Automotive: Governo e Fiom richiamano Stellantis al rispetto degli impegni

- di: Brian Green
 
Nell'era della globalizzazione, in cui i grandi conglomerati industriali cambiano sede e ''cuore'' a ritmi che sarebbero stato impensabili sino a pochi anni fa, una cosa emerge chiara, anzi inequivocabile: la vocazione nazionale di una azienda è un valore dismesso, qualcosa che se prima qualificava oggi penalizza, perché le alternative fiscali (leggi Paesi che offrono minore carico di tasse) si moltiplicano così come le tentazioni di dare un taglio netto alla tradizione.
Per quanto ci riguarda - parliamo da italiani - di esempi ne abbiamo a bizzeffe e il passare del tempo forse cancella dalla memoria la stranezza di alcune operazioni che hanno fisicamente allontanato da noi alcune aziende-simbolo, a cominciare da Fca (o ex Fiat, se più vi aggrada) che prima è volata nei Paesi Bassi, per godere di migliori condizioni in termine di trattamento fiscale), e poi ha dato vita a Stellantis, conseguenza di una comunanza di interessi con i francesi di Psa.

Ma questo non ha impedito al gruppo della casata Agnelli di bussare a denari con lo Stato italiano, ottenendo un prestito niente male (sei miliardi e 300 milioni di euro, grazie a Intesa Sanpaolo) che di sicuro ha portato maggiore serenità nei conti di Fca e, quindi, di conseguenza, di Stellantis. Certo, come per ogni credito concesso, sono state richieste garanzie che oggi però sembrano avere perso di credibilità. E non perché lo dicano i sindacati (con la Fiom Cgil che ha sempre avuto timori sulla fusione, preconizzando problemi per le maestranze degli stabilimenti italiani), ma perché al coro dei perplessi si aggiunge oggi il ministro Giancarlo Giorgetti che, in sede di audizione, ha detto, senza troppi ghirigori lessicali, che il governo intende richiamare il gruppo Stellantis in qualche modo agli impegni assunti, che non sono solo quelli meramente legati all'erogazione del prestito (grazie al quale Fca può pagare interessi più bassi), ma anche la garanzia del mantenimento dei livelli occupazioni degli stabilimenti italiani, a "non delocalizzare la produzione modelli e veicoli" e la piena occupazione entro il 2023. Impegni aggiuntivi che, assunti a giugno 2020, "restano in vigore anche a seguito della fusione di Fca con il gruppo automobilistico francese Psa".

Una bordata niente male, che fa capire che il Governo (e non solo il ministro dello Sviluppo economico) nutre preoccupazioni per il dopo fusione perché, è oggettivo, Stellantis sembra pendere troppo dal lato del socio francese (tanto da esprimere il presidente) che, per tradizione, salvaguarda in casa propria, ma non si fa certo troppi scrupoli se deve mettere in moto la falce all'estero.
Le accuse del sindacato, se possibile, sono ancora più specifiche perché toccano un testo, quello del trattamento economico riservato ai dipendenti italiani di Stellantis, che si sta dimostrando come potenzialmente deflagrante in materia di relazioni industriali.

In una nota congiunta Michele De Palma, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile automotive, e Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive per la Fiom-Cgil, dicono: "Stellantis ha registrato nel primo trimestre 2021 un 'solido fatturato', con un'ulteriore distribuzione straordinaria per gli azionisti, mentre per le lavoratrici e i lavoratori dei siti in Italia c'è stato l'aumento della cassa integrazione". Cioè, a fronte del verificarsi dell'atteso rimbalzo delle vendite e quindi del fatturato dopo il crollo dovuto alla pandemia, il management di Stellantis ha preferito distribuire dividenti agli azionisti piuttosto che allentare il peso della cassa integrazione per i suoi dipendenti italiani. Non sappiamo se Stellantis abbia risposto alle argomentazioni del sindacato ed anche del ministro Giorgetti. Ma la realtà dei fatti à ben difficile da smentire. Quindi, se l'euro torna a fluire nelle tasche degli azionisti, in quelle dei dipendenti italiani di Stellantis di soldi ne arrivano sempre di meno, anzi pochi.
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