Cronache dai Palazzi - Il governo sembra non risentire delle tensioni FdI-Lega, la coalizione invece sì
- di: Redazione
Se c'è una cosa che sembra caratterizzare l'azione politica di Matteo Salvini è l'impressione di perenne insofferenza che mostra non quando si trova all'opposizione (dove tale sentimento sarebbe ben giustificato), ma solo quando fa parte di un governo. Nei cui confronti, dopo l'entusiasmo iniziale e il continuo incensare l' intesa e mostrare l'ammaliamento verso gli alleati, fa piano piano emergere la voglia di mettersi in competizione con loro, prendendo spunto da qualsiasi argomento.
Politicamente è un atteggiamento ineccepibile, perché, se ci si sente considerati al di sotto delle proprie capacità, è normale che si faccia di tutto per vedersi riconoscere un ruolo di maggiore visibilità o responsabilità. Ma se questo canone si ripete ogni volta che la Lega (e quindi Salvini) entra nella stanza dei bottoni significa una cosa sola: che il segretario leghista non si fermerà sino a quando, a palazzo Chigi, potrà sedersi nella poltrona riservata al presidente del Consiglio.
Il governo sembra non risentire delle tensioni FdI-Lega, la coalizione invece sì
Capiamo: ciascuno deve alimentare le proprie ambizioni, nei temi e nei modi che ritiene più funzionali al raggiungimento del suo obiettivo. Ma Salvini lo fa camminando su un crinale sempre più stretto che, piuttosto che avvicinarlo al traguardo, ne rende il cammino difficilissimo. Non siamo ancora al cammello e alla cruna dell'ago, ma il rischio per il segretario della Lega è molto alto.
E questo rischia ha il nome e il cognome - Luca Zaia - di qualcuno che certo non è nel cuore di Salvini, per una serie di intuibili motivi. Eppure, reclamando la possibilità per i presidenti di Giunta regionale del terzo mandato, Salvini si è intestata una battaglia che formalmente riguarda tutti i presidenti, ma che ha Zaia il ''motivatore'' seppure involontario.
Mettere a rischio la tenuta della coalizione di destra-centro su un tema che alla gente interessa poco o affatto è cosa calcolata ben più di quanto si pensi.
Perché, se per Giorgia Meloni, quella del premierato (e del conseguente restringimento delle prerogative attuali del Presidente della Repubblica) è la madre di tutte le riforme, affermandolo il premier si espone al ricatto (sempre politico) della Lega che pone appunto premierato e terzo mandato sullo stesso piano.
Quindi se non passa uno, non passa nemmeno l'altro.
Una partita a poker con una posta altissima perché non è certo scontato che uno dei giocatori stia bluffando.
Se dovesse cedere alla ''pressante'' istanza della Lega sul terzo mandato dei presidenti di Regione, Fratelli d'Italia (e quindi, in prima battuta, Giorgia Meloni) rischia di perdere la faccia, e sin qui potrebbe anche accettarlo, ma darebbe fiato alle speranze di Salvini di cominciare a riempire il baratro in termini di voti e consensi che divide i due partiti, alimentandone la strategia, con imboscate e contrattacchi, manco fosse il Vietnam.
La battaglia in cui Salvini e la Lega si sono infilati potrebbe assumere il profilo di una guerra perché, se non si raggiunge un accordo (al momento impensabile, vista la distanza tra le posizioni), il logorante avvicinamento alle elezioni europee sfiancherebbe tutti. E' un prezzo che qualcuno intende veramente pagare?
Forse. Anche perché, in materia di possibilità di un terzo mandato per i presidenti delle giunte regionali, Fratelli d'Italia sa benissimo che, colpendo Luca Zaia, non si colpisce Salvini, ma il disegno che mira a mantenere il controllo del Veneto. Perché il ''doge'' se impossibilitato a ricandidarsi, una volta disoccupato potrebbe farsi sedurre dalla tentazione di scalare la Lega, forte del consenso che ha nel movimento, che vede la base con il segretario, ma non i vertici territoriali, che vorrebbero il movimento meno schierato su posizioni estreme, in Italia e in Europa. Quelle, appunto, di Zaia.