Discorso durissimo a New York: proporzionalità violata a Gaza, stop alle colonie, due Stati solo senza Hamas e con ostaggi liberi. Unità Ue in bilico, migranti e giudici nel mirino, riforma Onu “urgente”.
(Foto: Giorgia Meloni con Antonio Guterres, Segretario Generale dell'Onu)
Nel palcoscenico più osservato del pianeta, Giorgia Meloni sceglie il registro più netto del suo mandato sulla crisi mediorientale. Davanti all’Assemblea generale, la premier incardina il discorso su una sequenza di messaggi che non lascia zone grigie: la reazione israeliana a Gaza ha oltrepassato il principio di proporzionalità, gli insediamenti in Cisgiordania devono fermarsi, la soluzione resta due Stati, ma riconoscimento solo dopo la liberazione di tutti gli ostaggi e l’esclusione di Hamas. Nel finale, il richiamo spirituale a Papa Francesco e San Francesco, e un appello politico: riformare l’Onu perché così non funziona.
Gaza e il limite superato
La cornice è nota: il 7 ottobre come trauma originario e la legittimità iniziale dell’azione israeliana. Ma la svolta del discorso sta nell’aggettivazione: “strage di civili”. Meloni scandisce che una guerra “su larga scala” ha coinvolto “oltre misura” la popolazione palestinese. Non è un inciso: è il perno che la porta a dire che “Israele deve uscire dalla trappola di questa guerra” – affermazione accompagnata dal richiamo a fermare ogni ulteriore espansione degli insediamenti.
Sul riconoscimento della Palestina, la linea è condizionata: “Non siamo contrari in principio, ma prima vanno liberati tutti gli ostaggi e Hamas deve rinunciare a qualunque ruolo di governo”. In parallelo, la premier afferma che “Israele non ha il diritto di impedire che domani nasca uno Stato palestinese” e che non possono essere “costruiti nuovi insediamenti in Cisgiordania al fine di impedirlo”.
L’Europa divisa tra sanzioni e realpolitik
Nell’Unione europea è aperto il cantiere di misure restrittive mirate su coloni violenti e ministri estremisti, mentre si discute una sospensione di concessioni commerciali. Ma l’unanimità richiesta e le sensibilità economiche hanno rallentato la rotta. Roma si mostra aperta sulle sanzioni selettive, più fredda su strumenti che impatterebbero in modo indiscriminato gli scambi. Nel frattempo Parigi e Londra hanno impresso una spinta politica sul dossier palestinese, costruendo un quadro europeo in movimento che rende più stretto l’equilibrio italiano.
Ucraina e la “guerra a pezzi”
Il passaggio sull’Ucraina è la continuità dell’impianto atlantico. “Mosca ha calpestato la Carta dell’Onu”, ripete la premier, chiamando in causa l’idea di “terza guerra mondiale combattuta a pezzi” per tenere insieme Gaza, Kiev e gli altri fronti dentro un’unica crisi del diritto internazionale.
Onu da riprogettare
Multilateralismo, dialogo, diplomazia non bastano se le istituzioni non reggono l’urto. La riforma dev’essere “urgente” e ispirata a eguaglianza, rappresentatività, responsabilità. No a nuovi privilegi permanenti che irrigidiscano le gerarchie; sì a meccanismi che riducano veto e paralisi, con più accountability sui diritti.
Migranti, diritto d’asilo e scontro con le toghe
Il capitolo più divisivo riguarda migrazione e asilo. Per Meloni, convenzioni scritte in un’altra epoca non colgono la realtà dei trafficanti e dei flussi irregolari di massa. Nel mirino le letture di “magistrature politicizzate” che, con interpretazioni “ideologiche e unidirezionali”, stravolgerebbero l’impianto normativo. Sullo sfondo, gli strumenti di esternalizzazione – dall’accordo con l’Albania alle intese con Paesi terzi – fra ricorsi, revisioni e applicazioni progressive.
Simboli, diplomazia e la finestra che si chiude
Intanto, in Europa la politica dei simboli corre accanto alla diplomazia: riconoscimenti, bandiere, mozioni. Per l’Italia, la finestra è stretta: tenere insieme la sicurezza d’Israele e i diritti dei palestinesi, evitando l’isolamento e l’escalation regionale. Le condizionalità restano la bussola: “Chi ha scatenato il conflitto non può essere premiato”, ma senza confondere questo con un divieto di prospettiva statuale per i palestinesi.
Il sigillo: il coraggio come dovere
La chiusura, affidata a San Francesco, è la tessera etica del mosaico: “I combattimenti difficili vengono riservati solo a chi ha un coraggio esemplare”. Nella traduzione politica della premier, il coraggio è rompere le inerzie: dire no alla sproporzione, sì a due Stati con condizioni verificabili, rimettere mano all’Onu e irrobustire la gestione dei flussi.