Cinque Stelle: il nuovo corso di Conte, tra sospette amnesie e piccole rivoluzioni

- di: Diego Minuti
 
Una delle cose che caratterizza la politica italiana, se la si paragona a quelle di altri Paesi, è che, pur mutando il nome di qualcuno o del partito al quale appartiene, non cambia assolutamente nulla. Perché certe dinamiche (oppure giochetti: chiamateli come volete) si ripetono costantemente.
Lo diciamo prendendo come esempio esplicativo il monologo televisivo di Giuseppe Conte che ha voluto marcare il territorio che si è riservato e nel quale (pena la violazione dello statuto che lui ha scritto, ritagliandoselo intorno alla sua figura) per Beppe Grillo c'è solo un ruolo formalmente marginale.
Faccende loro si dovrebbe dire, perché, in un partito che faceva vanto di non essere tale, alla fine c'è stato qualcuno che s'è preso la responsabilità di fare chiarezza, anche a costo d'essere potenzialmente accusato di parricidio politico.

Ma quello che è apparso abbastanza evidente è che la riscrittura delle regole fondanti del movimento, per mano dell'avvocato del popolo, è stata pensata per accentrare il potere nelle mani di uno solo e dei pochissimi eletti che si potranno avvicinare al suo trono.
Che l'aria in casa grillina sia cambiata lo si avverte da molti indizi, che diventano prove per chi, magari per età, di queste cose in politica ne ha viste molte. A cominciare dal rientro in pompa magna, nella cabina di regia mediatica di casa Conte, di Rocco Casalino, di cui s'è bene intravista la mano nel video di quasi dieci minuti nei quali l'ex premier, per forza di cose senza contraddittorio, ha rivendicato ai Cinque Stelle tutti i meriti di questo mondo, dimenticando di citare gli inciampi, che pure sono stati parecchi.

Ha colpito soprattutto quel richiamo alla politica etica di cui i grillini sarebbero gli unici vessilliferi in Italia, riducendo tutti gli altri partiti alla stregua di grassatori, veri e propri briganti davanti al candore dei figliocci di Beppe Grillo. È insomma tornato il vecchio canone, tanto caro ai grillini della prima ora, in cui loro erano i soli toccati dalla grazia divina e gli altri dovevano rassegnarsi, a colpi di ''vaffanculo'', ad uscire di scena. Non è proprio così e, se si parla di etica della politica, si dovrebbe avere l'accortezza di guardare prima in casa propria, magari per vedere se l'ethos tanto sbandierato da Conte sia stato accantonato quando s'è trattato di fare delle nomine. Che, ma sarà sicuramente un caso, hanno premiato Carneadi della politica - legati a qualcuno dei maggiorenti grillini - che hanno mostrato la loro spaventosa impreparazione, facendone ricadere le conseguenze sul Paese.

E, verrebbe da dire, è forse un azzardo parlare di politica etica per chi ha fatto del riciclaggio politico uno strumento di potere (quanti trombati grillini sono stati recuperati, con incarichi di prestigio, magari lontani da casa, come accaduto per le nomine del Comune di Roma)? Tacendo, per amore di patria, delle bandierine piazzate in Rai.
Giuseppe Conte ha poi fatto esercizio di un altro elemento della retorica politica tradizionale: mai ammettere un errore. Come quando ha parlato del reddito di cittadinanza di cui ha ammesso la necessità di qualche correzione, dimenticando che esso - per volontà dei Cinque stelle - è stato pensato e normato sul vento del più sfrenato populismo e, pur partendo da una idea condivisibile, attuato in tempi così stretti da non consentire ad una macchina farraginosa, come quella dei controlli, di attrezzarsi davanti ad una massa di domande che si sapeva benissimo che sarebbe stata ingentissima.

Ma ''sconfiggere la povertà'' era certo più urgente che prepararsi, dotarsi di efficaci strumenti di repressione delle illegalità, evitare che, nelle pieghe di una legge chiaramente piena di ''buchi'', si infilassero tutti. Tacendo del colpo di genio di arruolare migliaia di persone per fare da tutor, figura mitologica mezzo disoccupato e mezzo percettore di uno stipendio, comunque non per colpa sua.

Ma dove Conte ha veramente disvelato il suo giudizio negativo sul profilo dei suoi stessi supporter in parlamento o nelle altre assemblee elettive è stato l'annuncio della creazione di una ''scuola'' che forgerà la prossima classe dirigente grillina. Sì, una scuola come quelle che hanno caratterizzato in passato la storia di quei partiti oggi e ieri vituperati al grido ''noi siamo diversi''. I Cinque Stelle della sbandierata verginità politica, all'alba del manifestarsi del movimento, avevano fatto la loro connotazione principale, sostenendo che la forza che avevano derivava appunto dalla diversità rispetto agli schemi dei passato. Solo che i partiti tradizionali prevedevano un duro addestramento, che passava attraverso consessi elettivi locali nei quali si restava per lunghe legislature prime di ambire a salire di livello.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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