Le Tre Cime e il dilemma del turismo: tra conservazione e affari

- di: Giulia Caiola
 

Ci sono luoghi che diventano cartoline perfette, scenari da social network, sfondi di una bellezza quasi irraggiungibile. Poi, ci sono i turisti, che quelle cartoline le vogliono vivere, toccare, immortalare. Le Tre Cime di Lavaredo appartengono al primo gruppo, ma soffrono il secondo. Ogni estate, migliaia di automobili si inerpicano lungo i tornanti del rifugio Auronzo, con i motori che rombano tra le pareti dolomitiche, i gas di scarico che si mischiano all’aria sottile e la polvere che si solleva al passaggio di fuoristrada e camper. Una montagna che dovrebbe offrire silenzio e respiro si trasforma in un crocevia di traffico, biglietti d’ingresso e polemiche.

Le Tre Cime e il dilemma del turismo: tra conservazione e affari

L’idea non è nuova, ma adesso sembra trovare una nuova sponda politica: una cabinovia che porti i turisti in quota senza intasare le strade. Un’infrastruttura che riduca l’impatto del turismo su gomma, convogliando i visitatori su un percorso più sostenibile, meno invasivo, più in linea con i criteri di tutela ambientale. L’iniziativa coinvolge i comuni di Auronzo di Cadore (Belluno) e Sesto (Bolzano), che condividono la gestione delle Tre Cime.

L’obiettivo dichiarato è chiaro: meno auto, meno inquinamento, più rispetto per un ecosistema fragile. Tuttavia, l’idea non piace a tutti. Per alcuni, si tratta dell’ennesima opera di cementificazione mascherata da sostenibilità, una scusa per costruire ancora, per portare più persone senza risolvere il problema alla radice: l’overtourism.

Un'icona in sofferenza

Le Tre Cime di Lavaredo non sono solo montagne. Sono un simbolo. Il loro profilo è impresso nelle memorie di chiunque abbia sfogliato un libro sulle Dolomiti o guardato un documentario sulla bellezza alpina. Sono il palcoscenico di tramonti che incendiano la roccia, di silenzi interrotti solo dal vento, di alpinisti che misurano se stessi contro le pareti verticali.

Ma sono anche un’attrazione da milioni di euro. Il pedaggio per salire in auto fino al rifugio Auronzo è una fonte di entrate importante per i comuni e per il Parco Naturale delle Dolomiti di Sesto. Una macchina ben oliata, dove ogni estate transitano migliaia di veicoli, portando con sé escursionisti, famiglie, influencer alla ricerca dello scatto perfetto. La montagna si piega alle esigenze del turismo, con parcheggi sempre pieni e sentieri trasformati in autostrade pedonali.

Limitare o accogliere

Il dibattito è acceso. Da una parte, ci sono gli amministratori locali, divisi tra la necessità di preservare il territorio e la tentazione di capitalizzare su un brand naturale che attira sempre più visitatori. Dall’altra, ambientalisti e alpinisti chiedono misure più drastiche: limitare gli accessi, imporre un numero chiuso, ripensare il turismo in chiave più autentica e meno commerciale.

Alcuni suggeriscono di vietare del tutto le auto private, lasciando spazio solo a mezzi pubblici elettrici. Altri temono che ogni limitazione si traduca in un’ulteriore esclusione economica, con i costi del trasporto che lieviterebbero, rendendo la montagna accessibile solo a chi può permetterselo.

Il precedente delle Dolomiti

Non sarebbe la prima volta che le Dolomiti affrontano un problema simile. Il Passo Sella, nel cuore del gruppo dolomitico, è stato oggetto di un esperimento di limitazione del traffico, con giorni dedicati solo ai mezzi pubblici e alle biciclette. Anche in quel caso, il dibattito è stato feroce: tutela dell’ambiente o sacrificio economico?

Nel frattempo, le Tre Cime continuano a essere meta di un pellegrinaggio incessante. Le macchine salgono, i turisti scattano foto, il rifugio Auronzo riempie i suoi tavoli. Il rischio è che, come spesso accade, la montagna resti solo uno sfondo, un’icona da consumare. La vera sfida, forse, non è solo limitare il traffico, ma ripensare il nostro modo di abitare la natura.

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