Regno Unito, la filiera della moda insorge: "Dalla Brexit solo danni"

- di: Emanuela M. Muratov
 
La Brexit comincia a presentare i suoi conti economici alla Gran Bretagna, che ogni giorno di più si ritrova a doversi confrontare con problemi che non pensava si potessero materializzare, in tale numero e tale grandezza, con l'uscita ufficiale del Paese dall'Europa. Dopo i musicisti, che hanno protestato perché la Brexit impedisce i loro tour in Europa falcidiando i loro guadagni, ora è il mondo della moda - l'intera filiera, dai dettaglianti agli stilisti, alle modelle ai fotografi - a protestare.
Dozzine di rappresentanti di questo importante settore dell'economia britannica, in una lettera inviata al primo ministro Boris Johnson e di cui hanno reso pubblico il testo, si dicono molto preoccupati dell'impatto che la Brexit, in appena un mese, ha già avuto su una industria famosa in tutto il mondo.
L'elenco dei negozi di moda dei centri cittadini che hanno dichiarato fallimento - mettendo sulla strada centinaia di dipendenti - si allunga ogni giorno di più, vittima sia delle nuove regole definite con la Brexit, ma anche delle conseguenze della pandemia, tra contrazione nei consumi e limitazioni negli spostamenti.

A promuovere la protesta è stata Tamara Cincik, fondatrice del think tank Fashion Roundtable, che sta raccogliendo consensi ed appoggi, tra i quali c'è anche Vivienne Westwood. Il fronte degli operatori dell'industria della moda britannica che protestano raccoglie ora oltre 450 adesioni e non si tratta solo di stilisti o proprietari di negozi o catene, ma anche di tutti coloro che ruotano intorno al mondo della moda: fotografi, stilisti, modelle, giornalisti di moda, direttori di fabbrica. Ad essi si stanno aggiungendo diversi parlamentari, anche tra le fila di coloro che hanno fortemente voluto la Brexit.

I numeri dell'industria britannica della moda, peraltro, non hanno bisogno di commenti: 800.000 posti di lavoro (secondo l'Istituto nazionale di statistica), di cui quasi il 15% nella produzione di tessuti. Un'industria che, si legge nell'appello, deve affrontare "un rischio reale di annientamento". Tra le cose che i firmatari della protesta segnalano è, ad esempio, la mancanza di sostegno da parte del Governo per un settore in cui i designer sono costretti a viaggi last minute, che le nuove regole rendono complicati.

Ma ci sono anche motivi meno pratici, come il fatto che la fine della libertà di movimento complica gli intensi scambi creativi tra i designer inglesi e i loro colleghi europei.
Uno dei risultati della Brexit è anche quello che chi, vivendo nel mondo della moda come modelle, modelli e fotografi deve recarsi dalla Gran Bretagna in Europa e ora deve anche pagare i visti necessari per partecipare a servizi fotografici in Continente.
Molti modelli lamentano il fatti di essere stati costretti a rifiutare contratti per servizi in Europa perché non sono riusciti ad ottenere per tempo i visti.

Ci sono poi problemi pratici, come il fatto che se prima della Brexit per fare arrivare in Gran Bretagna delle partite di filati da destinare all'industria della moda occorrevano pochi giorni, oggi il tempo si è dilatato sino a tre settimane. Anche i costi sono lievitati: ora per ogni bobina di filo che arriva dall'Europa ce ne sono di aggiuntivi che si aggirano sulle 44 sterline (circa 50 euro). Si paga di più per un servizio che, a causa della Brexit, si perfeziona con la consegna con molto più tempo di prima.
La risposta dell'appello da parte del Governo è stata interlocutoria, limitandosi ad un generico: "Stiamo lavorando a stretto contatto con le aziende di questo settore per assicurarci che ricevano il supporto di cui hanno bisogno per commerciare in modo efficace con l'Europa".
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