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L’Italia raggiunge la Francia nel Pil pro capite, ma resta lontana dai livelli pre-stagnazione

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
L’Italia raggiunge la Francia nel Pil pro capite, ma resta lontana dai livelli pre-stagnazione

Nel cuore di un’Europa scossa dalle tensioni geopolitiche e dalle turbolenze economiche globali, le ultime previsioni di primavera della Commissione europea delineano un quadro prudente per l’intera Eurozona. L’Italia, con una crescita prevista dello 0,7% nel 2025 e dello 0,9% nel 2026, si posiziona leggermente al di sotto della media dei Paesi che adottano la moneta unica. Eppure, al di là dei numeri complessivi poco entusiasmanti, è su alcuni indicatori specifici che si scorge una luce nuova per l’economia italiana: uno su tutti è il Pil pro capite a parità di potere d’acquisto, che tiene conto del potenziale economico reale degli individui al netto dell’inflazione e delle distorsioni demografiche.

L’Italia raggiunge la Francia nel Pil pro capite, ma resta lontana dai livelli pre-stagnazione

Nel 2025, secondo i dati elaborati dalla Commissione Ue, l’Italia ha finalmente raggiunto la Francia in termini di Pil pro capite, cancellando un divario che nel 2020 era del 10,1% e che nel 2015 si attestava ancora all’8,8%. Si tratta di un risultato rilevante, che testimonia una lenta ma costante ricostruzione del tessuto economico nazionale dopo la pandemia. Parallelamente, si è dimezzato lo “spread” con la Germania, oggi al 13,9% contro il 24,3% di cinque anni fa. Anche la distanza dalla media dell’Eurozona si è ridotta in modo significativo: dal 10,7% del 2020 si è passati a un più contenuto 5,9%.

Meriti e limiti della ripresa
Alla base di questi progressi si colloca una spinta occupazionale importante, con livelli record toccati negli ultimi due anni. Tuttavia, questa crescita dell’occupazione non si traduce sempre in un aumento proporzionale del prodotto per occupato, segno che la qualità del lavoro rimane un nodo da sciogliere. È un miglioramento che si innesta comunque su una base fragile: il prodotto pro capite italiano, oggi, vale ancora il 5,9% in meno rispetto alla media dell’Eurozona, mentre nel 2000 lo superava del 7,6%, per poi allinearsi nel 2005 e calare progressivamente fino al -2,5% del 2010. È la conseguenza diretta della stagnazione economica ventennale che ha paralizzato la crescita reale tra il 2000 e il 2019, periodo in cui il tasso medio annuo si è fermato a un misero 0,38%.

Il peso dell’Italia sull’economia dell’Eurozona

Il quadro diventa ancor più eloquente se si guarda al peso complessivo dell’economia italiana nell’Eurozona: dal 18,9% del 2000 si è scesi al minimo storico del 15,3% nel 2020, con un timido rimbalzo al 15,7% previsto per quest’anno. È proprio su questo fronte che il confronto con Francia e Spagna si fa più delicato. La Francia, che venticinque anni fa era quasi sullo stesso livello, oggi mantiene un vantaggio del 14,4% in termini di peso economico assoluto. La Spagna, invece, riduce progressivamente il distacco: se nel 2000 produceva il 76,6% in meno rispetto all’Italia, oggi il divario si è ridotto al 26,9%.

La sfida per il futuro

I dati della Commissione Ue restituiscono un’Italia che ha recuperato posizioni relative, ma che resta lontana dai livelli di benessere e centralità economica dei primi anni Duemila. Se da un lato il Pil pro capite offre segnali incoraggianti, la debolezza strutturale del prodotto complessivo e il peso del debito pubblico restano fattori di vulnerabilità. La stagnazione che ha segnato l’inizio del secolo continua a far sentire i suoi effetti e, a meno di un deciso cambio di passo nella produttività, negli investimenti e nelle riforme, il rischio è quello di un consolidamento di un’Italia a metà del guado: più solida di ieri, ma ancora distante dal ruolo economico che aveva conquistato nel cuore dell’Europa.

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