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Spyware e scalata Mps: c’è un doppio mistero

- di: Jole Rosati
 
Spyware e scalata Mps: c’è un doppio mistero

Un imprenditore al centro del risiko bancario, due sistemi di intercettazione che lo riguardano, un’operazione da decine di miliardi su Mps, Mediobanca e Generali, e sullo sfondo casse di previdenza vigilate dallo Stato che comprano azioni in modo giudicato anomalo dalla Guardia di Finanza. Il nome è quello di Francesco Gaetano Caltagirone, ma l’intreccio tocca il cuore della finanza e della sicurezza nazionale.

Un’indagine che pesa sul risiko bancario

La Procura di Milano indaga sulla scalata di Monte dei Paschi di Siena (Mps) a Mediobanca, conclusa a settembre 2025 con l’adesione alla pubblica offerta oltre l’86 per cento del capitale dell’istituto di Piazzetta Cuccia. Al centro del fascicolo ci sono le ipotesi di aggiotaggio e di ostacolo all’attività delle Autorità di vigilanza, con indagati l’amministratore delegato di Mps Luigi Lovaglio, l’imprenditore Caltagirone e Francesco Milleri, presidente di Delfin, la cassaforte degli eredi di Leonardo Del Vecchio.

Secondo i magistrati milanesi, Mps – banca ancora partecipata dallo Stato – sarebbe stata utilizzata come “veicolo” per rafforzare il controllo del fronte Caltagirone-Delfin su Mediobanca e, per riflesso, sulla compagnia di assicurazioni Generali, di cui Mediobanca è azionista di peso. L’operazione vale circa 16-17 miliardi di euro ed è una delle più grandi acquisizioni bancarie in Italia degli ultimi anni.

La portata dell’indagine è confermata dal fatto che gli inquirenti hanno disposto perquisizioni in più sedi e il sequestro di numerosi telefoni cellulari e dispositivi informatici di manager e professionisti collegati all’operazione, anche non formalmente indagati. L’inchiesta, secondo le previsioni degli stessi magistrati, è destinata a durare ancora mesi prima di approdare a una richiesta di rinvio a giudizio.

Sul fronte dei controlli di mercato, la Consob – stando a un documento del 15 settembre – ha finora escluso la prova di un “patto occulto” fra Mps e specifici soci per il controllo di Mediobanca e Generali. Ciò non ha fermato la Procura, che continua a lavorare su un possibile “concerto di fatto” tra i principali protagonisti della partita, con eventuali omesse comunicazioni alla vigilanza.

Nel frattempo, il cda di Mps ha espresso piena fiducia a Lovaglio, sottolineando come, a loro dire, tutte le operazioni sarebbero state svolte nel rispetto delle regole. Ma il clima attorno alla banca resta appesantito: l’ombra di un processo all’orizzonte pesa sulla integrazione di Mediobanca e sulla futura governance di Generali.

Il ruolo delle casse previdenziali: acquisti anomali su Mediobanca

Accanto all’asse Caltagirone-Delfin, una parte cruciale dell’inchiesta riguarda le casse di previdenza vigilate dal governo: in particolare Enasarco (agenti di commercio), Enpam (medici) e Cassa Forense (avvocati).

Secondo quanto emerge dagli atti, queste casse hanno effettuato acquisti consistenti di azioni Mediobanca nei mesi che precedono la scalata di Mps. Gli inquirenti ritengono che tali operazioni possano aver avuto lo scopo di sostenere l’offensiva di Mps, consentendo alle casse di presentarsi in assemblea con una quota complessiva di circa il 5 per cento e di influenzare il voto.

In una delicata assemblea di Mediobanca di agosto, Enasarco, Enpam e Cassa Forense – con il loro pacchetto azionario – si sarebbero astenute sulla contromossa difensiva ideata da Mediobanca su Banca Generali. Il risultato è stato un 42 per cento di contrari o astenuti contro il 35 per cento di favorevoli: un segnale che ha indebolito la strategia del board di Mediobanca e, nei fatti, ha favorito la scalata di Mps.

La Guardia di Finanza ha segnalato per questi acquisti una serie di “anomalie formali”:

  • assenza di delibere dei consigli di amministrazione per operazioni considerate estranee alle policy di investimento;
  • mandati a intermediari situati in Paesi non collaborativi con le Autorità di vigilanza;
  • documentazione ritenuta insufficiente o mancante sull’operatività concreta;
  • mandati privi di limiti chiari ai criteri di investimento.

A rendere il quadro ancora più sensibile è il legame diretto tra alcune casse e Palazzo Chigi. In particolare, in Enasarco è stato segnalato il ruolo del capo di gabinetto della Presidenza del Consiglio nel collegio dei vertici, mentre su Enpam è stata decisa una proroga del presidente in piena fase di risiko bancario. Un intreccio che alimenta il sospetto di una regia politica sulle scelte di investimento di enti previdenziali che gestiscono i risparmi di professionisti e lavoratori autonomi.

Il tema generale è la “passione per le banche” mostrata da diverse casse di previdenza, spesso molto esposte in istituti di credito italiani e coinvolte in partite di potere che vanno ben oltre l’ordinaria gestione del risparmio previdenziale. L’indagine su Mediobanca rischia così di diventare anche un banco di prova per ridefinire regole, governance e controlli su questo pezzo delicato del sistema.

Il giallo delle due intercettazioni su Caltagirone

Dentro il fascicolo milanese, il nome di Caltagirone ricorre nelle intercettazioni telefoniche autorizzate dal gip su richiesta dei pm. Si tratta, secondo gli atti, di intercettazioni tradizionali sulle linee telefoniche, usate per ricostruire i rapporti tra l’imprenditore, Lovaglio e altri protagonisti del risiko bancario.

Qui però si innesta un secondo livello, ancora più delicato: Caltagirone figura anche tra i bersagli del software spia Graphite, prodotto dalla società israeliana Paragon Solutions e capace di penetrare negli smartphone senza che l’utente clicchi nulla, accedendo a chat, foto, documenti e trasformando il telefono in una cimice digitale.

Il 31 gennaio 2025 WhatsApp ha avvisato circa 90 utenti nel mondo – tra cui almeno sette italiani – di essere stati presi di mira da un’operazione di hacking tramite Graphite. In un primo momento sono emersi i nomi di giornalisti e attivisti: il direttore di Fanpage.it Francesco Cancellato, il cofondatore della ong Mediterranea Saving Humans Luca Casarini, altri attivisti impegnati sul fronte dei migranti e dei diritti civili.

In autunno, un’inchiesta congiunta di media investigativi ha aggiunto un tassello dirompente: anche il telefono di Caltagirone sarebbe stato tra quelli colpiti. In altre parole, il primo grande nome della finanza italiana entra in una vicenda che fino a quel momento riguardava soprattutto il mondo del giornalismo e dell’attivismo.

Il paradosso è che, mentre la Procura di Milano dichiara di aver utilizzato solo intercettazioni telefoniche classiche nell’inchiesta su Mps e Mediobanca, il nome di Caltagirone compare anche nell’elenco delle vittime potenziali di un software spia che Paragon sostiene di vendere solo a 39 governi democratici. Chi lo ha spiato, e per conto di chi? È la domanda che inquieta non solo la politica, ma anche i mercati.

Graphite, lo spyware “etico” che ha incendiato la politica italiana

Paragon Solutions, fondata nel 2019 a Tel Aviv, si è presentata sul mercato come l’alternativa “responsabile” a colossi controversi come NSO Group. Il suo prodotto di punta, Graphite, consente di infiltrarsi nelle applicazioni di messaggistica – come WhatsApp e Signal – accedendo ai contenuti delle chat senza prendere il controllo totale del dispositivo. Un approccio che, nelle intenzioni dell’azienda, dovrebbe ridurre gli abusi e rendere più mirata l’attività di intelligence.

La realtà ha raccontato altro. Dopo le notifiche inviate da WhatsApp ai 90 utenti presi di mira, un’indagine di Citizen Lab e di diversi media internazionali ha ricostruito l’uso di Graphite contro attivisti, giornalisti e operatori della società civile in una ventina di Paesi. Tra i clienti presumibilmente coinvolti figurerebbero alcuni degli alleati occidentali degli Stati Uniti, Italia compresa.

Il caso è esploso in Italia quando è emerso che il governo aveva autorizzato l’uso di Graphite contro membri di Mediterranea Saving Humans, nel contesto di un’inchiesta “preventiva” su presunte attività legate all’immigrazione irregolare. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, ascoltato dal Copasir, ha ammesso l’uso del captatore nei confronti di attivisti, ma ha negato un ricorso generalizzato al software contro giornalisti e altri soggetti non collegati a minacce alla sicurezza nazionale.

Le rivelazioni hanno spinto Paragon a rescindere il contratto con il governo italiano, sostenendo che l’Italia avrebbe violato le clausole etiche pattuite sull’uso del software. Il Garante per la privacy ha lanciato un monito severo contro qualsiasi utilizzo di Graphite o strumenti analoghi al di fuori dei binari strettissimi fissati dalla legge, mentre il Parlamento ha aperto una serie di audizioni per fare luce sull’accaduto.

Non solo Caltagirone: Orcel, Cattaneo e la finanza nel mirino

La presenza di Caltagirone tra i bersagli di Graphite non è un caso isolato. Nel giro di pochi giorni, altre inchieste giornalistiche hanno rivelato che Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, e Flavio Cattaneo, numero uno di Enel, sono stati a loro volta oggetto di tentativi di intrusione tramite spyware.

Orcel è impegnato da tempo nella propria partita di risiko bancario, con il dossiere su Bpm in primo piano; Cattaneo guida un gruppo strategico dell’energia ed è figura centrale nei dossier infrastrutturali del Paese. Anche in questi casi, gli avvisi sono partiti da WhatsApp e hanno portato a verifiche tecniche e a segnalazioni alle autorità competenti.

Nel caso di Cattaneo, accertamenti della Polizia postale hanno parlato di spyware ma senza confermare in modo definitivo l’uso di Graphite; per Caltagirone e Orcel, invece, diverse ricostruzioni giornalistiche indicano proprio il prodotto di Paragon come principale sospettato. Le testate che hanno indagato su questi casi parlano esplicitamente di una “campagna di spionaggio sulla finanza italiana”, sviluppatasi in parallelo al risiko bancario e alle grandi operazioni industriali degli ultimi anni.

Il quadro che emerge è quello di una sorveglianza selettiva su soggetti chiave del potere economico, in alcuni casi sovrapposta alle indagini giudiziarie tradizionali, in altri del tutto slegata da procedimenti penali noti. Da qui le domande più inquietanti: chi decide gli obiettivi? Chi controlla chi controlla?

Servizi segreti, Copasir e il nodo della trasparenza

La vicenda Paragon ha costretto la politica italiana a confrontarsi con il tema dei captatori informatici in modo meno opaco. In Parlamento, il Copasir ha chiesto chiarimenti ripetuti ai servizi segreti e al governo. Le versioni ufficiali insistono su un uso “limitato e legale” di Graphite, circoscritto a indagini di sicurezza nazionale, ma le rivelazioni successive su imprenditori e top manager intercettati hanno di fatto smentito la narrativa rassicurante di Palazzo Chigi.

Il combinato disposto fra:

  • uso di spyware militari su giornalisti, attivisti e manager,
  • contratti secretati con società private estere,
  • e mancanza di un quadro normativo pienamente trasparente

apre una questione politica di fondo: chi controlla gli strumenti più invasivi che lo Stato può utilizzare verso i cittadini, e con quali garanzie effettive?

Nel frattempo, il Garante privacy e diversi esperti di cybersicurezza sottolineano come spyware e captatori trasformino gli smartphone in una protesi permanente della sorveglianza. Il confine tra indagine legittima e abuso diventa sottile, soprattutto quando l’obiettivo non è un criminale comune ma un soggetto scomodo sul piano politico, sociale o economico.

Quando le casse comprano, chi decide davvero?

Tornando a Mediobanca, il ruolo delle casse di previdenza riporta il discorso dal fronte dello spionaggio a quello – altrettanto sensibile – della gestione del risparmio previdenziale. Gli inquirenti non contestano solo eventuali violazioni formali, ma vogliono capire chi abbia orientato le scelte di investimento in un momento così delicato per il controllo di Mediobanca e, a cascata, di Generali.

La domanda chiave è semplice: le casse hanno agito nell’interesse esclusivo degli iscritti o hanno risposto, più o meno consapevolmente, a una logica di schieramento in una battaglia di potere? Il fatto che alcuni vertici delle casse siano nominati – direttamente o indirettamente – dal governo, e che lo stesso governo sia azionista di Mps, alimenta il sospetto di una filiera politico-finanziaria che parte da Palazzo Chigi e arriva fino ai voti in assemblea.

Se l’ipotesi della Procura venisse confermata in tribunale, ci si troverebbe di fronte a un uso distorto di enti previdenziali pubblicamente vigilati come leve di un grande gioco di influenza bancaria. Se invece le accuse dovessero cadere, resterà comunque l’urgenza di regole più stringenti su governance, conflitti di interesse e trasparenza delle strategie di investimento.

Il doppio rischio per la democrazia economica

La storia che incrocia Mps, Mediobanca, le casse previdenziali e lo spyware Graphite mette a nudo un doppio rischio per la democrazia economica italiana.

Da un lato, il rischio che operazioni di mercato gigantesche, che decidono chi controlla le principali banche e assicurazioni del Paese, non siano pienamente leggibili dal mercato e dalla vigilanza, ma siano guidate da patti non dichiarati e da alleanze informali. Dall’altro, il rischio che strumenti di sorveglianza ultra-invasivi, pensati per contrastare terrorismo e criminalità organizzata, vengano utilizzati – o anche solo percepiti come tali – per monitorare giornalisti, attivisti e decisori economici scomodi.

Nel mezzo, la figura di Caltagirone incarna perfettamente questa doppia vulnerabilità: intercettato legalmente dalla magistratura in un procedimento sulla scalata di Mps a Mediobanca, e contemporaneamente bersaglio di un trojan militare venduto a governi stranieri per attività di intelligence. È il simbolo di un sistema in cui le linee tra potere economico, potere politico e potere di sorveglianza sono diventate pericolosamente sfumate.

La partita che si gioca oggi non riguarda solo il destino di Mps, Mediobanca o Generali, né soltanto le carriere di Lovaglio, Caltagirone o Milleri. Riguarda la capacità del Paese di dotarsi di regole chiare, controlli efficaci e limiti invalicabili sia per le operazioni di mercato, sia per l’uso delle tecnologie di spionaggio. È da lì che passerà la credibilità della finanza italiana – e, in buona parte, la fiducia dei cittadini nelle sue istituzioni.

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