Le società quotate si confrontano con Opa e delisting

- di: Redazione
 
Probabilmente, come prototipo dell'italiano/italiana interessato di quel che accade, ma non fino al punto di farne una mania, la casalinga di Voghera ha perso il suo appeal pubblicistico, sostituita magari dall'umarell, l'anziano sempre pronto a dire la sua e che perde le sue giornate guardando e bacchettando chi invece lavora. La casalinga di ieri, l'umarell di oggi e, per dire, il pensionato con capacità di spesa di domani sono profili che potrebbero guardare con interesse a quel che accade a parecchie aziende quotate in Borsa e che, ormai da qualche tempo, vanno avanti in programmi di disimpegno dal mondo che ruota intorno alle azioni.

Si potrebbe dire che tutto va come altrimenti non potrebbe andare, ma le voci che si inseguono, con sempre maggiore frequenza, in relazione a società che annunciano d'essere pronte al delisting, un po' di apprensione le determinano. Non parliamo di chi è direttamente interessato o coinvolto in operazioni del genere, quanto a chi, spettatore, assiste ad un fenomeno che, sebbene fisiologico, potrebbe anche essere inteso come parte di un processo di depauperamento del nostro patrimonio di eccellenze industriali, ma anche del sistema bancario, soprattutto quello legato al territorio, anch'esso coinvolto in queste dinamiche.

Mentre tutto questo accade la sensazione (che speriamo totalmente infondata) é che chi dovrebbe vegliare per impedire una sistematica spoliazione del Sistema Italia, con l'acquisizione delle nostre eccellenze da parte del capitale straniero, sembra distratto da altre incombenze, quando forse lo Stato imprenditore, di cui in molti sperano in una discesa in campo, dovrebbe intervenire con tempestività ed efficacia.

Uno degli ultimi esempi riguarda un'eccellenza italiana della ceramica di lusso riconosciuta in tutto il mondo, PanariaGroup, che uscirà da Borsa italiana. In questo caso si tratta di una scelta di Finpanaria, controllata dalla famiglia Mussini, corroborata dall'avere raggiunto la soglia minima per il delisting della società. È la conferma di un fenomeno, quello delle offerte pubbliche di acquisto, diventato protagonista delle vicende del Listino milanese. Ma questo moltiplicarsi di offerte pubbliche di acquisto non riguardano esclusivamente aziende in crisi (quindi appetibili), perché spesso sono un passo necessario davanti alla possibilità che il loro settore sia oggetto di grandi investimenti nei prossimi anni.

In merito è interessante condividere il contenuto dello studio dello scorso gennaio di Consob che si è occupato anche delle Opa finalizzate al delisting, prendendo in esame 231 operazioni di questo profilo avviate tra il 2007 e il 2019, mettendo attenzione soprattutto sulle 173 offerte pubbliche di acquisto, volontarie e obbligatorie, su aziende quotate a Piazza Affari. Una delle considerazioni di maggiore interesse nel rapporto degli analisti di Consob riguarda il fatto che i casi di delisting registrati tra il 2007 e il 2010 possono essere messi in relazione con le crisi legate ai subprime ed al fallimento di Lehman. Ma l'ondata di Opa degli ultimi anni sembra potersi spiegare con una "profonda disaffezione verso lo status di società quotata".

Ci si potrebbe a questo punto chiedere se si è superato il livello di guardia, che separa la normalità da una fase preoccupante. Da questo interrogativo si potrebbe uscire leggendo le dichiarazioni dell'amministratore delegato di Borsa Italiana, Raffaele Jerusalmi, secondo il quale i delisting come le Ipo (offerta pubblica iniziale) "sono un fenomeno normalissimo che coinvolge ogni mercato azionario, compresa Wall Street".

"Qui da noi" - ha detto Jeruslami al Sole-24 ore - "non ci sono ancora indicazioni di un flusso che vada oltre il livello di guardia. Ogni anno, infatti, ci sono mediamente fuoriuscite di società per un 7-8% del totale del listino, spiega il manager di Borsa SpA, ammettendo che “a livello mondiale si sta assistendo a una riduzione molto forte delle società quotate, visibile in particolare negli USA, dove nel giro di quindici anni il listino si è dimezzato". Secondo l'ad di Borsa italiana, il fenomeno è conseguenza del successo del private equity, che garantisce ai sottoscrittori ritorni  "generalmente buoni" e questo “contribuisce ad alimentare la raccolta di capitali”.

E allora?

Allora si deve sperare sempre che il sistema resti forte e capace di resistere a fenomeni che possono sembrare un indebolimento delle fasce migliori del tessuto produttivo italiano. La liberalizzazione dei mercati è anche questo ed è sempre più frequente vedere che i nostri ''gioielli della Corona'' siano ambiti da chi ha una potenza finanziaria difficile da contrastare. Si dirà che è il grande gioco della finanza che premia (quasi sempre) i migliori ed al quale bisogna fare l'abitudine, nell'era della globalizzazione, quella che pigiando un tasto può determinare la fine o la resurrezione di una azienda. Prendiamo il caso più recente che riguarda Reno De Medici, un gigante (italiano) nel settore della lavorazione della carta. La canadese Cascades deteneva il 57,6 delle azioni, di cui s'è liberata cedendolo ad Apollo Global Management, per puntare tutto sul mercato nordamericano. Per la Reno De Medici non cambia granché apparentemente. Ma solo se non si considera il profilo del capitale subentrante, un colosso degli investimenti che sembra essere baciato dal tocco di Mida.

È la globalizzazione, bellezza!

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