Mediobanca, fatturato medie imprese in crescita del 15%: per la competitività, decisivo il capitale umano

- di: Barbara Bizzarri
 
Nella foto Alberto Nagel, CEO di Mediobanca

Il XXII Rapporto sulle Medie Imprese industriali italiane realizzato da Mediobanca, Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne evidenzia un fatturato in crescita del 15% nel 2022 per le medie imprese industriali italiane nel 2022 e buone prospettive di sviluppo, anche se il trend di aumento del fatturato per il 2023 risulta più contenuto e si ferma a un incremento atteso o del 3,5%. Un’analisi che si sofferma in particolare sui punti di forza del sistema delle medie imprese “che confermano di avere un modello dinamico e più resiliente rispetto alle grandi imprese nei periodi di crisi” e che rileva “la chiave di questo successo nell’attenzione verso la qualità e il “capitale umano” che rappresenta il fattore determinante della competitività”.
Si sottolinea anche che il modello produttivo italiano è fortemente radicato in Italia: quasi il 90% delle aziende produce esclusivamente in Italia. D’altra parte, le medie imprese esportano molto (il 43% del loro fatturato) e praticano una delocalizzazione molto selettiva.

Mediobanca, fatturato medie imprese in crescita del 15%: per la competitività, decisivo il capitale umano

Il rapporto analizza 3.660 imprese manifatturiere a controllo familiare, dal fatturato compreso fra 17 e 370 milioni di euro e una forza lavoro tra i 50 e i 499 addetti. Un sistema che nel 2021 ha realizzato vendite aggregate per 184,1 miliardi di euro, occupando oltre 523mila dipendenti. Guardando alle prospettive future, secondo l’indagine, risultano più ottimiste le imprese che investono nella digitalizzazione e nel green. Il 34% di quelle che prevedono una crescita del fatturato nel periodo 2023-2025 punteranno infatti sulla “duplice transizione”, contro il 30% che non lo farà. Una quota che sale al 46% quando gli investimenti in digitale e green si abbinano a quelli in formazione del capitale umano. In quest’ottica circa la metà delle imprese si è attivata o intende attivarsi sui programmi del Pnrr, ma la burocrazia è il principale ostacolo per l’altra metà che non prevede di avvalersi del Piano. “I molti shock del post Lehman hanno fatto emergere la rilevanza dei capitali strategici, e di quello umano in particolare, come fattori chiave che consentono di cogliere le opportunità offerte da un contesto rischioso e incerto. Il capitale umano premia le imprese che lo sanno reperire, trattenere e coltivare, massimizzandone la soddisfazione e quindi il rendimento”, ha dichiarato Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area Studi Mediobanca.

L’indagine mostra che, tra i “capitali strategici per lo sviluppo futuro”, in una scala di rilevanza da 1 a 5 il capitale umano ottiene un punteggio di 4,6, seguito dal capitale tecnico (4), da quello finanziario (3,8), da quello conoscitivo (3,6) e dal capitale organizzativo (3,5). Di conseguenza, per trattenere i migliori talenti la leva economica è la più considerata e infatti il 50% delle imprese adotta incrementi salariali per scongiurare il fenomeno delle dimissioni spontanee, mentre il 29% punta sui benefit aziendali e il 27% sulla flessibilità degli orari di lavoro. Solo il 13% incentiva lo smart-working.

Rispetto al periodo precedente al Covid e al conflitto russo-ucraino, l’attuale contesto presenta più rischi che opportunità per il 37,7% delle medie imprese anche perché il 28% di esse ritiene di confrontarsi con competitors meno numerosi ma più agguerriti.  Fortunatamente, per oltre un quarto delle medie imprese, negli ultimi anni è cresciuto il gradimento verso il made in Italy che rappresenta una sorta di ‘ancora valoriale’ in un quadro dai riferimenti instabili.

Notevole anche l’importanza del Pnrr, che per molte imprese medie industriali italiane costituisce una leva strategica per sostenere i propri investimenti. Tuttavia, oltre la metà delle imprese ha rinunciato alle opportunità del Piano per le difficoltà che ha incontrato sul campo. Secondo l’indagine, il 21% delle medie imprese si è già attivato sui programmi del Pnrr e un altro 27% ha in programma di farlo nel prossimo futuro. Tra esse, il 54% si impegna a portare avanti la propria Transizione digitale, il 38% scommette sull’innovazione di processi con tecnologie Green e il 34% punta sull’economia circolare. Oltre la metà delle imprese ha però gettato la spugna lamentando nella maggior parte dei casi l’eccessiva burocrazia che viene indicata come una barriera insormontabile dal 56% di esse. A netta distanza, tra le altre motivazioni, si trovano le difficoltà tecniche interne legate al reperimento di personale idoneo a seguire le procedure (16%) e la mancanza di assistenza da parte dei soggetti esterni adibiti a tale scopo (10%).

Da rilevare anche alcuni mutamenti strutturali nella Governance delle imprese familiari che possono agire da facilitatori nello sviluppo di tutti i ‘capitali’ strategici, umano e non solo. L’apertura del capitale è uno di questi. Le grandi discontinuità che si sono aperte con la pandemia hanno aiutato a derubricare l’apertura del capitale da tabù culturale a opzione operativa: il 12,3% delle aziende ha visto crescere le proposte di ingresso nel proprio capitale da parte di fondi di private equity e il 13,9% le occasioni di operazioni di M&A. La quotazione resta ancora poco praticata dalle medie imprese prevalentemente per una ritrosia culturale: oltre il 75% la esclude o non l’ha in agenda. 
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