Orcel (foto) al bivio tra Tar e Bruxelles, mentre Berlino chiude le porte. Nessun interesse per Generali, ma resta caldo il fronte tedesco.
Unicredit forza la mano su Banco Bpm, ma il governo frena
Meno di tre settimane alla chiusura dell’offerta pubblica di scambio su Banco Bpm – il 23 luglio, in concomitanza con i conti del secondo trimestre – e Unicredit alza i toni. Il gruppo guidato da Andrea Orcel ha pubblicato il 2 luglio un nuovo supplemento al documento d’offerta nel quale ribadisce una linea durissima contro il decreto con cui il governo Meloni ha esercitato i poteri speciali del golden power. La banca non usa giri di parole: “Il ricorso al Tar del Lazio sarà discusso nel merito il 9 luglio per ottenere l’annullamento, totale o parziale, del provvedimento”.
Non è solo un passaggio tecnico. Dietro l’azione giudiziaria si intravede una partita di potere e credibilità. Unicredit pretende “chiarezza sull’interpretazione delle prescrizioni” che, secondo la banca, risultano ambigue e potenzialmente letali: potrebbero condurre in futuro a sanzioni fino al doppio del valore dell’operazione, oppure – nella migliore delle ipotesi – ad ammende comunque non inferiori all’1% del fatturato annuo. Un numero? Oltre 240 milioni di euro, considerando i 24 miliardi di ricavi registrati nel 2024.
Bruxelles osserva, Roma tace
Nel supplemento al documento, Piazza Gae Aulenti segnala che sono in corso interazioni anche con la Direzione Generale Concorrenza della Commissione Europea. Bruxelles ha già dato il via libera all’operazione Banco Bpm, ma ora viene chiamata a pronunciarsi anche sulle condizioni imposte da Roma.
Il messaggio è chiaro: se l’Europa non sostiene Unicredit nel contestare i vincoli del golden power, l’ops rischia di deragliare. Orcel, da mesi, ripete: “Non faremo nulla che non sia in piena trasparenza e chiarezza regolamentare”. Una dichiarazione non solo di metodo, ma di strategia: se i paletti sono troppo stretti, l’integrazione viene meno.
Commerzbank, il sogno che si allontana
Se Banco Bpm resta un obiettivo operativo, su Commerzbank si fanno più fitte le nubi. Il gruppo italiano ha già ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie – nazionali ed europee – per acquisire fino al 29,9% dell’istituto tedesco. Ma i tentativi di avviare un dialogo con il governo federale tedesco guidato da Friedrich Merz sarebbero falliti.
Non si tratta di un dettaglio: Berlino possiede ancora circa il 12% di Commerzbank, quota rilevante anche per eventuali decisioni politiche o indirizzi di governance. L’atteggiamento di chiusura della Cancelleria è un segnale evidente che la partita è ben lontana dalla fase decisiva. E per Orcel, che punta a fare della Germania il nuovo perno dell’espansione continentale, è un ostacolo di peso.
Generali? Solo una partecipazione tattica
Discorso diverso per Generali. Unicredit conferma che il 6,5% detenuto nel Leone di Trieste non rappresenta un investimento strategico. Tradotto: nessuna scalata, nessuna alleanza con Mediobanca, nessuna influenza sull’assetto del gruppo assicurativo. La partecipazione potrebbe essere “progressivamente ridotta” o addirittura “ceduta integralmente”.
Una posizione che raffredda mesi di speculazioni, alimentate anche da alcuni rumor, secondo cui Orcel stava valutando sinergie più profonde con Mediobanca e Assicurazioni Generali. La smentita, stavolta, è netta. E serve anche a rassicurare il governo, evitando un secondo fronte di frizione parallelo a quello del golden power.
Un braccio di ferro ad alta tensione
In ballo non c’è solo un’operazione di mercato. C’è una visione della politica industriale e della libertà di movimento dei grandi gruppi privati in Europa. Da una parte Unicredit che, con la benedizione degli azionisti internazionali, cerca di disegnare un perimetro autonomo, competitivo e transnazionale. Dall’altra i governi – prima Roma, poi Berlino – che sembrano voler riaffermare il controllo su settori chiave.
Il pressing sul governo italiano da parte degli investitori istituzionali starebbe aumentando. “Il decreto sul golden power è troppo vago, genera incertezza, scoraggia l’integrazione bancaria”, avrebbe confidato una fonte di mercato.
Non è un caso che Piazza Affari continui a muoversi in modo prudente: l’offerta su Banco Bpm è stata riattivata formalmente il 27 giugno dopo il blocco di 30 giorni imposto dalla Consob, ma i volumi restano deboli e l’adesione lontana dai livelli di successo.
Orcel non arretra, ma il tempo stringe
Il 9 luglio, con l’udienza al Tar, si aprirà un passaggio cruciale. Se il Tribunale dovesse accogliere anche solo parzialmente il ricorso di Unicredit, la palla tornerebbe al governo, obbligato a rimodulare o chiarire i propri vincoli. In caso contrario, Orcel potrebbe davvero decidere di sospendere tutto.
“La fiducia degli investitori dipende dalla prevedibilità delle regole. Quando le norme sono opache o discrezionali, l’interesse decade”, ha dichiarato il ceo in una conferenza a Francoforte lo scorso 24 giugno.
La sensazione è che Unicredit stia testando il limite dell’autonomia d’impresa in Europa. Se avrà successo, si aprirà una nuova stagione di fusioni e acquisizioni continentali. Se fallirà, il messaggio sarà opposto: lo Stato è ancora il padrone di casa, anche quando non è azionista.