Definisce “bizzarrissimo” il successo del suo libro Senza Veli. Ricordi dell’archeologo che scoprì Ebla (il Mulino, pagg. 168, euro 17), ed è il primo a schermirsi per l’inaspettato risultato che, a differenza delle sue opere scientifiche, solleva anche i veli, appunto, su un aspetto più umano e meno conosciuto. Paolo Matthiae, Professore Emerito dell’Università di Roma La Sapienza, accademico dei Lincei, recentemente insignito del Premio Mozia, rinominato Monsieur Ebla dai colleghi francesi, colui al quale si deve una delle scoperte archeologiche più rilevanti del Novecento che, come affermarono gli statunitensi, ha cambiato la storia riscrivendola, dopo aver riposto il piccone ripercorre il filo dei ricordi che lo legano al sito dove ha scavato per 47 anni, dai primi momenti inebrianti di un’intuizione folgorante alle amicizie più profonde agli episodi di vita quotidiana, a cominciare dagli amatissimi gatti che affollavano il cantiere, tra cui Filippo, immortalato sulla copertina del libro: “l’amante dei gatti è mia moglie” sorride il professore, aggiungendo, “ma io l’ho seguita. Mi stanno molto simpatici”.
Professore, perché scrivere un libro tanto diverso dagli altri?
Per me è stata un’esperienza completamente diversa da quelle cui sono abituato: sono una persona che non ama molto parlare di sé. Ma c'erano diversi aspetti della mia vita di studioso e di archeologo militante che con il passare degli anni sono stati fraintesi o non si sapeva più come fossero accaduti: le cose si deteriorano nel tempo e ho voluto puntualizzare avvenimenti così come li ho vissuti e in parte ne sono stato protagonista. Ad esempio, la creazione del "paniere dei grandi scavi" da parte di Antonio Ruberti, allora Rettore dell'Università di Roma La Sapienza, che garantiva fondi stabili per le principali missioni archeologiche dell'università, senza gravare sul bilancio della Facoltà di Lettere e Filosofia. Mi ero accorto che anche colleghi ragionevolissimi sapevano di questo paniere ma non ne conoscevano l’origine. Ruberti all’epoca mi disse, sono un ingegnere e non mi occupo di archeologia però mi rendo conto che se il Times ha scritto un articolo a 9 colonne in prima pagina sulla tua scoperta deve essere qualcosa di particolarmente rilevante, e offrì il suo supporto, chiedendo di identificare le missioni più significative che furono poi riconosciute dal Senato Accademico come d'interesse per l'intera università, assicurando un finanziamento annuale con un’iniziativa che perdura ancora oggi. Ho ricordato anche la fondazione del Congresso internazionale di Archeologia del Vicino Oriente Antico, che ho creato nel 1998 e si è rivelato fondamentale per riunire studiosi di tutto il mondo, colmando una lacuna importante: mentre l'archeologia classica e preistorica avevano già i loro congressi internazionali, l'archeologia orientale ne era priva. La ragione principale risiedeva nelle tensioni politiche del Vicino Oriente, che rendevano impensabile riunire studiosi provenienti da paesi in conflitto, come arabi e israeliani, turchi e ciprioti. Ebbi l’audacia di dire ci provo, vediamo che succede. C’è stato qualche piccolo problema iniziale di cui parlo nel mio libro, ma ha avuto un grande successo che prosegue ancora oggi. Ho presieduto l'evento fino a diventare presidente onorario e resta un’importante occasione di incontro e confronto per la comunità scientifica internazionale.
Oggi la collina di Ebla è semidistrutta, con i cantieri di scavo trasformati in trincee militari e parte delle tavolette cuneiformi vendute sul mercato clandestino. Cosa ne sarà in futuro?
Ebla è un sito di straordinario interesse anche ora che è molto malconciato. I miei successori hanno ricominciato la riabilitazione del sito e stanno già accadendo eventi straordinari: le concessioni attuali di scavo in Siria sono date sempre come missioni congiunte. Solo per Ebla hanno fatto la straordinaria eccezione di essere, come è sempre stata, una concessione di scavo dell’Università di Roma La Sapienza, senza essere siroitaliana. È una missione italiana che naturalmente collabora nel modo più totale con la Direzione generale delle antichità e col ministero della cultura di Damasco. Davide Nadali, professore associato della mia cattedra di Archeologia del Vicino Oriente Antico è andato per riabilitare il sito, sconciato dall'occupazione di Al Qaeda. La situazione è fortemente ristabilita e c'è sempre il controllo dell'esercito: anche senza operai, ancora allontanati anche se sembra possano tornare da un momento all’altro, ha lavorato con gli studenti dell'università di Aleppo, e poter lavorare a Ebla li faceva impazzire di gioia. Riabilitare il sito significa rimuovere questi terreni buttati in aria dalle trincee militari di Al Qaeda verificando con una fortissima setacciatura tutto quello che possano contenere. La direzione generale delle antichità di Damasco tiene moltissimo al sito di Ebla e ci ha chiesto di sistemarlo prima possibile. Tra l'altro il nostro governo ha deciso di riaprire le relazioni diplomatiche con la Siria e c'è un nuovo ambasciatore che andrà a Damasco, penso dal 1 novembre.
Il suo racconto è costellato anche di importanti rapporti con gli operai locali, i kazma, o picconi, tra cui Abdo, con un talento speciale per l’archeologia.
Tenevo moltissimo alla mia familiarità con gli operai, a cui nel ricordo tengo ancora di più. Quando decidevo di fare un nuovo scavo dicevo sempre a Abdo, vieni con me, devo farti vedere una cosa, e lo portavo in un sito del tell. Rimanevo esterrefatto perché lui senza strumenti, soltanto con le mani, raschiava un pochino la terra e poi mi diceva sì qui fai bene se vuoi scavare, ed io gli chiedevo Abdo, perché la pensi così e lui, perché qui c'è una cenere simile a quella che troviamo nel Palazzo reale e ci sono due o tre frammenti di ceramica che sono identici a quelli di là. E io pensavo tra me e me, Abdo è bravissimo: ha capito esattamente i due elementi per cui anche io avrei scavato in quel dato posto. Posso dire che la mia familiarità con il terreno di Ebla e la mia familiarità con gli operai migliori è uno dei ricordi più forti che ho, ineliminabili.
Anche il suo modo di condurre lo scavo è stato innovativo.
Il libro è stata un’occasione anche per spiegare come ho condotto gli scavi. Ebla è particolare e credo che in Italia sia considerata una sorta di gloria nazionale. Gli archeologi possono lavorare in maniera molto diversa sul cantiere, possono lavorare occupandosi soltanto di un problema di un sito, a molti archeologi piace andare da un sito a un altro. Io, lo dico sorridendo, mi definisco un archeologo stanziale: ho scavato anche in altri tre o quattro posti per breve tempo ma soltanto a questo sito ho dedicato tutta la mia vita e non credo che molti lo sappiano. E un’altra cosa un po’ bizzarra che non ho detto neppure nel libro: io non sono una persona superstiziosa, non credo ad alcuna superstizione, ma a una cosa ho sempre tenuto, nei limiti del possibile: non mancare neppure un anno dal 1964 finché ho potuto, fino al 2010. Persino quando feci il servizio militare mi congedarono 4-5 mesi prima, eccezionalmente, con una decisione del Ministero della Difesa perché io potessi andare in Siria a dirigere la missione. Appena tolsi l’uniforme da soldato, un generale mi disse, senta, lei sarebbe stato un eccellente ufficiale, perché non ha fatto l'ufficiale? E io risposi, perché così pensavo di essere più libero, quindi mi precipitai immediatamente in Siria. Conducevo lo scavo in un certo modo: avevo sempre 3 o 4, massimo 5 aree di scavo in cui si lavorava contemporaneamente e passavo le 7 ore di lavoro sul sito circolando su tutti i cantieri. Quindi riuscivo a seguire tutto: certo, ne seguivo alcuni di più, perché più importanti magari, ma non succedeva mai in tutta la giornata che io non passassi su tutti i cantieri e verificassi come le cose stessero andando avanti e come secondo me dovevano andare avanti. Ho sempre considerato Ebla un sito così straordinario da meritare un impegno personale particolare. In questo “Senza Veli” credo di essere riuscito a dare il senso di questo modo di lavorare, di cui devo dire e lo dico adesso, perché a 84 anni posso pure farlo, sono molto fiero e orgoglioso perché se non avessi agito in questo modo, Ebla avrebbe dato molto meno e io ho sempre sentito una sorta di identificazione con questo sito.
Quindi le piace essere chiamato Monsieur Ebla?
Mi sta bene, dico sempre che posso essere considerato un archeologo fortunato. La vera fortuna che ho avuto è stata duplice: innanzitutto perché quando trovai gli archivi reali di Ebla, del 2350 a.C. circa, erano praticamente intatti e poi perché all’epoca il Rettore de La Sapienza era Antonio Ruberti.
Nel libro lei ricorda amicizie preziose.
Ho ricordato avvenimenti che mi è piaciuto rimettere in ordine e poi esperienze personali diverse. Non so che effetto faccia. Ho ricordato alcuni personaggi soprattutto per descrivere quello che io stesso ho percepito con straordinarie occasioni di amicizia che mi sono capitate nella vita. Alcuni mi è parso doveroso ricordarli cercando di definire quello che questi studiosi hanno fatto secondo me di straordinario. Antonia Ciasca, docente di Archeologia Fenicio-Punica, carissima persona, straordinaria umanamente, l‘ho conosciuta quando ero giovanissimo. Poi, Mario Liverani, amico per tutta una vita e tuttora lo è, un eccellente studioso che ha rivoluzionato completamente il modo di fare storia.
Tra i suoi incontri, menziona anche figure di spicco come Carlo Maria Martini e Giorgio Napolitano. Cosa può dirci di loro?
Ricordo con grande affetto l’incontro con Carlo Maria Martini, che chiese di visitare la mostra su Ebla che avevamo organizzato a Palazzo Venezia. Era affascinato dalla nostra scoperta, nonostante Ebla avesse nulla a che fare con l’archeologia biblica. Anche l’incontro con Giorgio Napolitano fu speciale e durante una visita in Siria volle vedere personalmente il sito di Ebla. Il presidente e la first lady di Siria allora mi dissero che sarebbero venuti anche loro perché consideravano Ebla un territorio non solo siriano ma anche italiano e ci tenevano ad essere presenti. La foto pubblicata nel libro è proprio di quella visita, con Napolitano, Clio, la signora Assad e il presidente Bashar.
Che ricordi ha del presidente el-Assad e sua moglie?
La first lady di Siria era una carissima persona. Si era appassionata molto agli scavi archeologici e aveva l’abitudine di recarsi anche nei villaggi più sperduti, dove teneva molto che si costruissero scuole elementari. Era interessata all’archeologia, venne diverse volte a visitare Ebla. All’inizio arrivava con la scorta, ma poi iniziò a venire da sola, guidando lei stessa con la sua segretaria. Mi chiedeva sempre: "Professore, mi fa vedere tutto quello che sta facendo?". Una volta le chiesi se preferisse prendere l’auto per visitare il sito, visto quanto era grande, ma rispose che preferiva camminare. Ricordo un episodio che mi colpì particolarmente: cominciò a parlare con tutti gli operai che appena la videro naturalmente applaudirono e dato che stavano scavando in quella che poteva essere una tomba scavata in una roccia, volle scendere a visitarla nonostante i rischi e la mia preoccupazione. Mi disse "Non si preoccupi, scendo e poi risalgo", ed è andata benissimo. Tempo fa vidi un'intervista di Monica Maggioni al presidente: lei fu molto brava e, a una sua domanda, il presidente si dichiarò pronto a ritirarsi dalla politica, ma a due condizioni. La prima, che la Siria rimanesse intatta nei suoi confini attuali, poiché c’erano aree controllate dai ribelli. La seconda, che lo stato di laicità del paese rimanesse intatto. Mi sono chiesto perché gli europei facciano così fatica a credere a queste parole. Non è del tutto comprensibile che voglia mantenere l’integrità del suo paese e preservarne la laicità affinché non diventi una repubblica islamica? Noi occidentali non potremmo volere di più. Certo, il modo in cui hanno affrontato il terrorismo può sembrare meno democratico rispetto ai nostri standard, lo riconosco. Ma considerare la Siria e la sua leadership come "l’immondizia del mondo" mi sembra inaccettabile. La narrativa corrente è micidiale.
Nel libro narra anche di Asaad, il coraggioso difensore di Palmira, ucciso dai terroristi. Lo conosceva personalmente?
Sì, lo conoscevo bene. Era una persona eccellente, molto gentile, originaria di una famiglia beduina, e ha dedicato la vita alla protezione del sito di Palmira. Quanto gli accadde fu una cosa davvero impressionante. Molti funzionari della Direzione delle Antichità siriana hanno perso la vita difendendo il patrimonio culturale del loro Paese: una tragedia, perché i ribelli volevano sfasciare anche siti islamici. Dichiararono, per esempio, “quando conquisteremo Damasco demoliremo il mausoleo del Saladino” ed è completamente impensabile perché è un idolo del mondo arabo islamico, ha completato la disfatta dei crociati in Palestina. Il criterio è che ogni culto di personaggi è inammissibile per questa fede rigorista, perché c'è una concezione di Dio talmente assoluta che anche una sorta di venerazione delle personalità è inammissibile.
Cosa direbbe a chi, magari dopo aver letto il suo libro, vuole fare l’archeologo?
L'archeologia è una disciplina che sta cambiando molto. Gli archeologi hanno come missione quella di recuperare, interpretare e tramandare al presente e al futuro le testimonianze del passato. Senza una conoscenza il più possibile approfondita e obiettiva del passato, non possiamo costruire un presente e un futuro solidi.
In "Senza Veli", parla del suo iniziale interesse per l’Egittologia. Ha mai avuto rimpianti per non essersi dedicato all’Egitto?
L’Egitto mi ha sempre affascinato e tuttora mi affascina: spero di andare a visitare il Grand Egyptian Museum costruito davanti alle piramidi di Giza. Durante l’università decisi che l’Egitto era straordinariamente affascinante e a 84 anni lo penso ancora, ma non permetteva, forse è un’idea sbagliata, di riuscire a fare qualcosa che fosse veramente nuovo e importante. L'ambizione di fondare una scuola italiana di archeologia del Vicino Oriente e di dirigere una missione archeologica importante ha guidato le mie scelte. Ho cominciato a insegnare all'università molto giovane. Quando sono diventato professore, questa disciplina era soltanto a Roma e a Torino, adesso praticamente è in quasi tutte le università d’Italia e in buona parte i professori ordinari di questa disciplina sono miei allievi. Ho avuto la fortuna di dedicarmi a un sito di straordinaria importanza che ho diretto per 47 campagne consecutive e che può ancora dare più di quanto ha dato finora: ne sono convintissimo.