Se la politica si nutre di episodi che meritano rispetto
- di: Stefano Di Giorgio
Cosa c'è di più dilaniante, per una donna, se non la decisione di accettare una gravidanza, anche se essa è apportatrice di drammi e problemi, o respingerla? Una scelta che è disperatamente personale, nel senso che il suo peso grava solo sulla donna, e che dovrebbe restare tale, scacciando la tentazione, una volta che la decisione è stata presa, di ''utilizzarla'' da parte di terzi.
Fatti del genere, appartenenti esclusivamente alla sfera della donna, dovrebbero essere rispettati, nel senso che anche la semplice citazione non è autorizzata se non dalla diretta interessata. Ed invece oggi, in un momento in cui la politica italiana mostra tutta la sua banalità, anche un episodio come la scelta se avere o no un figlio viene spettacolarizzato, pure se nella sua trattazione prevale la tenerezza, il rispetto, l'ammirazione ed anche un senso di grandissima gratitudine.
Non ho letto il libro di Giorgia Meloni (non per lei, ma perché non apprezzo le biografie fatte ''in vita'' e dai diretti protagonisti, preferendo quelle di personaggi storici), ma ho sentito parlare in televisione la leader di Fratelli d'Italia del suo contenuto, compreso lo stato d'animo della madre davanti alla scelta, coraggiosa, se portare avanti la gravidanza. Rispetto il sentimento di Giorgia Meloni nei confronti della madre, ma non riesco a fare mio il ragionamento di utilizzare un momento delicatissimo come quello che lei ha descritto per un libro che, di questo siamo tutti consapevoli, fa parte di una strategia di immagine e comunicazione che lo staff della leader di FdI sta peraltro portando avanti benissimo.
La considerazione che facciamo è un'altra e riguarda l'efficacia di un messaggio che viene subordinato al disvelamento di fatti talmente privati che, sino a ieri, non sarebbero mai usciti dall'alveo di una famiglia, soprattutto in materia di temi etici.
Se il menzionare l'episodio della gravidanza della madre riuscirà ad attirare la simpatia anche di una sola persona, allora è stato forse giusto farlo. Ma resta sempre il dubbio che la politica stia perdendo di vista l'interesse generale per calare ogni argomento in una melassa ideologica in cui si mischiano fatti, sentimenti, sospetti, ricostruzioni, ipotesi.
Siamo sicuri che, mettendo in piazza drammi personali (perché parliamo di drammi), siamo nel giusto?
Parlavamo di banalità, né potrebbe essere diversa la definizione nel caso di Alessandro Di Battista.
Ieri sera, ospite di Lucia Annunziata, ha detto la sua - padronissimo di farlo - sulla contingenza politica, spesso con affermazioni che definire apodittiche sarebbe a dir poco esageratamente generoso. Ciascuno ha il diritto di dire la sua, ma in uno stato di diritto - sarebbe il caso che Di Battista lo ricordasse sempre, non fosse altro perché è stato parlamentare - chiunque è innocente sino a prova del contrario, al di là del ragionevole dubbio, come si sente dire nei telefilm di ambientazione giudiziaria. Ieri Di Battista ha reclamato la testa del sottosegretario Claudio Durigon, sulla scorta di una sola frase di una intervista. Ora, Durigon sarà colpevole anche se non sappiamo di cosa, ma a Draghi (anche lui oggetto dell'ira funesta dell'ex grillino) se ne può chiedere la revoca sulla base di una frase di cui si ignora il contesto, di cui non si sa in che ambito è stata pronunciata?
Durigon da tempo è oggetto di servizi e reportage su alcune frequentazioni che gli vengono attribuite e che sono legate alla sua zona di ''pertinenza'' politica ( l'area pontina, cioè Latina e dintorni), che però sino ad oggi non sono sfociati a nulla. Questo non significa che, se le indagini dovessero trovare elementi di responsabilità del parlamentare leghista, lui non finisca davanti ad un pm prima e un tribunale dopo e che, se ha commesso illeciti, paghi con una condanna esemplare. Ma al momento non c'è nulla.
A chiedere la defenestrazione di Durigon per una frase (che, ribadiamo, potrebbe anche essere stata pronunciata con un chiaro fine rivelatorio della capacità della Lega di spostare a piacimento e strumentalmente finanche generali della Finanza) è quello stesso Di Battista che è accorso in difesa di Beppe Grillo, dopo la sortita dell'ex comico in difesa del figlio (accusato di stupro di gruppo).
Un giustizialismo a doppio binario - implacabile con i nemici, morbido con gli amici - di cui sinceramente cominciamo ad essere stufi.