Inflazione ostinata, crescita ferma e dazi Usa: l’incubo anni '70 è di nuovo realtà.
La combinazione che nessuno voleva rivedere
L’ultima volta che se ne parlò con questo timore fu nei primi anni Ottanta: crescita bloccata, inflazione alta e aumento della disoccupazione. Oggi, quel mix tossico torna nei report delle grandi banche d’investimento, nei briefing dei governi europei e, soprattutto, nei discorsi prudenti di Francoforte. La stagflazione – termine che combina stagnazione e inflazione – non è più un fantasma da manuale. È un rischio concreto.
Secondo i dati pubblicati da Eurostat il 1° luglio 2025, l’inflazione dell’area euro è risalita al 2,0% tendenziale, raggiungendo esattamente l’obiettivo BCE, ma resta più alta nei servizi (3,3%) e nei beni energetici, tornati a salire dopo mesi di discesa. Ma la crescita economica continua a zoppicare: il PIL dell’eurozona è rimasto fermo nel secondo trimestre 2025 (+0,1%). Troppo poco per parlare di ripresa.
L’anomalia dei servizi e il carrello che non scende
“L’inflazione nei servizi è persistentemente alta e riflette la pressione dei salari”, ha dichiarato Philip Lane, capo economista della BCE. “È il segnale che la trasmissione della politica monetaria non è ancora pienamente efficace”. Tradotto: i tassi alti non bastano più a raffreddare i prezzi, perché le aspettative delle imprese sono cambiate.
In parallelo, il carrello della spesa continua a pesare sulle famiglie. Secondo Euroconsumers, i prezzi dei beni alimentari di base sono scesi solo dell’1,4% nel primo semestre 2025, ma i prodotti trasformati, le bollette e i trasporti restano su livelli ancora molto elevati rispetto al pre-Covid. Un’inflazione vischiosa, che colpisce soprattutto i ceti medi e bassi.
La zavorra tedesca e l’industria in affanno
La Germania, locomotiva d’Europa, è al centro di questa fragilità. L’IFO Institut ha rivisto al ribasso le previsioni per il 2025, stimando un PIL in crescita solo dello 0,2%: una stagnazione mascherata da segno positivo. Le cause? Calo delle esportazioni, domanda interna debole, industria automobilistica in crisi.
A fine giugno, la Volkswagen ha annunciato il taglio di 10.000 posti di lavoro in Europa entro il 2027, mentre BASF ha ridotto la produzione in tre impianti tedeschi a causa dell’aumento dei costi energetici. Tutto questo mentre la fiducia delle imprese, secondo l’indice ZEW, è scesa al livello più basso da novembre 2023.
Il nuovo fronte americano
A peggiorare il quadro, è arrivata la stretta trumpiana. Il ritorno dei dazi su auto, acciaio e componenti elettronici europei – annunciati il 28 giugno dalla Casa Bianca – ha fatto scattare l’allarme a Bruxelles. Secondo una nota riservata della Commissione UE, “le nuove tariffe Usa avranno un impatto diretto su oltre 54 miliardi di esportazioni europee l’anno, e un effetto indiretto sul sentiment economico e sugli investimenti”.
La presidente della BCE, Christine Lagarde, ha definito la misura “una distorsione esterna che mette a rischio la stabilità della moneta unica”. È la prima volta che la BCE commenta esplicitamente la politica commerciale americana. Non accadeva nemmeno ai tempi di Trump 1.
BCE cauta, ma sotto pressione
Il 6 giugno scorso la BCE aveva tagliato i tassi di riferimento di 25 punti base – primo segnale di allentamento – portando il tasso sui depositi al 3,75%. Ma ora è più prudente. “Non possiamo permetterci una discesa troppo rapida: i rischi inflazionistici sono ancora vivi”, ha ribadito Klaas Knot, membro del consiglio BCE.
La banca centrale si trova quindi in una trappola: tagliare troppo velocemente potrebbe riaccendere l’inflazione, ma non farlo rischia di soffocare una ripresa già debole. Lo scenario classico della stagflazione.
I segnali nei mercati e le paure degli investitori
La reazione dei mercati è stata rapida. A giugno, il rendimento dei Bund decennali tedeschi è sceso sotto il 2,1%, segno che gli investitori temono una crescita debole più dell’inflazione. Nel frattempo, l’indice Euro Stoxx 50 ha perso il 3,4% in due settimane, zavorrato soprattutto dai titoli ciclici e manifatturieri.
“Il mercato prezza una BCE in stallo e una crescita che non decolla”, ha commentato Holger Schmieding, capo economista di Berenberg. “Se i tassi restano alti con questa crescita, non è un soft landing: è stagflazione piena”.
L’Italia: crescita debole, inflazione più bassa
In questo contesto, l’Italia sorprende. L’inflazione a giugno è scesa all’1,4%, la più bassa tra le grandi economie europee. Ma non è una buona notizia in assoluto: “Riflette una domanda interna molto debole, e non solo un contenimento dei prezzi”, ha avvertito Giampaolo Galli.
Il PIL italiano è stimato in crescita dello 0,6% nel 2025, ma con forti disparità territoriali e zero investimenti privati netti. Una ripresa “di facciata”, come l’ha definita la CGIA di Mestre.
Serve una politica fiscale comune?
In questo quadro, torna d’attualità la proposta di una politica fiscale europea coordinata. L’FMI invita i governi dell’eurozona a “non lasciare sola la BCE” e ad attivare stimoli mirati su lavoro giovanile, innovazione e green economy. “Altrimenti – scrive il Fondo – la trappola della stagflazione rischia di diventare permanente”.
Anche Mario Draghi, in un intervento al Brussels Economic Forum, ha rilanciato l’idea di un bilancio comune europeo: “Siamo in un momento simile al 2011. Se non agiamo ora, ci troveremo impreparati come allora”.