Immigrazione regolare: la Spagna corre, l’Italia frena
Immigrazione regolare: la Spagna corre, l’Italia frena. Il report dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (OCPI) spiega perché Madrid funziona meglio.
Il lavoro dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (Osservatorio CPI, diretto da Carlo Cottarelli), firmato da
Enrico Franzetti, giunge a una conclusione è chiara:
la Spagna gestisce l’immigrazione regolare molto meglio dell’Italia,
soprattutto quando si guarda agli ingressi per motivi di lavoro.
Nel 2024, puntualizza il report dell’Osservatorio CPI,
la Spagna ha rilasciato 248 mila permessi di residenza a cittadini non comunitari,
il dato più alto degli ultimi quindici anni. Di questi,
88 mila, pari al 35%, sono stati concessi
per motivi di lavoro.
Secondo quanto afferma Franzetti, “questo flusso regolare di lavoratori è uno dei fattori che spiega
la maggiore crescita economica spagnola rispetto a quella italiana”
negli ultimi anni.
“In Spagna gli ingressi regolari per lavoro, in rapporto alla popolazione,
sono quasi il triplo di quelli italiani”,
evidenzia l’indagine dell’Osservatorio CPI.
Il modello spagnolo: lavoro al centro
L’approccio spagnolo all’immigrazione, ricostruisce Franzetti,
è cambiato nel tempo. Dopo anni di irregolarità strutturale,
la riforma del 2004 ha introdotto strumenti pensati per
rispondere alle esigenze del mercato del lavoro,
come il Catalogo delle occupazioni difficili da coprire.
Il risultato, evidenzia il report dell’Osservatorio CPI,
è un sistema capace di garantire
“continuità negli ingressi regolari”,
anche dopo la crisi del 2008 e attraverso governi di colore politico diverso.
L’origine dei migranti: il vantaggio dell’America Latina
Un altro elemento decisivo, sottolinea Franzetti,
è la composizione dei flussi. Nel 2024,
il 44% dei permessi è stato assegnato a cittadini
provenienti dall’America Latina.
“La comunanza linguistica e culturale,
insieme a regole più favorevoli per l’accesso alla cittadinanza,
facilita l’integrazione sociale”,
puntualizza il report dell’Osservatorio CPI.
Il confronto con l’Italia
In Italia, nel 2024, sono stati rilasciati
186 mila permessi di soggiorno,
ma la composizione è molto diversa:
prevalgono migranti africani (34%) e
asiatici (31%), mentre i latinoamericani rappresentano
solo il 12%.
Secondo l’indagine dell’Osservatorio CPI,
“questa struttura rende necessarie politiche di integrazione
e formazione più complesse”,
che però restano deboli o frammentarie.
Il nodo centrale resta però quello del lavoro:
nel 2024 gli ingressi effettivi per motivi lavorativi
sono stati solo 40 mila,
a fronte di 151 mila posti potenzialmente previsti
dal decreto flussi.
Burocrazia e colli di bottiglia
Afferma il report dell’Osservatorio che
“la distanza tra quote teoriche e ingressi reali
è dovuta in larga parte a una burocrazia complessa e inefficiente”.
Nel 2024, a fronte di 151 mila posti disponibili,
le imprese hanno presentato
quasi 680 mila domande,
ma i nulla osta rilasciati dalle prefetture
sono stati solo 84 mila.
Inoltre, evidenzia l’indagine dell’Osservatorio CPI,
“la durata limitata dei nulla osta e i tempi lunghi dei consolati
costringono spesso a ripetere l’intera procedura”,
scoraggiando imprese e lavoratori.
I numeri pro capite: il divario finale
Nel 2014, ricorda Franzetti,
Italia e Spagna avevano livelli simili:
circa 9 ingressi ogni 10 mila abitanti.
Nel 2024, invece, l’Italia è scesa a
6,9 ingressi ogni 10 mila abitanti,
mentre la Spagna è salita a
18,1, quasi il triplo.
“Senza un sistema semplice ed efficace,
l’immigrazione regolare non decolla
e il Paese rinuncia a crescita e occupazione”,
conclude il report dell’Osservatorio CPI.