Open Arms: Salvini dice che il processo è una farsa, ma i problemi politici li ha in casa

- di: Redazione
 
Per Matteo Salvini non è un gran bel periodo, perché, oltre alla grane giudiziarie (che sta affrontando buttandola sul politico e chiamando a raccolta il governo, in sua difesa, anche se per fatti che risalgono a quando lui era azionista di riferimento dell'esecutivo a trazione grillina di Giuseppe Conte), deve fare i conti con un problema che lui stesso si è creato, quando, alla ricerca dei voti necessari per salvarlo dal tracollo elettorale, ha imbarcato nella Lega Roberto Vannacci. Lo stesso che ora sta organizzando un partito tutto suo, confermando il sospetto che abbia usato il partito che fu di Umberto Bossi come un taxi, da cui scendere una volta arrivato alla meta.
Il processo per la vicenda Open Arms è il potenziale pericolo più imminente per Salvini, che però guarda con eguale timore alle vicende della politica, che lo riportano alla strategia di Vannacci, che lui ha voluto fortemente candidare e che oggi, da indipendente della Lega, si muove disinvoltamente al di fuori del perimetro del partito, creando un problema che, alla lunga, potrebbe esplodere.

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Quindi, per il segretario leghista, il problema legato alle sue vicissitudini giudiziarie passa quasi in seconda fila dal punto di vista politico, vedendo quel che Vannacci sta organizzando proprio in queste ore a Viterbo dove, dietro il paravento di un incontro tra coloro che simpatizzano, anzi hanno proprio abbracciato le idee dell'europarlamentare, si stanno gettando le fondamenta di un movimento che, di pensiero e di proposta, comincia a somigliare a quel che Salvini proprio non vuole vedere manifestarsi: un partito ancora più a destra del suo.

Basta guardare alla struttura che sta nascendo, ai suoi coordinatori, ai suoi proconsoli sul territorio per capire che Vannacci non si accontenta più del ruolo che, a Strasburgo, il voto per le europee gli ha assegnato, guardando all'Italia come ad un territorio da conquistare politicamente, attingendo al bacino di potenziali elettori che oggi sono ancora in Lega e Fratelli d'Italia (meno in Forza Italia: troppo evidenti le differenze ideologiche e di pensiero), ma che potrebbero essere sedotti da una politica muscolare, dove inclusione ed esclusione sono in contrasto, con la seconda vincente.

Vannacci, per Salvini, che si maschera ancora dietro parole di apprezzamento per il ''suo'' parlamentare europeo, è diventato un nodo da sciogliere, che era facile intuire si manifestasse prima ancora della decisione di candidarlo visto che l'ego dell'uomo in divisa era già molto evidente e difficilmente comprimibile nei confini ideologici di un movimento che a lui, il generale, stava già stretto prima.
Figurarsi oggi che, dopo l'oltre mezzo milione di voti raccolti (anche grazie alla Lega, cosa che forse dimentica), si sente ad un passo dall'onnipotenza che ritiene gli derivi dai numeri.
L'adunata di queste ore, vicino Viterbo, non sarà la giornata ufficiale della nascita del partito di Vannacci, ma certo l'entusiasmo che già si respira sembra fare pensare che il 23 novembre, a Grosseto, con la presentazione di statuti e regolamento, il processo di allontanamento dalla Lega farà il primo passo.

Ma oggi Salvini, che ha sempre bisogno di un nemico da combattere, ha nella magistratura il suo avversario del momento e, della richiesta di condanna a sei anni di reclusione per sequestro di personale (gli immigrati bloccati sulla nave dell'Ong spagnola), ha fatto una medaglia, dicendosi vittima di un processo politico e in cui l'aspetto meramente giudiziario è poca cosa.
Per lui forse è così, ma intanto il processo va avanti, tra i tentativi di Salvini di fare dei magistrati di Palermo (pm, ma anche collegio giudicante) il bersaglio dei suoi strali, che, anche se lui lo nega, sembrano mirati a condizionarli, sostenendo la tesi che i giudici e i pubblici ministeri fanno parte del grande complotto che vede saldarsi magistratura e sinistra. Non sappiamo come finirà il processo, ma l'invito alla mobilitazione fatto da Salvini ricorda tanto il clima del 6 gennaio del 2020, culminato con l'assalto al Campidoglio, fatto esecrabile di per sé, ma soprattutto uno sfregio alla democrazia.
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