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Ocse: Italia migliora sui conti, ma il Pil cresce al rallentatore

- di: Jole Rosati
 
Ocse: Italia migliora sui conti, ma il Pil cresce al rallentatore
Ocse: Italia migliora nei conti ma rallenta la crescita nel 2025
Promosso il risanamento del bilancio, bocciata la velocità del Pil: cosa c’è dietro i numeri e cosa chiede l’Ocse a Roma.

L’ultimo Outlook economico dell’Ocse, presentato a Parigi, consegna all’Italia una pagella a due facce: da un lato la gestione dei conti pubblici, giudicata in miglioramento e su un sentiero di consolidamento; dall’altro una crescita economica troppo lenta, che nel 2025 scivolerà a un modesto +0,5%, leggermente meno di quanto stimato a giugno.

Nel documento l’organizzazione parla di una crescita globale ancora “resiliente ma sempre più fragile”, appesantita da dazi, tensioni geopolitiche e incertezze politiche. In questo scenario l’Italia resta agganciata al treno internazionale, ma occupando le carrozze di coda: i conti migliorano, il Pil arranca.

Italia, Pil in folle: numeri piccoli, problemi grandi

Per il 2025 la proiezione si ferma a una crescita del Pil dello 0,5%, in lieve revisione al ribasso rispetto allo 0,6% del quadro estivo. La traiettoria disegnata dall’Ocse è quella di un recupero lentissimo: +0,6% nel 2026 e +0,7% nel 2027.

La diagnosi è chiara: da un lato l’export soffre, penalizzato dall’aumento dei dazi e da condizioni meno favorevoli sui mercati internazionali; dall’altro i consumi interni faticano a decollare, nonostante una graduale ripresa dei redditi reali. Il risultato è un’economia che si muove, ma quasi in ralenti, troppo poco per ridurre stabilmente il rapporto tra debito e Pil.

L’Ocse richiama esplicitamente la bassa produttività che caratterizza l’Italia da anni: un freno strutturale che limita la capacità di trasformare investimenti e incentivi in crescita duratura. Senza un cambio di marcia sul fronte delle riforme, il rischio è di restare intrappolati in una combinazione di crescita lenta e debito elevato.

Conti pubblici: deficit in discesa e avanzo primario in risalita

Se la crescita è la parte debole del quadro, la finanza pubblica è la voce che raccoglie i maggiori apprezzamenti dell’Ocse. Secondo le nuove proiezioni, il deficit italiano dovrebbe scendere intorno al 2,9% del Pil nel 2025, proseguire la discesa fino a circa il 2,6% nel 2027 e posizionarsi, quindi, sotto la tradizionale soglia del 3% richiesta dalle regole europee.

Ancora più rilevante, in un Paese con uno dei debiti pubblici più alti al mondo, è il capitolo sull’avanzo primario, cioè il saldo di bilancio al netto degli interessi sul debito. L’Ocse stima che tra il 2025 e il 2027 l’avanzo primario aumenterà di circa 0,6 punti di Pil, arrivando intorno all’1,3%, in coerenza con un obiettivo di 2,1% entro la fine del decennio.

L’organizzazione sottolinea che questo risultato sarà reso possibile anche da una contenuta crescita della spesa pubblica, in particolare per investimenti e salari nel settore pubblico, e da un controllo della spesa previdenziale. È proprio su quest’ultima voce che arriva uno dei messaggi più netti: per tenere sotto controllo il debito e fronteggiare l’invecchiamento demografico, non sono ammessi passi indietro.

Le richieste dell’Ocse: riforme, lavoro e niente passi falsi sui conti

Dalla conferenza stampa di Parigi emerge una linea univoca: l’Italia deve proseguire sulla rotta del risanamento e, allo stesso tempo, affrontare le sue debolezze di lungo periodo.

Gli economisti dell’organizzazione insistono su alcuni capitoli chiave:

  • Consolidamento di bilancio continuo: mantenere sotto controllo la spesa, in particolare quella pensionistica, e utilizzare con prudenza ogni eventuale margine fiscale. L’obiettivo è ridurre gradualmente il rapporto debito/Pil e contenere il costo del servizio del debito.
  • Spinta alla produttività: semplificazione normativa, minore frammentazione del mercato, concorrenza più forte in alcuni settori regolati e più investimenti in capitale umano e innovazione.
  • Più occupazione per giovani e senior: aumentare il tasso di partecipazione al lavoro delle fasce oggi sottoutilizzate del mercato del lavoro, con politiche di formazione mirate, incentivi all’occupazione stabile e un migliore allineamento tra scuola, università e imprese.
  • Infrastrutture e transizione verde: continuare a investire in reti materiali e digitali, trasporti, energia e progetti legati alla decarbonizzazione anche dopo la fine delle risorse straordinarie del Pnrr nel 2026.

Il messaggio di fondo è che il tempo delle risorse eccezionali si sta chiudendo, e che d’ora in avanti la crescita dovrà poggiare su fondamenta ordinarie: riforme strutturali e scelte di bilancio coerenti.

Un mondo più incerto: crescita globale resiliente ma fragile

Il quadro dell’Ocse colloca le difficoltà italiane dentro un contesto mondiale complesso. Dopo un 2024 intorno al 3,3%, la crescita globale è vista al 3,2% nel 2025 e al 2,9% nel 2026, con una possibile risalita verso il 3,1% nel 2027.

Il rallentamento è attribuito a una combinazione di fattori: dazi e barriere commerciali in aumento, tensioni geopolitiche diffuse, investimenti che rallentano di fronte all’incertezza regolatoria e politica. In un simile scenario, un Paese come l’Italia, fortemente dipendente dall’export e dalla fiducia degli investitori, è particolarmente esposto.

Per questo l’Ocse insiste sull’importanza di mercati aperti e regole condivise: cooperazione multilaterale e dialogo tra governi restano, secondo l’organizzazione, le condizioni essenziali per trasformare una crescita “resiliente ma fragile” in uno sviluppo meno esposto a shock improvvisi.

Le fragilità italiane: demografia, produttività, divari territoriali

I numeri del Pil non raccontano l’intera storia. Alle spalle del profilo piatto della crescita ci sono almeno tre nodi strutturali:

  • Invecchiamento della popolazione: una quota crescente di over 65, una natalità bassa e un mercato del lavoro che fatica a valorizzare sia i giovani sia le carriere più lunghe. Questo aggrava la pressione su pensioni, sanità e finanza pubblica.
  • Produttività stagnante: da anni la produttività italiana cresce meno rispetto a quella di molti partner europei. Il tessuto di piccole e medie imprese, pur dinamico, fatica a raggiungere la scala e gli investimenti necessari per competere sull’innovazione.
  • Divari territoriali: le differenze tra aree del Paese restano ampie, in termini di servizi, infrastrutture, occupazione e redditi. Una crescita lenta a livello nazionale è ancora più problematica dove le basi economiche sono più fragili.

L’Ocse richiama questi elementi come fattori di rischio sul medio periodo: se non vengono affrontati, anche un percorso di risanamento dei conti rischia di non bastare a garantire un profilo di crescita adeguato.

Scenari possibili: tra occasione e rischio di stagnazione

Il quadro che esce dal rapporto non è quello di un Paese sull’orlo della crisi, ma di un sistema in bilico: i conti migliorano, la crescita no. Da qui, due scenari principali.

Nel primo scenario, il governo mantiene una linea di prudenza fiscale, evita fughe in avanti sulla spesa corrente, porta avanti le riforme su lavoro, concorrenza, giustizia e fisco e riesce a trasformare il risanamento in credibilità sui mercati. In questo caso, una parte della riduzione del costo del debito potrebbe tradursi in più investimenti privati e, nel tempo, in una crescita un po’ più robusta.

Nel secondo scenario, la pressione sociale e politica porta a usare gli spazi di bilancio prevalentemente per misure di breve periodo, riducendo lo sforzo sulle riforme strutturali. La combinazione tra bassa crescita e debito alto resterebbe allora sostanzialmente invariata, esponendo l’Italia a eventuali shock di tassi o di fiducia.

La fotografia dell’Ocse, in definitiva, non è una condanna ma un avvertimento: l’Italia, oggi, ha conti più ordinati ma un’economia troppo lenta. Sfruttare questa finestra per rafforzare il potenziale di crescita è la scommessa decisiva dei prossimi anni.

I conti migliorano, ma senza riforme incisive su produttività, lavoro e investimenti il rischio è di vivere in una stabilità apparente, con numeri di bilancio più ordinati ma un’economia incapace di cogliere a pieno le opportunità della nuova fase globale.

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