La ''mia'' Giornata della memoria

- di: Germana Loizzi
 
Questa mattina, come faccio ormai da molti anni, una volta esaurite le prime incombenze delle mie giornate di donna, madre, moglie e imprenditrice, mi sono presa un po' di tempo per me stessa e sono tornata al Ghetto, il vecchio quartiere ebraico di Roma. Da sola.
Una breve passeggiata, ormai una piccola tradizione personale, che mi serve, quasi con un filo di sottile cattiveria verso me stessa, per farmi ricordare un dramma che ha cancellato la vita di milioni di persone.
La mia passeggiata al Ghetto la faccio in occasione della Giornata della Memoria non certo perché ne abbia bisogno, ma è un fatto di abitudine, non certo perché ci sia il pericolo che io dimentichi.
Perché anche se dovesse accadere - e non è mai accaduto - mi verrebbero in aiuto le tante manifestazioni, gli innumerevoli eventi che si organizzano in questa circostanza.

La ''mia'' Giornata della memoria

Ogni volta che vado in giro per i vecchi quartieri di Roma - purtroppo, ammetto, ormai molto raramente - e mi capita di passare accanto ad una delle pietre d'inciampo che, meritoriamente, sono state collocate a ricordo delle vittime dell'Olocausto, avverto netto il dolore che si mischia alla ribellione per quello che è stato consentito di fare ad un gruppo di uomini (ma lo erano veramente, uomini?) senza che il mondo capisse e intervenisse in tempo per fermare quella follia.

Talvolta mi chiedo se ha ancora senso, come pure dice qualcuno, ricordare quegli anni, quegli eventi e la risposta è sempre la stesso: sì. Perché allo stesso modo in cui non ci può essere una condanna collettiva, che metta insieme responsabili diretti e chi, sapendo, non si è opposto, non ci può essere una assoluzione che mondi delle colpe tutti coloro che hanno assistito ai primi vagiti dell'antisemitismo rifiutandosi di vedere quale ne sarebbe stato l'epilogo. Appena poche ore fa ho avuto modo di vedere un documentario sulla genesi del film che ha raccontato il processo di Norimberga. L'orrore non è stato guardare le immagini dei bulldozer con i quali i soldati americani gettavano i cadaveri degli internati morti per la mancanza di cibo (e, quindi, non passati per le camere a gas e per i forni crematori) in fosse comuni perché, in quegli anni, non c'era altro modo per dare loro una seppure indecorosa sepoltura.

L'orrore non è stato nemmeno vedere le condizioni di sopravvissuti che, forse, non ce l'hanno nemmeno fatta a ricostruire il loro corpo dopo mesi, forse anni, di privazioni e violenze.
Per me l'orrore è stato guardare in faccia quel che restava dei responsabili del genocidio sedere in un'aula in cui dovevano rispondere, oltre che dei crimini contro un popolo e contro tutti coloro che non ritenevano meritevoli della vita (avversari politici, omosessuali, rom, malati di mente, cattolici), di avere attentato alla Civiltà, in quali forme essa si propone. Né mi ha mosso a pietà (sentimento che spesso si sottovaluta) sapere che, alla fine del processo, molti di coloro che sedevano sul banco degli imputati sarebbero stati impiccati.
La loro colpa, ai miei occhi, è stata soprattutto quella di avere trascinato tutto il mondo in una tragedia che, spero, non abbia più a ripetersi. Per questo ben vengano film come questi che sono insieme testimonianza e sprone. E lo stesso titolo del film, ''Nuremberg: its lesson for today'' deve suonare da ammonimento per chi non ha memoria della Storia.
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