Tra Olimpiadi, infrastrutture e un rebus politico, il vertice di Venezia scuote la maggioranza.
(Foto: Matteo Salvini e Luca Zaia a colloquio).
Un incontro breve, cordiale e ad alto tasso politico. A Venezia, il faccia a faccia tra Matteo Salvini e Luca Zaia ha rimesso al centro la regia del Veneto nella prossima tornata regionale. Sul tavolo, oltre al dossier Milano-Cortina e alle principali infrastrutture, il punto dirimente: la candidatura per Palazzo Balbi in continuità con il modello Zaia.
Una candidatura in continuità
Il ragionamento ruota su una linea chiara: il territorio vuole stabilità amministrativa e una guida capace di proseguire il ciclo di governo che ha reso il Veneto prevedibile nelle scelte e rapido nell’esecuzione. Dentro la Lega cresce l’idea che il testimone debba restare in casa, con una figura riconoscibile e radicata.
I nomi e gli incastri
Nei corridoi prende quota l’ipotesi Alberto Stefani, mentre altri spingono per un profilo già presente in giunta a conferma della linea di continuità. Sul versante di Fratelli d’Italia circolano alternative competitive, a conferma che la partita è ancora aperta e si deciderà al prossimo vertice di coalizione.
Il veto alle liste personali
Dal fronte azzurro arriva un messaggio netto. “Non si può avere una lista Zaia, è contro qualsiasi principio”, dichiara Antonio Tajani. Il segnale è duplice: evitare frammentazioni e preservare un perimetro politico riconoscibile, specie in una fase in cui ogni percentuale può spostare gli equilibri nelle urne e in Consiglio.
Il corteggiamento al centro riformista
Parallelamente, Forza Italia apre un canale di dialogo con l’area liberal-democratica. L’invito a Carlo Calenda come ospite alla festa dei giovani azzurri a San Benedetto del Tronto è una mossa politica: testare convergenze su singoli provvedimenti e, dove possibile, su figure civiche in vista delle amministrative. L’obiettivo dichiarato è allargare e connettere l’area moderata oltre i confini identitari.
Calenda tra critica e apertura
Dal leader di Azione arrivano strali verso l’area progressista, accusata di derive anti-occidentali. “La sinistra italiana – perché non si può più chiamare centrosinistra – torna all’anti occidentalismo e diventa un pericolo per il posizionamento internazionale del Paese. Abbiamo bisogno di volenterosi che si assumano il rischio di costruire la casa dei liberal-democratici”, argomenta Carlo Calenda. Parole che suonano come posizionamento competitivo ma anche come apertura condizionata al dialogo con il campo moderato.
Il ruolo della premier e il fattore tempo
Nel mosaico pesa la scelta di Fratelli d’Italia se lasciare il Veneto alla Lega o contendere la casella. Un esponente del partito riassume così lo snodo: “Tutto è nelle mani di Giorgia, se vorrà fare questo grande atto di generosità o no”, afferma un dirigente di FdI. In controluce, un altro elemento: gli equilibri potrebbero risentire degli esiti nelle Marche, dove il risultato di Francesco Acquaroli è letto come termometro politico della coalizione.
Il quadro che cambia
La Lega spinge per una soluzione rapida per evitare incertezze su programmi e alleanze, mentre Forza Italia marca il profilo garantista e moderato. Nel mezzo, l’area riformista guarda ai territori dove già si sono sperimentati schemi civici e intese locali. La sensazione è che la scelta del candidato non sarà solo un nome, ma la chiave di lettura della prossima legislatura veneta.
La grande sfida
Il futuro del Veneto si decide adesso: tra continuità amministrativa, assetti di coalizione e nuove alleanze al centro, il candidato giusto sarà quello capace di tenere insieme competenza, governabilità e proiezione nazionale. Il vertice in arrivo non chiuderà soltanto una trattativa: definirà l’orizzonte politico della regione per i prossimi anni.