Sul Ponte sullo Stretto, la premier Giorgia Meloni ha tirato il freno. Un rallentamento inatteso rispetto agli annunci di poche settimane fa, che ha colto di sorpresa la maggioranza e acceso un nuovo dibattito politico. Il Governo ha deciso di attendere i rilievi della Corte dei Conti, previsti entro 30 giorni, prima di procedere con i prossimi passi operativi.
Ponte sullo Stretto, Meloni frena: tra Quirinale, Corte dei Conti e strategia referendaria
Una scelta prudente, che ha dato spazio a tre possibili interpretazioni: l’intervento del Quirinale, il rischio di responsabilità contabile per gli esponenti dell’esecutivo e, infine, una motivazione politica legata al referendum costituzionale che si terrà nel 2026.
L’ombra del Quirinale
Sul fronte istituzionale, non emergono conferme ufficiali di contatti diretti tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la premier. Tuttavia, al Colle è nota la contrarietà a ogni tipo di conflitto istituzionale e la preferenza per la ricerca di equilibrio tra poteri.
Nell’interpretazione di alcuni osservatori, la cautela di Palazzo Chigi potrebbe essere letta come un segnale di rispetto verso la figura del Capo dello Stato e verso la magistratura contabile, in un momento in cui le tensioni tra politica e organi di controllo rischiano di alimentare un clima di scontro.
Il nodo della responsabilità contabile
La seconda motivazione, più tecnica ma altrettanto rilevante, riguarda la responsabilità contabile dei membri del Governo. La legge 20 del 1994 stabilisce infatti che l’esclusione della colpa grave per gli amministratori pubblici è valida solo quando gli atti contestati hanno ottenuto il visto preventivo della Corte dei Conti.
Procedere senza il via libera completo della magistratura, come inizialmente previsto, avrebbe dunque privato i ministri e i dirigenti coinvolti di una forma di tutela importante. Un rischio che in molti, all’interno dello stesso Governo, avrebbero considerato eccessivo in una fase già delicata sul piano politico e finanziario.
La prudenza, in questo senso, appare anche una mossa per evitare nuovi contenziosi e per garantire la copertura giuridica e amministrativa necessaria a un’opera di tale portata e complessità.
La terza chiave: la strategia politica e il referendum
Ma la spiegazione più convincente, secondo diverse fonti parlamentari, sarebbe quella politica. La premier avrebbe scelto di raffreddare i toni e rinviare la battaglia sul Ponte per evitare di trasformare il tema in un terreno di scontro ideologico alla vigilia del referendum costituzionale.
Un confronto acceso con la magistratura, in questo momento, rischierebbe di polarizzare il dibattito e di personalizzare la consultazione referendaria, trasformandola in un voto “pro o contro” la premier. “Accendere uno scontro così forte ora va contromano rispetto all’intenzione di non politicizzare e non personalizzare il referendum”.
Dentro la destra di governo, infatti, non tutti guardano con serenità al test popolare: una parte della coalizione teme che la consultazione possa indebolire il consenso, e per questo raccomanda toni più bassi e maggiore cautela.
Il peso politico del Ponte
C’è poi un aspetto più strategico. Il Ponte sullo Stretto è una bandiera storica del vicepremier Matteo Salvini, ma non rappresenta una priorità nell’agenda della premier. La frenata di Palazzo Chigi, dunque, è anche una scelta di posizionamento interno alla coalizione: una presa di distanza da un dossier simbolico per la Lega ma poco sentito da Fratelli d’Italia, soprattutto in un momento in cui l’opinione pubblica si mostra divisa sull’utilità dell’opera.
Il rallentamento del progetto si intreccia così con gli equilibri interni della maggioranza e con la necessità di Meloni di evitare un caso politico in grado di distogliere l’attenzione dai temi economici più urgenti.
Crescita ferma, prudenza obbligata
Sul piano macroeconomico, i nuovi dati diffusi dall’Istat, con una crescita del Pil ferma allo 0,0% nel terzo trimestre e un aumento annuale dello 0,4%, contribuiscono a raffreddare ulteriormente l’entusiasmo. In un contesto di stagnazione economica, una battaglia politica sul Ponte rischierebbe di apparire come una distrazione rispetto alle priorità di bilancio, lavoro e investimenti.
Una frenata tattica, non uno stop definitivo
La decisione del Governo, dunque, sembra più una pausa tattica che un dietrofront definitivo. Palazzo Chigi punta a consolidare le basi giuridiche e politiche prima di procedere, assicurandosi che ogni passaggio sia formalmente inattaccabile.
Un approccio di prudenza che riflette l’intento di evitare tensioni istituzionali e contenere i rischi politici, in un autunno che si preannuncia cruciale per la premier: tra referendum, manovra economica e pressioni della maggioranza, la strategia di Meloni sembra orientata a un equilibrio complesso, in cui il Ponte sullo Stretto — simbolo e terreno di scontro — rimane sospeso, almeno per ora, sul filo della cautela.