Don Antonio Coluccia: "Per sconfiggere il male offriamo ai giovani delle opportunità"

- di: Redazione
 
Don Antonio Coluccia è un giovane sacerdote di periferia che, per il suo impegno a Roma contro la criminalità di strada del suo quartiere (San Basilio), vive da anni sotto scorta. Ma questo non ha fermato la sua opera a favore degli emarginati - che riceve nel centro di accoglienza che ha istituito e che va anche a cercare per le strade of-frendo un aiuto, oltre alla parola di Dio. Lo abbiamo intervistato.

Intervista a Don Antonio Coluccia

Don Coluccia, lei è un uomo di Dio che crede nella funzione sociale della Chiesa. Per la sua attività le sono stati dati dei soprannomi: prete di strada, prete coraggio, pre-te degli ultimi. Lei come si definisce?
Semplicemente un sacerdote della Chiesa cattolica, della Chiesa di Dio. Credo che ogni sacerdote abbia la missione di annunciare e divulgare il Vangelo: un Vangelo che abbraccia, che non discrimina, che ti libera da ogni struttura maligna, che ti sappia umanizzare e sappia dire ad ogni uomo e donna di buona volontà ‘prendi il largo’, in un tempo in cui tutto sembra che vada male, in cui stiamo vivendo una pandemia e la mancanza di lavoro per i giovani. Il quartiere romano di San Basilio è abitato da tante persone oneste, ma molto spesso è conosciuto per essere una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa. Parliamo di un territorio militarizzato che porta con sé i segni della sofferenza e dell’abbandono dello Stato: laddove ci sono organizzazioni criminali ed i giovani che fanno le vedette tutto il giorno, infatti, significa che lo Stato non è presente. In questi territori le Istituzioni devono farsi vedere ed io personalmente ho cercato di coinvolgere le Istituzioni locali e nazionali, nonché il Sindaco in prima persona che ha dimostrato di dare dei segni di prossimità concreti. Ricordo che quando arrivai in questo quartiere non era presente l’illuminazione pubblica perché, puntualmente, le organizzazioni criminali facevano salire qualcuno sui pali della luce per annerire le plafoniere così da non illuminare la strada. Questo è un territorio in cui è presente una vera e propria organizzazione che si sostituisce allo Stato e che riesce, inoltre, a dare anche una casa alle persone. Tutti noi parliamo di problemi delle periferie e di ripartenza da esse, ma c’è bisogno prima di tutto che si prenda coscienza davvero delle problematiche di queste zone. Vedere dei ragazzi che, neanche a 20 anni, girano con una Ferrari con targhe non italiane rappresenta davvero un fallimento sociale. San Basilio è una sorta di Gomorra romana, laddove a volte nemmeno le Forze di polizia molto spesso possono fare qualcosa.

Le strade di San Basilio, oltre al loro carico di dolore, sono anche intrise di violenza. Lo Stato quindi, non la Chiesa, rischia di perdere questa guerra. Cosa manca per sconfiggere il Male, che veste i panni dei pusher, degli sfruttatori, di coloro che vivono con e per la violenza?
Lo Stato, per vincere questa partita, ha bisogno di offrire proposte concrete, una su tutte il lavoro. A questi ragazzi dobbiamo offrire modelli diversi, non possiamo pro-porre loro uno stile di vita da vedetta e da spacciatore. A San Basilio ci sono tanti ragazzi che vanno a scuola e si laureano, addirittura un ragazzo ha portato come ar-gomento di esame di terza media le attività dell’Antimafia.
La Polizia di Stato ha un motto bellissimo: ‘esserci sempre’. La gente si deve abituare nel vedere le istituzioni presenti: per la prima volta, ad inizio anno, abbiamo avuto la presenza del Prefetto di Roma, del Sindaco e del Questore in un’iniziativa volta a sensibilizzare in particolare i più giovani sul valore della donazione del sangue e sull’importanza della cultura della legalità. Al cospetto di figure istituzionali le persone si sentono incoraggiate e al sicuro. In questo modo si prende in mano il proprio territorio e non lo si lascia in mano alle organizzazioni criminali.

Il suo impegno a favore dei giovani l’ha resa un personaggio noto, ben oltre i confini del quartiere dove porta avanti la sua missione. Di lei hanno parlato i media, ricor-dando come non esiti a scendere in strada e a parlare con ragazzini che, se lasciati soli, resterebbero impaniati nella criminalità. Può spiegare come riesce a dialogare con chi, giovane e quindi privo delle difese dell’esperienza, è esposto alla tentazione di varcare il confine tra lecito e illecito?
Ai giovani mi avvicino con molta fraternità e semplicità, cercando di dialogare con loro. Ultimamente, per esempio, scendo nelle strade di spaccio con un pallone, un modo semplice per comunicare e far vedere che sono dalla loro parte. Io cerco di entrare nella loro logica e, più in generale, nella loro vita e questo mi ha permesso di salvare qualche ragazzo e sradicarlo dalle piazze dello spaccio. Entrare in contatto con loro è determinante perché dobbiamo cercare di fornire soluzioni concrete parlando e capendo le loro esigenze. Parlare con una persona e consigliarla significa dare valore a quella persona stessa.
Il cambiamento infatti parte dalla presa di coscienza e responsabilità di ognuno di noi nel nostro piccolo. In tempo di pandemia, per esempio, ci sono state persone del quartiere di San Basilio che si sono rimboccate le maniche, sono scese in strada e hanno pulito ed abbellito i parchi e i giardini negli spazi comuni. Una dimostrazione di come, se le persone credono nella comunità, tutto diventa possibile. Noi cerchiamo costantemente di togliere i ragazzi dalla criminalità e di tenerli lontani dalla droga, ma la Chiesa da sola non può farcela e non può sostituirsi allo Stato.

Una villa confiscata ad un uomo della banda della Magliana trasformata in un centro di accoglienza; un locale, sottratto alla mafia, destinato a diventare una palestra di pugilato dove i ragazzi del gruppo sportivo della Polizia si alleneranno con i giovani del quartiere. Ma lei sembra avere ancora molti progetti da portare avanti. Ce li può illustrare?
Per ora è stato stipulato un accordo concreto fra Roma Capitale, Polizia di Stato ed i volontari dell’Opera di San Giustino, di cui sono fondatore e che ho l’onore di rap-presentare. Il nostro compito è portare continue proposte sul nostro territorio ed una di queste è proprio la volontà di confiscare gli immobili finiti in mano alla criminali-tà e consegnarli al quartiere per organizzare luoghi di incontro, palestre, luoghi di cultura e di dialogo. Il nostro compito va avanti giorno dopo giorno. Tante persone parlano di diritto alla casa, ma il diritto è una cosa, l’occupazione da parte della criminalità di immobili del comune è altro. Bisogna riportare ordine in queste zone e, per fare ciò, è necessaria la presenza dello Stato.

Dove trova la forza, oltre quella che le dà la Fede, per andare avanti in un ambiente che le è spesso ostile, arrivando a minacciarla di morte?
In quanto sacerdote la forza di andare avanti la trovo pregando nell’incontro quotidiano che ho con Cristo. Sono un vocazionista e una delle regole della mia famiglia reli-giosa è continuare ad avere sempre una connessione con Gesù. Cerco di vivere con semplicità la mia vita e, nei momenti di maggiore sconforto e abbandono, mi rivolgo a Cristo e trovo la forza di continuare a combattere e di essere prossimo con le persone.
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