Romania, la democrazia in una bara: vento nero e piazze infuocate

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Una bara finta attraversa le strade della capitale romena. Sopra c’è scritto un nome pesante come un macigno: “Democrazia”. È il simbolo di un Paese lacerato, teatro di una mobilitazione senza precedenti, dove i confini tra protesta popolare e manipolazione ideologica si assottigliano fino a svanire. Decine di migliaia di persone hanno invaso le piazze ieri, gridando slogan che mescolano religione, nazionalismo e odio. Al centro delle loro rivendicazioni: l’annullamento delle elezioni presidenziali dello scorso 24 novembre, deciso dalla Corte Suprema per le interferenze russe a favore di Călin Georgescu, l’uomo che si definisce “servitore di Dio”, ma che molti vedono come il nuovo volto del populismo nero.

Romania, la democrazia in una bara: vento nero e piazze infuocate

Quando il 6 dicembre la Corte Suprema ha invalidato il risultato elettorale, in pochi avrebbero previsto la portata di ciò che sarebbe accaduto dopo. Georgescu, un candidato indipendente di estrema destra, è una figura controversa: filoputiniano, critico feroce della NATO e ostile all’Unione Europea, aveva ottenuto il consenso di una Romania stanca, disillusa e impoverita. Non solo nei villaggi dimenticati dalla globalizzazione, ma anche nei quartieri popolari delle città, il suo messaggio ha trovato eco: “Torneremo grandi. Dio è con noi”.

L’intervento della Corte è stato interpretato dai suoi sostenitori come un atto di sabotaggio orchestrato dall’élite pro-UE. “La democrazia è morta”, gridano oggi nelle piazze, mentre alzano croci e vessilli nazionali, simboli di una destra sempre più organizzata e violenta.

Il vento nero dell’Europa dell’Est

La Romania non è un caso isolato, ma un tassello in un mosaico europeo dove il populismo di destra si rafforza sfruttando crisi interne e ingerenze esterne. Mosca osserva con soddisfazione: ogni frammentazione in un Paese membro dell’UE rappresenta una vittoria geopolitica per Vladimir Putin. Il Cremlino ha imparato a utilizzare le fragilità democratiche come leva per destabilizzare l’Occidente, e la Romania – per posizione geografica e debolezze istituzionali – è un obiettivo perfetto.

Il populismo romeno ha un volto profondamente radicato nel passato: quello di un nazionalismo religioso che si nutre di miti e simboli. Georgescu non è solo un candidato politico; è un predicatore, un uomo che si presenta come l’incarnazione di un ritorno alle “radici autentiche” della Romania. È questa retorica che infiamma le folle, riportando in auge l’ombra di un passato autoritario che molti pensavano sepolto.

L’Europa divisa e il silenzio della NATO

Le istituzioni europee osservano con preoccupazione, ma anche con imbarazzo. Da Bruxelles arrivano dichiarazioni formali di condanna per le ingerenze russe e appelli al rispetto della legalità, ma la verità è che l’UE non sembra avere gli strumenti per rispondere a crisi come questa. Il rischio è che la Romania diventi un nuovo caso Ungheria o Polonia, un membro “ribelle” difficile da contenere.

La NATO, dal canto suo, tace. Un silenzio che pesa, considerando che Bucarest è un avamposto strategico sul Mar Nero. Ma un’escalation interna rischierebbe di trasformare un problema politico in un conflitto regionale, qualcosa che né Washington né Bruxelles possono permettersi.

Il cuore nero del populismo

A Bucarest, intanto, la protesta non si ferma. La bara di “Democrazia” non è solo un simbolo: è il manifesto di una narrativa che trasforma il consenso in martirio. Georgescu e i suoi sostenitori stanno riscrivendo le regole del gioco, sfruttando le fragilità istituzionali e le paure di un popolo smarrito.

La domanda che rimane, tuttavia, è un’altra: quanto durerà questo vento nero? La storia insegna che i populismi non si fermano da soli, ma che spesso finiscono per implodere sotto il peso delle loro stesse contraddizioni. In Romania, però, la democrazia rischia di essere il prezzo da pagare per scoprirlo.
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