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Prada si prende Versace: 1,25 miliardi per la Medusa

- di: Bruno Coletta
 
Prada si prende Versace: 1,25 miliardi per la Medusa
Prada si prende Versace: 1,25 miliardi per la Medusa
Lorenzo Bertelli al timone, Donatella emoziona i fan: cosa cambia nel lusso italiano.

(Foto: Miuccia Prada e Patrizio Bertelli).

Il lusso italiano si ricompatta e alza la voce. Prada ha completato l’acquisizione di Versace per 1,25 miliardi di euro, rilevando il 100% del marchio da Capri Holdings e riportando la Medusa sotto un controllo pienamente italiano dopo sette anni di gestione statunitense. Il closing è arrivato ieri, 2 dicembre 2025, in una data altamente simbolica: il giorno del compleanno di Gianni Versace, nato il 2 dicembre 1946.

Con l’operazione, Lorenzo Bertelli, 37 anni, figlio di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, assume la carica di presidente esecutivo di Versace, mantenendo al tempo stesso i ruoli di marketing director e responsabile della corporate social responsibility del gruppo Prada. Una scelta che certifica il passaggio generazionale al vertice e chiarisce un punto: Versace sarà il banco di prova definitivo della nuova leadership della famiglia Bertelli.

Dal deal Capri a Prada: come siamo arrivati fin qui

Per capire la portata del passaggio occorre ricordare il capitolo precedente. Nel 2018 Capri Holdings – il gruppo americano che controlla Michael Kors e Jimmy Choo – aveva comprato Versace per circa 2,1 miliardi di dollari, promettendo di farne un motore di crescita globale. L’obiettivo dichiarato: spingere il brand verso i 2 miliardi di fatturato con una forte espansione retail.

La realtà è stata meno scintillante: Versace ha faticato a imporsi nell’era del cosiddetto “quiet luxury”, mentre il gusto del pubblico si spostava verso loghi più discreti e silhouette più pulite. Secondo i dati resi noti da analisi internazionali del settore, i ricavi del marchio sono scesi negli ultimi due anni, rimanendo al di sotto dei livelli immediatamente successivi all’acquisto da parte di Capri, con margini compressi e redditività altalenante.

Nel frattempo Capri Holdings ha tentato un’altra via d’uscita: la vendita dell’intero gruppo a Tapestry (la casa madre di Coach, Kate Spade e Stuart Weitzman) per 8,5 miliardi di dollari. L’operazione però si è schiantata contro il muro dell’antitrust statunitense, che temeva un’eccessiva concentrazione nel segmento dell’accessible luxury, soprattutto sugli handbag e sugli accessori. Saltato il matrimonio Tapestry–Capri, è rimasta sul tavolo l’opzione più iconica: la cessione mirata di Versace a Prada.

Il prezzo, i numeri e il perimetro dell’operazione

L’accordo, annunciato in forma definitiva ad aprile 2025, valuta Versace 1,25 miliardi di euro in termini di enterprise value. La cifra viene in parte corrisposta in contanti, in parte attraverso l’assunzione di debito, secondo gli schemi dettagliati nei documenti regolamentari di Prada. Si tratta – lo riconoscono anche gli analisti – di una valutazione inferiore a quella pagata da Capri nel 2018, segnale di un brand prestigioso ma da rilanciare.

Secondo stime citate dalla stampa internazionale, Versace rappresentava circa un quinto dei ricavi di Capri nel 2024, su un fatturato complessivo attorno ai 5,2 miliardi di euro. Ora il marchio della Medusa peserà per circa il 10–15% dei ricavi consolidati di Prada, a seconda delle proiezioni, con un impatto iniziale sui margini ma un potenziale di crescita considerato significativo nel medio periodo.

Prada, da parte sua, arriva all’operazione in una fase di forte slancio: il gruppo ha macinato numeri in crescita per oltre 4 anni consecutivi, trainato soprattutto dalla spinta di Miu Miu e dal riposizionamento del marchio Prada su una fascia di lusso più aspirazionale, con forte attenzione al ready-to-wear e agli accessori di alta gamma.

Lorenzo Bertelli, il “nuovo capo” della Medusa

Al centro del nuovo assetto c’è lui, Lorenzo Bertelli. Da tempo indicato come l’erede naturale al timone del gruppo, entra in Versace con una missione chiara: tradurre in pratica l’idea di un polo del lusso italiano in grado di reggere il confronto con i giganti francesi LVMH e Kering.

In più interviste il manager ha spiegato che Versace era “un obiettivo di lungo corso” e che i contatti con il brand esistevano già prima del tentativo di vendita di Capri a Tapestry. Il criterio guida, sintetizzato da Bertelli, è stato duplice: l’operazione doveva essere finanziariamente sostenibile e riguardare un marchio con una forza di immaginario superiore ai numeri attuali. Versace risponde perfettamente a questo identikit.

Il gruppo ha confermato che nell’immediato non sono previsti scossoni manageriali: resta al suo posto il CEO Emmanuel Gintzburger, mentre la guida creativa è affidata a Dario Vitale, arrivato alla direzione stilistica nella primavera 2025 dopo una lunga esperienza in Miu Miu. Il messaggio è netto: continuità creativa, rivoluzione industriale e strategica.

Donatella Versace, da direttrice creativa a icona-ambasciatrice

Il passaggio di consegne avviene su uno sfondo emotivo fortissimo. Donatella Versace, che ha guidato la creatività del marchio per quasi trent’anni dopo l’assassinio del fratello, ha lasciato la direzione artistica nella primavera 2025, mantenendo un ruolo di ambasciatrice e volto simbolico della maison.

Nel giorno del closing, il 2 dicembre, Donatella ha ricordato il fratello in un post social in cui lega il compleanno di Gianni all’ingresso di Versace nella “famiglia” Prada. Il tono è personale, affettuoso, quasi familiare: un ringraziamento implicito al passato e un augurio per il futuro, con l’idea che questa unione avrebbe reso orgoglioso lo stesso Gianni.

Per Prada, il mantenimento di Donatella come icona vivente del marchio è un asset fondamentale: salvaguarda la continuità dell’immaginario Versace e rassicura quella community globale di fan e celebrities che ha reso il brand sinonimo di sensualità barocca, oro e stampe iconiche.

Dario Vitale, la nuova estetica della Medusa

La vera svolta creativa è iniziata qualche mese prima del closing, con l’arrivo di Dario Vitale alla direzione artistica. Ex design director di Miu Miu, Vitale ha debuttato con una collezione definita da molti buyer e commentatori come un ritorno a un erotismo più consapevole e meno gridato, capace di dialogare con la sensibilità contemporanea senza snaturare il DNA del brand.

La sua sfida è delicata: aggiornare il glamour eccessivo di Versace all’epoca del “soft power” del lusso, in cui il cliente cerca simbologia e desiderabilità, ma fugge l’ostentazione fine a se stessa. Le prime uscite in passerella hanno mostrato tagli più asciutti, un uso strategico delle stampe storiche e un lavoro forte sugli accessori, che saranno uno dei terreni chiave su cui Prada punta a far crescere la Medusa.

Il piano Prada: 2–4 anni per il rilancio

Nel retroscena dell’operazione c’è un piano di rilancio di medio-lungo periodo. Analisi di settore e indiscrezioni filtrate dal gruppo parlano di un orizzonte tra i 2 e i 4 anni per riportare Versace su una traiettoria di crescita coerente con il suo potenziale.

Il piano si articola in due fasi principali:

  • Prima fase – riposizionamento creativo e di immagine: consolidare la nuova estetica di Vitale, ripulire l’eccesso di licenze, rimettere al centro prêt-à-porter, pelletteria e calzature di fascia alta, rafforzare la presenza sui red carpet e nelle collaborazioni con celebrity e cultura pop.
  • Seconda fase – ottimizzazione retail e licenze: razionalizzare la rete di negozi, chiudendo i punti vendita meno performanti e investendo sui flagship strategici nelle capitali del lusso; rinegoziare o riportare in house alcune licenze chiave, in particolare su accessori, occhiali e fragranze.

Prada ha inoltre messo sul tavolo un piano di investimenti supplementari per alcune centinaia di milioni di euro nel medio termine, destinati soprattutto alla rete retail e alla produzione in Italia. L’obiettivo è chiaro: integrare Versace nella potente macchina industriale del gruppo, che negli ultimi anni ha ampliato fabbriche, distretti produttivi e programmi di formazione per artigiani sul territorio italiano.

Produzione, Made in Italy e sinergie industriali

Uno dei punti di forza del deal, dal punto di vista di Prada, è la possibilità di spostare progressivamente una parte crescente della produzione Versace all’interno della propria filiera italiana. Il gruppo ha investito in nuovi stabilimenti, in particolare nel centro-nord Italia, e in academy dedicate alla formazione di giovani artigiani.

Versace porta in dote una forte riconoscibilità globale ma una struttura industriale più fragile rispetto a quella di Prada. Integrarla significa:

  • migliorare qualità e coerenza dei prodotti, soprattutto su accessori e calzature;
  • ottenere economie di scala su materiali, ricerca, sviluppo e logistica;
  • rafforzare la narrazione del Made in Italy, oggi più che mai centrale nelle strategie di prezzo e posizionamento del lusso.

Non è un caso che dagli ambienti finanziari venga letto il deal come un tassello di un più ampio progetto di “campione nazionale” del lusso italiano, capace di dialogare alla pari con i conglomerati francesi che da anni dominano la scena.

Guerra chiude il capitolo acquisizioni: “Ora solo Versace”

Sul fronte strategico, il messaggio del CEO di Prada Andrea Guerra è perentorio: non ci saranno altre acquisizioni nel breve periodo. Il management ha spiegato che l’integrazione di Versace assorbirà le energie del gruppo almeno per i prossimi tre anni, tra rilancio creativo, razionalizzazione della rete e armonizzazione dei processi interni.

Tradotto: Prada scommette tutto sulla Medusa. Nei prossimi esercizi gli investitori dovranno aspettarsi qualche pressione sui margini a causa dei costi di integrazione, ma anche un potenziale significativo di creazione di valore se il riposizionamento di Versace andrà a segno. L’idea è di portare il brand verso una scala coerente con la sua notorietà globale, oggi considerata «molto superiore rispetto al fatturato effettivo».

Cosa cambia per il mercato del lusso

L’acquisizione ridisegna gli equilibri del lusso non solo in Italia, ma su scala globale. Con Versace sotto il suo ombrello, Prada diventa il terzo grande polo europeo del lusso multi-brand dopo LVMH e Kering, seppur su dimensioni ancora più contenute.

Le principali conseguenze attese:

  • Più competizione sul segmento “sexy glamour”: Versace, se ben rilanciata, può tornare a insidiare brand come Gucci, Balmain o Dolce & Gabbana su red carpet, celebrity dressing e moda spettacolare.
  • Maggiore peso dell’Italia nei tavoli che contano: un gruppo con Prada, Miu Miu e Versace al suo interno rende il sistema moda italiano meno frammentato e più ascoltato nei dossier globali su sostenibilità, supply chain, tutela della proprietà intellettuale.
  • Pressione su Capri Holdings: l’uscita di Versace dal perimetro lascia Capri più dipendente da Michael Kors e Jimmy Choo, con meno leve di storytelling nel segmento alta moda.

Il valore simbolico: Gianni, Donatella e la “famiglia” Prada

Al di là dei numeri, l’operazione ha un peso simbolico enorme. Il closing nel giorno del compleanno di Gianni Versace chiude un cerchio: il marchio fondato nel 1978 da uno dei più visionari stilisti italiani torna in mani italiane, sotto la guida di un’altra famiglia che ha fatto la storia del design, quella di Miuccia Prada.

L’immagine è potente: da un lato l’intellettualismo radical chic di Prada, dall’altro l’edonismo barocco di Versace. Due mondi apparentemente opposti, ma accomunati da una caratteristica: aver trasformato la moda italiana in un linguaggio globale. Se il piano di rilancio funzionerà, il risultato sarà una galassia del lusso italiano più compatta, più forte e meno esposta a scalate estere. 

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