Manovra, stipendi dei ministri, Meloni irritata: "Norma va ritirata"

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Giorgia Meloni non ci sta. Non vuole che l’attenzione mediatica sulla legge di bilancio, già tormentata da risorse risicate e tagli dolorosi, venga monopolizzata da un emendamento che aumenta i compensi dei ministri non parlamentari. Un pasticcio che, raccontano fonti vicine alla premier, l’ha fatta andare su tutte le furie. Non solo per la cattiva gestione politica della vicenda, ma soprattutto per il danno di immagine, amplificato dalle opposizioni e dal clamore mediatico.

Manovra, stipendi dei ministri, Meloni irritata: "Norma va ritirata"

Così, questa mattina, intervenendo alla Camera nel dibattito sulle comunicazioni in vista del Consiglio europeo, Meloni ha messo un punto fermo: “Sono d’accordo con il collega Crosetto, mi unisco alla richiesta di ritiro dell’emendamento”. Un tentativo di chiudere in fretta la partita, spostando l’attenzione sul cuore della manovra. “Non credo – ha aggiunto – che l’attenzione sulla legge di bilancio, che concentra risorse su famiglie e redditi medio-bassi, debba essere spostata da una norma del genere”.

La premier ha voluto chiarire, non senza una stoccata al Movimento 5 Stelle: “Per amore di verità”, ha scandito, la norma mirava ad equiparare il trattamento economico tra ministri parlamentari e non parlamentari, che svolgono lo stesso lavoro. Un principio di parità che però, secondo Meloni, è stato distorto dalle polemiche. E qui l’affondo contro i grillini: “Evitiamo di farci dare lezioni da chi ha speso soldi pubblici per dare 300mila euro l’anno a Beppe Grillo”.

Dietro la retorica e gli attacchi politici, però, il nervo scoperto resta. Meloni ha intuito il rischio di un boomerang politico, in un momento in cui il consenso elettorale si gioca anche sulla percezione della sobrietà della classe dirigente. Ecco perché, nel corso della giornata di ieri, ha fatto intervenire il ministro della Difesa Guido Crosetto per chiedere il ritiro dell’emendamento. Un’operazione di contenimento del danno, riuscita solo in parte.

Alla fine, dopo ore di stallo e di sospensione dei lavori in commissione, il testo è stato riformulato. La norma sull’aumento degli stipendi scompare, ma resta un fondo da 500mila euro per i rimborsi spese di trasferta destinato ai ministri non eletti e non residenti a Roma. Un fondo che entrerà in vigore nel 2025, gestito dalla Presidenza del Consiglio, con risorse distribuite su proposta del ministro dell’Economia tramite Dpcm.

Ritoccata anche la cosiddetta “norma anti-Renzi”, contenuta nello stesso emendamento. La nuova formulazione stabilisce che parlamentari e presidenti di Regione potranno ricevere compensi, contributi o prestazioni da soggetti pubblici o privati con sede fuori dall’Ue, ma solo previa autorizzazione dell’ente di appartenenza e con un tetto massimo di 100mila euro l’anno. Sparisce, invece, il divieto di ricevere compensi dall’estero per i membri del governo non parlamentari.

La partita, per ora, sembra chiusa. Ma il messaggio di Meloni ai suoi è chiaro: evitare altri scivoloni che possano distogliere l’attenzione dalle priorità economiche e, soprattutto, dal racconto di un governo concentrato sul sostegno alle famiglie e ai ceti medi. Un tentativo, l’ennesimo, di tenere insieme rigore e consenso.
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