L'ultimatum di Mattarella alla politica e alla magistratura

- di: Diego Minuti
 
Già pochi secondi dopo che Sergio Mattarella, prestato il giuramento con la brevissima formula di rito, aveva concluso il suo discorso a Montecitorio, tutti hanno cercato di decrittare i messaggi che il Presidente ha seminato nel suo indirizzo di saluto alle Camere e al Paese.
Un discorso che solo apparentemente è stato in linea con il rigore cui Mattarella ha sempre improntato ogni atto del suo primo settennato, anche quando è stato oggetto di attacchi e insulti volgari da parte di chi oggi lo ha confermato al Quirinale. Sono le stranezze della politica, che manda in paradiso qualcuno che poco prima aveva cacciato all'inferno. Perché la politica, ovunque, è la dissimulazione portata a regola di comportamento e l'Italia non si sottrae questo schema.

Mattarella ha inaugurato il suo secondo mandato lanciando un messaggio a politica e magistratura

La cosa che forse ha sorpreso è che, nell'eleganza stringata delle parole di Mattarella, il discorso ha fatto una disamina impietosa dei mali più evidenti del Paese, passando dall'esercizio del potere politico all'amministrazione della Giustizia, dalle diseguaglianze sociali al diniego dei diritti minimi per tutti i cittadini.
È stato un Mattarella che, consapevole che il secondo settennato sarà inevitabilmente diverso dal primo, non si è limitato a restare sull'uscio di Casa Italia, ma vi ha fatto irruzione con tutto il peso della sua autorevolezza e anche per il fatto di essere stato richiamato laddove lui ufficialmente non voleva restare.

Quasi a volere dire: torno, ma alle mie condizioni. E le condizioni che Mattarella sembra avere messo alla base del secondo mandato vertono tutti sul contratto che lo Stato ha siglato con i cittadini e che viene sistematicamente ignorato, quando non tradito.
Le frasi dedicate al delicatissimo rapporto tra esecutivo e parlamento non sono state di facciata perché, se hanno ''suggerito'' al Governo (questo o altri) di non eccedere in decisioni imposte e non discusse, contemporaneamente hanno chiesto al Parlamento di riappropriarsi del ruolo di organo decisionale e, quindi, di attivare tutte le sue prerogative per tornare a fare quello per cui è stato pensato: essere il motore morale e politico di un Paese e di un popolo.

La scheda del ''malato Italia'' è purtroppo corposa e l'anamnesi difficile dall'essere sintetizzata. Ma che il Paese debba cambiare è evidente e non è certo stato il discorso di Mattarella a stracciare il velo di sottovalutazione dei problemi al quale tutti hanno fatto ricorso. Ma ci sono dei gangli delicatissimi del sistema democratico sui quali si deve intervenire, anche a costo di mettere a rischio gli equilibri tra i poteri dello Stato. La Giustizia, da sola, ad esempio, non ha saputo o voluto avviare una autoriforma che le si dovrà, quindi, imporre, pur con tutte le resistenze che si opporranno.

L'Italia è però matura e quindi può guardare alla riforma della Giustizia non come ad un meccanismo punitivo o che mira ad un ridimensionamento (come pure alcune forze del governo da sempre auspicano), ma solo come un passaggio necessario per evitare che le troppo frequenti distorsioni del sistema allarghino il già evidente solco con la gente. Come una certa spettacolarizzazione di inchieste, soprattutto al loro inizio, ritenuto quasi un passaggio necessario, ma che spesso diventa un giudizio del tribunale della gente. Una modalità di rendere pubblici alcuni procedimenti che, cominciato al tempo di ''Mani pulite'', si è andato affinando, per non negare a nessuno i famosi quindici minuti di fama, per dirla come Andy Warhol.
La magistratura non ha bisogno di attestati o peana, perché su di essa si regge il sistema delle garanzie e di salvaguardia dei diritti. Ma allo stesso tempo non può sentirsi al di sopra di critiche e proposte perché nessuno vola sopra le leggi, anche se di esse è il guardiano.

La parola ''riforma'' però provoca inquietudine tra i magistrati, che forse temono di vedere ridimensionata la loro sfera d'azione da una politica sempre più aggressiva e in modalità ''punizione''. Forse una ipotesi del genere poteva reggere se al Quirinale fosse andato un uomo o una donna espressione dell'ala più radicale di coloro che vogliono mettere in riga il 'partito dei pm'.

Con Mattarella questo pericolo non si corre: per come ha condotto il primo settennato; per l'essere fine giurista; per il suo passato di giudice della Corte chiamata a vegliare sulla Costituzione; per sapere che, anche un dolore personale fortissimo e che non è ancora svanito, non può intaccare la fiducia nella magistratura.
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