Il rapporto Istat disegna un'Italia in chiaroscuro, tra crisi e voglia di ripartire

- di: Redazione
 
È un quadro ancora preoccupante quello che fa dell'Italia il 29/mo rapporto dell'Istat, presentato alla Camera dal presidente Giancarlo Blangiardo, che mette in evidenza come il Paese paghi ancora pesantemente l’emergenza sanitaria da Covid-19 - quindi anche la non sempre linearità delle misure di contrasto che sono state adottate da marzo 2020 in avanti - e le sue ricadute sul piano economico e sociale.

Nel rapporto si ricorda che il Pil italiano, dopo il dato drammatico dello scorso anno (-8,9%) dovuto al crollo della domanda interna, dovrebbe registrare nel 2021 un rialzo del 4,7%. Un dato confortato anche dai forti miglioramenti nella manifattura, nelle costruzioni e in alcuni comparti del terziario. Inducono a ottimismo anche le prospettive di brevissimo periodo che sono "decisamente positive" (secondo l'indagine sul clima di fiducia di imprese e consumatori). Una situazione complessiva, quella determinata dalla pandemia, che nel 2020 ha inciso profondamente sulle abitudini degli italiani, tanto che i consumi hanno subito una caduta di dimensioni molto ampie (-10,9%) e mai registrate dal dopoguerra.

Anche se i numeri generali mostrano che, sul piano dell'occupazione, c'è un moderato moderato recupero, a maggio ci sono 735 mila occupati in meno rispetto alla situazione antecedente all'emergenza sanitaria. Per quanto riguarda le dinamiche dei prezzi, dopo la stagnazione del 2020, nei primi mesi di quest'anno "la risalita del prezzo del petrolio e il recupero dell’attività hanno alimentato moderate spinte inflazionistiche". I trasferimenti alle famiglie hanno limitato la caduta del reddito disponibile (-2,8%). A fronte di questo, il calo dei consumi è stato ben più ampio di quello del reddito. Quindi "il tasso di risparmio è quasi raddoppiato", mentre l'andamento della curva dei consumi ha mostrato un calo al Nord rispetto a Centro e Mezzogiorno.

Secondo l'Istat, i primi segnali di stabilizzazione dell’economia "riflettono soprattutto il recupero del settore manifatturiero, al quale contribuisce il rilancio della domanda internazionale, e del settore delle costruzioni, che ha avuto una evoluzione molto positiva già dalla seconda parte del 2020, proseguita nel primo scorcio dell’anno in corso". Gli effetti economici dell’emergenza sanitaria hanno influenzato in maniera diversificata le attività del terziario.
Se in alcuni settori il recupero, rispetto alla situazione ante-pandemia, è stato quasi completato, in altri - in particolare alberghi e pubblici esercizi - il fatturato "resta lontanissimo dal livello precedente la crisi". Un prezzo pesantissimo alla crisi è stato pagato dal turismo estero, il cui crollo ha determinato una caduta di circa il 60% della spesa per consumi dei non residenti.
Come intuibile, la crisi ha toccato profondamente i livelli occupazionali, il cui calo ha riguardato all’inizio principalmente i dipendenti a termine e gli indipendenti, poi anche i lavoratori a tempo indeterminato.

Significativo, nel rapporto, la sottolineatura che "la crisi sanitaria ha penalizzato particolarmente i settori a prevalenza femminile. Di conseguenza le donne hanno sperimentato una diminuzione marcata dell’occupazione nel 2020, ma hanno beneficiato di più del recente recupero". Gli effetti della crisi hanno determinato nel 2020 una caduta complessiva del monte retributivo del 7,6% (+1,6% nel 2019), con il picco registrato nel secondo trimestre, ma all’inizio di quest’anno, grazie alla risalita dell’utilizzo dell’input di lavoro, si è osservata una lieve crescita
tendenziale (+0,7%). mento rispetto all’anno precedente.

Pesanti le ripercussioni della crisi sulla normale gestione operativa delle imprese, sulla regolarità dei flussi di cassa, sulla disponibilità di liquidità e, di conseguenza, sulle modalità di finanziamento sul mercato del credito. L'Istat rimarca, poi, come il 2020 è stato un anno particolare per la finanza pubblica, "condizionato dalla crisi economica e dalle imponenti misure adottate per contrastare la pandemia e i suoi effetti. In questo contesto eccezionale, l’Unione europea ha sospeso i vincoli di bilancio per i Paesi membri: nel nostro Paese il disavanzo
ha toccato il 9,5% del Pil, contribuendo a far salire notevolmente l’incidenza del debito, che ha raggiunto il 155,8%"
. Comunque "le prospettive di brevissimo periodo sono decisamente positive: in particolare, gli indici del clima di fiducia delle imprese, già in risalita nei primi mesi dell’anno, hanno registrato a maggio e ancor più a giugno un miglioramento molto veloce, salendo a livelli particolarmente alti, soprattutto per le costruzioni e l’industria".

Per quanto riguarda la situazione delle famiglie, il reddito primario è sceso di 92,8 miliardi di euro (-7,3%), con la propensione al risparmio salita dall’8,1 al 15,8%. I cali maggiori nella spesa delle famiglie riguardano i settori sui quali le misure di contenimento hanno inciso di più: servizi ricettivi e di ristorazione (-38,9%) e ricreazione, spettacoli e cultura (-26,4); molto colpiti anche quelli più penalizzati dalle limitazioni alla circolazione e alla socialità: trasporti (-24,6%) e abbigliamento e calzature (-23,3%).
La povertà assoluta è in forte crescita e interessa nel 2020 oltre 2 milioni di famiglie (7,7% dal 6,4% del 2019) e più di 5,6 milioni di individui (9,4% dal 7,7%). Coerentemente con l’andamento dei consumi, la condizione peggiora di più al Nord che al Centro e nel Mezzogiorno. Nel Mezzogiorno vi è ancora i l’incidenza più elevata (9,4% l’incidenza familiare), nel Centro la più bassa (5,4%).

Il rapporto dell'Istat certifica il ritardo del Paese per quanto attiene all'istruzione universitaria. L’Italia è in ritardo sull’istruzione rispetto agli altri paesi dei 27 dell'27, soprattutto per la formazione universitaria: appena il 20,1% degli individui di 25-64 anni risulta aver conseguito un titolo terziario in Italia, contro il 32,5% nel resto dell'Europa. Il nostro Paese si colloca, quindi, al penultimo posto nella graduatoria europea per quota di laureati tra i giovani 30-34enni (27,8% contro 40% della media europea), anche se il progresso nell’ultimo decennio è stato in media più rapido. Il gap con il resto d’Europa riguarda anche le donne (34,3% di laureate in Italia contro 46,2% della Ue), che pure hanno una maggiore probabilità di laurearsi rispetto agli uomini (21,4% di laureati in Italia, ultima posizione, contro 35,7%).

I dati macroeconomici, relativi alle imprese con almeno tre addetti, consente la loro classificazione sulla base della solidità strutturale: solide ("in grado di reagire a una crisi esogena, con lievi
conseguenze sulla operatività aziendale");
resistenti ("con elementi di vulnerabilità che, nelle stesse condizioni, possono limitare la propria esposizione alla crisi"); fragili ("colpite severamente, ma non a rischio operativo"); a rischio strutturale ("imprese che subiscono conseguenze tali da metterne a repentaglio l’operatività").

Le "solide" sono solo l’11%, ma spiegano il 46,3% dell’occupazione e il 68,8% del valore aggiunto. All’opposto, le imprese "a rischio strutturale" sono il 44,8% del totale ma hanno un peso economico più limitato (20,6% degli addetti e 6,9% del valore aggiunto). Poco numerose le "fragili" (circa il 25%; 15,2% degli addetti e 9,4% del valore aggiunto) e le "resistenti" (19,0% del totale, 17,9% dell’occupazione e 14,9% del valore aggiunto).

Il rapporto è consultabile qui.

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