Pubblica amministrazione, CGIA: "Pagamenti lumaca"

- di: Barbara Leone
 
Tra acquisti, consumi, forniture, manutenzioni, formazione del personale e spese energetiche, nel 2023 lo Stato italiano ha sostenuto un costo complessivo di 122 miliardi di euro, ma ancora una volta non è riuscito a onorare tutti gli impegni economici presi con i propri fornitori. I debiti commerciali della nostra Pubblica Amministrazione (PA), infatti, continuano ad ammontare a circa 50 miliardi di euro, un importo che è praticamente lo stesso da almeno 5 anni. I più penalizzati da questo comportamento così deplorevole sono le piccole imprese.

Pubblica amministrazione, CGIA: "Pagamenti lumaca"

Infatti, come ha sottolineato anche la Corte dei Conti in una delle sue ultime relazioni, nelle transazioni commerciali con le aziende private la nostra PA sta adottando una prassi che definire “diabolica” è forse riduttivo; salda le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così l’Indicatore di Tempestività dei Pagamenti (ITP) entro i limiti previsti dalla norma, ma ritarda intenzionalmente il saldo di quelle con importi minori, penalizzando, così, le imprese fornitrici di prestazioni di beni e servizi con volumi bassi; cioè le piccole imprese. Non solo. Da qualche tempo si è consolidata una nuova pratica “imposta” da molti dirigenti pubblici, anche di società collegate alle regioni e agli enti locali, che decidono unilateralmente quando i fornitori devono emettere la fattura. Se questi ultimi non si “attengono” a questa disposizione, lavorare in futuro per questo ente/società sarà difficile. Dando l’autorizzazione all’emissione della fattura solo quando l’Amministrazione dispone dei soldi per liquidarla, queste strutture pubbliche riescono a “rispettare” i tempi di pagamento, “aggirando” così le disposizioni previste dalla legge. Una forma di abuso della posizione dominante che risulta essere decisamente “ripugnante”.

A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA, nel sottolineare che tra le Amministrazioni pubbliche più “lumaca” a pagare i propri fornitori scorgiamo i Comuni, in particolar modo quelli del Mezzogiorno. Sebbene la situazione negli ultimi anni sia migliorata, nel 2023 la situazione più critica si è registrata a Napoli. Nel comune capoluogo della regione campana i fornitori sono stati pagati con 143 giorni di ritardo. Seguono Andria con 89,5 giorni di ritardo rispetto la scadenza contrattuale, Chieti con +61,8, Reggio Calabria con +54,8, Agrigento con +53,5 e Isernia con +53. E’ molto probabile che altrettanto critica sia la situazione a Cosenza che, purtroppo, presenta un ITP aggiornato, si fa per dire, al III trimestre 2022. Ebbene, quasi due anni fa il Comune calabrese saldava i propri fornitori con 126 giorni di ritardo. In contro tendenza, invece, scorgiamo il comune di Palermo che nel 2023 ha liquidato i propri partner commerciali con 65,5 giorni di anticipo. Nessun altro comune capoluogo di provincia d’Italia ha fatto meglio. Al Centronord, invece, il quadro generale è in massima parte positivo. Al netto di Imperia (+22,11 giorni di ritardo), Viterbo (+19) e Alessandria (+14,98), quasi tutti gli altri comuni capoluogo di provincia di queste due ripartizioni geografiche pagano in netto anticipo rispetto ai termini stabiliti dal contratto. Le situazioni più virtuose riguardano Padova, Grosseto e Pordenone con un anticipo del saldo di oltre 21 giorni. Per quanto concerne le Amministrazioni regionali, invece, al netto di Molise (+145,9), Abruzzo (+32) e Basilicata (+13,66), le altre realtà amministrative registrano delle performance più che buone, soprattutto al Centronord. Negli anni scorsi a pagare con grave ritardo erano anche le Aziende ospedaliere, in particolare del Sud. L’anno scorso, invece, il quadro generale è migliorato moltissimo, almeno osservando il risultato relativo all’ITP. Tra le principali ASL presenti nel Mezzogiorno, comunque, le situazioni più critiche hanno interessato l’ASP di Catanzaro con 64,5 giorni di ritardo, l’ASL Napoli 3 Sud con +27,78, l’Asl di Foggia con +27 (al III trim. 2023) e l’ASL Napoli 2 Nord con +15,42. Ricordiamo che i tempi di pagamento relativi alle forniture sanitarie di norma non possono superare i 60 giorni. Anche i ministeri italiani faticano a rispettare le disposizioni previste dalla legge in materia di tempi di pagamento riferiti alle transazioni commerciali. L’anno scorso nove ministeri su 15 (vale a dire il 60 per cento del totale) hanno liquidato i propri fornitori in ritardo rispetto alle scadenze contrattuali. Maglia nera il ministero del Turismo con un ritardo di 39,72 giorni. Seguono l’Interno con +33,52, l’Università e la Ricerca con +32,89 e la Salute con +13,60. Il più virtuoso, invece, è stato il ministero dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste che ha pagato con un anticipo di 17 giorni.

Ancorchè i tempi di pagamento della PA siano tendenzialmente in diminuzione, non è da escludere che la condotta di una buona parte degli enti pubblici locali e centrali sia quella di pagare le fatture correnti entro i tempi previsti dalla legge e di tralasciare il pagamento, o di farlo con tempi medio-lunghi, delle più datate. Grazie a questo comportamento e alla prassi annunciata più sopra, ovvero di non pagare le fatture con importi medio-bassi, le performance degli ITP delle singole amministrazioni pubbliche migliorano, ma lo stock del debito commerciale rimane invariato. Con la sentenza pubblicata il 28 gennaio 2020, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che l’Italia ha violato l’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra amministrazioni pubbliche e imprese private. Sebbene in questi ultimi anni i ritardi medi con cui vengono saldate le fatture in Italia siano in leggero calo, il 9 giugno 2021 la Commissione Europea ha avviato nei confronti del nostro Paese una nuova procedura di infrazione, sempre per la violazione della direttiva richiamata più sopra, in relazione al noleggio di apparecchiature per le intercettazioni telefoniche e ambientali nel quadro delle indagini penali. Il 29 settembre 2022, invece, la Commissione ha aggravato la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e, infine, ad aprile 2023, in relazione a una presunta violazione della Direttiva sui pagamenti a carico del sistema sanitario della regione Calabria, ci ha fatto pervenire una lettera di messa in mora. Per risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova tantissime Pmi, in particolare del Mezzogiorno, per l’Ufficio studi della CGIA c’è solo una cosa da fare: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo, conclude CGIA, risolveremmo un problema che ci trasciniamo da decenni che continua a minare la tenuta finanziaria di moltissime micro e piccole imprese.

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