E se si tornasse a fare politica, quella vera?
- di: Redazione
Il nostro derelitto Paese sta affrontando le ultime settimane occupandosi di tutto, fuorché della politica, quella vera, quella che dovrebbe avere come solo fine il bene degli altri. Invece tutti - nessuno escluso - ci balocchiamo tra beghe familiari, rese pubbliche per il profilo dei suoi protagonisti, tra dichiarazioni sulfuree contro l'avversario di turno, esercizi lessicali in pura salsa dietrologica, proclami entusiastici su cose scontate e tentativi di relativizzare eventi importanti.
Eppure la drammaticità che stiamo attraversando è sotto gli occhi di tutti e poco è servito fare squillare le trombe del trionfo quando S&P ha confermato il rating BBB per l'Italia, quando tutti sapevano che il giudizio dell'agenzia sarebbe stato questa alla fine.
E se si tornasse a fare politica, quella vera?
Ma questo è servito per dire che l'Italia (e con essa la manovra di bilancio) è stata promossa a voti pienissimi, quando forse sarebbe stato più aderente alla realtà dire che non è stata bocciata. La differenza potrebbe apparire una semplice sfumatura, ma non è affatto così.
Invece forse ci si dovrebbe soffermare, per una volta con serietà, a quel che accade in casa d'altri. Tanto per non andare lontano, in Grecia, lei sì promossa da S&P, che ne ha riportato il rating ad un livello investment grade, già anticipata dal giudizio di altre agenzie di rating, in attesa che si palesino le altre ''grandi''.
Se poi si ha la pazienza di leggere il perché della decisione di S&P (''Il significativo consolidamento di bilancio ha posto la traiettoria fiscale della Grecia su un percorso di deciso miglioramento....Supportato da una ripresa economica molto rapida, il governo greco è stato in grado di superare regolarmente i propri obiettivi di bilancio nonostante il graduale aumento dei trasferimenti sociali") si capisce che i nostri hurrà forse sono leggermente esagerati.
Ma, si dirà, se una conferma è certamente meglio che essere bastonati, potrebbe essere meglio capire che gli obiettivi che ci si pone devono passare per un percorso virtuoso che, ad oggi, appare appena accennato.
E invece di occuparci di questo seriamente, ci perdiamo a seguire il presidente del Consiglio costretta, per ridare dignità alle sue vicende personali, a usare il micidiale meccanismo di comunicazione dei social per mettere alla porta il compagno, diventato imbarazzante per Giorgia Meloni, che certo non poteva fare da bersaglio a critiche e sfottò per colpe non sue.
Però, anche dopo l'allontanamento del ''principe consorte'', di lui si parla ancora. E se ne parla non su elementi certi, ma su ipotesi, sussurri, commenti anonimi. Cose da cortile.
La cosa che ora ci si deve auspicare è che questo capitolo (doloroso per Giorgia Meloni e la figlioletta; di interesse zero per gli altri) venga chiuso in fretta, perché di tutto abbiamo bisogno meno che di un presidente del Consiglio che, dopo avere licenziato ufficialmente Andrea Giambruno, debba continuare a rispondere a domande sulla sua vita personale, come se lei avesse responsabilità sulle volgari esuberanze (verbali, gestuali, di sottintesi e palesi stupidaggini) del suo ormai ex compagno.
C'è però un aspetto che sembra prevalere su tutti gli altri: il clima di assedio che il presidente del Consiglio avverte intorno a sé e al governo, facendo peraltro costantemente riferimento ad una compattezza della maggioranza che forse non c'è al 100 per cento. Da che mondo è mondo (ovvero da quando in Italia è tornata la democrazia), le strade di tutti i governi sono state impervie e i vari premier che si sono alternati si sono creati, quando non ne avevano, degli avversarsi, così da cercare di canalizzare su di loro il dissenso popolare. Da questa situazione, però, Giorgia Meloni rischia di restare esageratamente condizionata, reagendo in modo muscolare ad ogni evento, dichiarazione, dato che non sono a suo favore. E se di attacchi non ce ne sono, lei manda i suoi fantaccini sulle mura in attesa di un nemico che sicuramente c'é, ma che oggi non ha la forza di contrastarla.