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Irap sulle banche, il conto della manovra lo pagano gli istituti

- di: Bruno Coletta
 
Irap sulle banche, il conto della manovra lo pagano gli istituti

Il cuore della manovra è il nuovo prelievo sugli istituti di credito.

(Foto: il ministro a Economia e Finanze, Giovanni Giorgetti).

La vera notizia della manovra non è l’oro di Bankitalia né le tasse minori sparse qua e là: il cuore dell’operazione è l’aumento dell’Irap sulle banche, chiamate a finanziare una fetta decisiva delle coperture. La maggioranza, alla ricerca di oltre un miliardo di euro per correggere la legge di bilancio senza toccare direttamente buste paga e pensioni, ha deciso di imboccare ancora una volta la strada del prelievo sul settore del credito.

Nelle riunioni di governo e di maggioranza è emersa una linea chiara: gli istituti di grandi dimensioni, reduci da anni di utili robusti grazie anche alla lunga stagione dei tassi alti, devono contribuire in modo più consistente allo sforzo di finanza pubblica. Da qui l’idea di ritoccare verso l’alto l’aliquota Irap specifica per le banche, con un incremento di mezzo punto percentuale rispetto all’ultima versione della manovra.

L’operazione viene presentata come una scelta di “equità”, in grado di salvaguardare famiglie e imprese da nuovi sacrifici diretti. Ma nel settore cresce l’allarme: il rischio è che il conto, prima o poi, si scarichi su clienti e territorio, sotto forma di commissioni più alte, minori investimenti e credito più selettivo.

Come cambia l’Irap: numeri, soglie e chi viene colpito davvero

Per comprendere il peso della misura bisogna guardare ai numeri. La manovra prevede un aumento di 0,5 punti dell’Irap sulle banche rispetto al rialzo già inserito in bozza. In termini pratici significa che la tassazione regionale sul valore della produzione delle banche cresce ancora, portando il prelievo su livelli che il settore giudica ormai “al limite” della sostenibilità.

Secondo le stime circolate nei palazzi parlamentari, il gettito aggiuntivo atteso da questo ritocco dovrebbe sfiorare i 200 milioni di euro, cifra che contribuisce alla “caccia al miliardo” con cui il governo vuole blindare i saldi della manovra. Per evitare di colpire indistintamente tutto il sistema, è allo studio una franchigia pensata per escludere gli istituti più piccoli, con uno o pochissimi sportelli.

Proprio qui, però, si consuma il primo cortocircuito. La soglia ipotizzata – un ammontare relativamente contenuto di Irap dovuta, oltre il quale scatta il nuovo sovrapprezzo – rischia di essere troppo bassa per lasciare davvero indenne il mondo del credito locale. Molte banche di dimensioni ridotte, soprattutto nei territori più fragili, finirebbero di fatto a rientrare nel perimetro del super-prelievo insieme ai grandi gruppi nazionali.

In altre parole, nella versione che oggi si discute, l’aumento dell’Irap tenderebbe a colpire l’intero comparto, con un impatto difficilmente neutro sull’erogazione di credito e sui margini delle banche medie e piccole.

Gli obiettivi del governo: coprire la manovra senza toccare salari e pensioni

Dietro il nuovo scatto dell’Irap c’è un obiettivo politico e contabile ben preciso: modificare la manovra senza aprire un fronte diretto con lavoratori e pensionati. Le correzioni concordate nella riunione di maggioranza – dagli interventi sugli affitti brevi all’ampliamento dell’esenzione Isee sulla prima casa, fino alle misure per le forze dell’ordine – hanno bisogno di coperture immediate e stabili.

Da qui la scelta di concentrarsi su soggetti considerati “forti”: banche, assicurazioni, grandi operatori dei servizi. Il ragionamento è semplice: chi ha beneficiato maggiormente del ciclo degli ultimi anni può sopportare un prelievo aggiuntivo, consentendo al governo di mantenere promesse su cuneo fiscale, welfare e sicurezza senza toccare in modo plateale il portafoglio degli elettori.

La presenza costante della Ragioneria generale dello Stato ai tavoli tecnici segnala però quanto il margine di manovra sia stretto. Ogni concessione in più su detrazioni, esenzioni e spesa sociale deve essere immediatamente compensata da entrate certe. L’Irap sulle banche diventa così il tassello chiave di un puzzle delicatissimo.

La reazione del settore: allarme su credito, investimenti e territorio

Dal lato delle banche, il clima è tutt’altro che sereno. I vertici degli istituti, pur mantenendo toni pubblici cauti, osservano che il settore è già stato oggetto di più interventi fiscali mirati negli ultimi anni, dai prelievi sugli extraprofitti legati ai tassi alle varie rimodulazioni delle imposte specifiche.

Tra gli addetti ai lavori è diffusa una preoccupazione: un’ulteriore stretta rischia di spingere le banche a difendere la redditività tagliando ciò che è più facile tagliare, cioè investimenti, filiali meno redditizie e credito più rischioso. In particolare potrebbero soffrire le piccole e medie imprese, le startup e le realtà territoriali che più dipendono dal rapporto diretto con l’istituto locale.

Una parte del mondo bancario teme anche effetti indiretti sui piani industriali già approvati, che spesso si basano su previsioni di redditività oggi rese più incerte. E se la politica insiste sul fatto che la manovra non toccherà conti correnti e mutui, il timore è che, nel medio periodo, i costi vengano recuperati aumentando commissioni e oneri accessori per i clienti.

Piccole banche e credito locale: il rischio di essere schiacciati

La promessa della maggioranza è limitare l’aumento dell’Irap alle grandi banche. Ma se la franchigia restasse troppo bassa, il provvedimento finirebbe per coinvolgere anche gli istituti minori, proprio quelli che rappresentano spesso l’unico presidio finanziario in molti territori periferici.

Per questi soggetti, un aggravio fiscale aggiuntivo può tradursi in una minore capacità di sostenere il tessuto produttivo locale. Meno margini significa meno possibilità di accompagnare investimenti, transizioni tecnologiche, progetti di sviluppo. E in una fase in cui il credito è già più selettivo, il rischio è quello di accentuare il divario tra aree forti e aree deboli del Paese.

È per questo che, dietro le quinte, molti osservatori invocano una vera differenziazione tra big player e banche territoriali, con soglie e criteri calibrati in modo da non danneggiare chi svolge un ruolo di servizio pubblico nei territori meno attrattivi per i grandi gruppi.

Il nodo della concorrenza e la tentazione di colpire sempre gli stessi

Il dibattito sull’Irap alle banche ha anche una dimensione più ampia di politica economica. Da un lato c’è l’argomento, politicamente molto spendibile, secondo cui chi ha accumulato profitti record deve restituire qualcosa alla collettività. Dall’altro c’è la preoccupazione che l’Italia continui a colpire in modo ripetuto un numero ristretto di settori “visibili” – banche, energia, assicurazioni – trascurando i problemi strutturali del fisco.

Un sistema che interviene a colpi di prelievi selettivi, spesso introdotti e modificati nel giro di pochi anni, riduce la prevedibilità delle regole e rischia di frenare gli investimenti di lungo periodo. La concorrenza, anche tra sistemi fiscali europei, si gioca sempre di più sulla stabilità del quadro di riferimento, non solo sui numeri.

In questo scenario, l’aumento dell’Irap sulle banche viene letto da alcuni analisti come l’ennesima conferma di una strategia che preferisce colpire chi è più facile da colpire, piuttosto che affrontare il dossier – politicamente esplosivo – di una riforma complessiva del prelievo.

Che cosa può succedere adesso: margini di modifica e possibili scenari

Il percorso parlamentare della manovra è ancora in corso, e gli stessi protagonisti della maggioranza parlano di “passi avanti” ma ammettono che sulle coperture definitive servirà un confronto ulteriore. L’aumento dell’Irap sulle banche, pur essendo al momento la leva principale, potrebbe essere ritoccato nella soglia o nei criteri di applicazione, se il dialogo con il settore dovesse evidenziare rischi eccessivi.

Un’ipotesi in discussione è quella di rafforzare davvero il filtro per gli istituti minori, alzando la franchigia o introducendo indicatori dimensionali più sofisticati. Un’altra possibilità è affiancare al super-Irap sulle banche altre entrate meno “concentrate”, ad esempio imposte su consumi specifici o ritocchi mirati su altri comparti.

Una cosa è certa: la decisione finale sull’Irap non sarà solo un tecnicismo da addetti ai lavori. Da come verrà calibrato questo prelievo dipenderà l’equilibrio tra conti pubblici, stabilità del sistema bancario e capacità di tenere aperti i rubinetti del credito. È lì, molto più che nel dibattito simbolico sull’oro di Bankitalia, che si gioca il vero equilibrio della manovra.

Perché l’Irap sulle banche è il vero termometro della manovra

Al netto delle polemiche sull’oro e delle schermaglie politiche, la realtà è che la manovra si regge sulla scelta di chiedere alle banche un contributo aggiuntivo. Se il nuovo prelievo sarà calibrato male, il rischio è di ottenere un duplice effetto boomerang: indebolire il settore senza portare a casa il gettito atteso e comprimere ulteriormente il credito in una fase in cui imprese e famiglie avrebbero bisogno di più sostegno, non di meno.

Al contrario, un intervento ben disegnato, con una chiara distinzione tra grandi gruppi e realtà territoriali, potrebbe garantire le risorse necessarie senza spezzare l’equilibrio del sistema. Per questo l’aumento dell’Irap sulle banche non è solo una voce di bilancio: è il termometro politico ed economico di quanto il Paese sia in grado di chiedere un contributo straordinario a chi ha di più senza colpire, alla fine, chi ha di meno.

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