante la pandemia. Di conseguenza, la catena produttiva soffre, distruggendo relazioni imprenditoriali costruite in decenni e con un impatto negativo su chi lavora e sull’occupazione in generale, tanto che in numerosi distretti tessili si ricorre ancora alla cassa di integrazione nelle sue varie forme: “Al ministro, il 6 agosto, assieme ad altri rappresentanti del settore, ho chiesto di prestare attenzione al riconoscimento e al salvataggio delle valenze specifiche del nostro mondo, gli artigiani, l’inserimento nei giovani, creativi - continua de Cles -.Visto che il mercato è riuscito a piegare contro indifferentemente lo stato sociale, le politiche del lavoro, i regolamenti europei, la green economy, la globalizzazione e finanche la grande finanza. Non è il caso di cambiare rotta? Non andrebbe alleggerito tutto il settore della creatività e del Made in Italy di tutti questi orpelli che portano a continui adempimenti che rubano a un artigiano più di 30 giorni all’anno per essere portati con certezza della loro effettiva efficacia? Il Made in Italy merita una semplificazione che lasci la parte migliore della nostra struttura imprenditoriale libera di produrre, promuovere e realizzare con il minimo della perdita di energia. Il Ministero delle Imprese potrebbe così concentrarsi sulla valorizzazione ideale e la promozione delle piccole e grandi eccellenze che nasceranno e si svilupperanno da questo processo di svincolo e liberalizzazione”.