La Svimez è un punto di riferimento imprescindibile quando si parla di Mezzogiorno e, più in generale, di un’efficiente solidarietà nazionale con una visione unitaria. Presidente, come sta il Mezzogiorno?
Il Mezzogiorno è vivo, basta dargli quello di cui ha bisogno. E, su questo fronte, la situazione è precaria e problematica. Intanto guardiamo l’aspetto congiunturale: nel 2023 il Pil del Mezzogiorno cresce oltre la media nazionale. Per spiegare questo andamento basti dire che tale crescita è dovuta al settore delle costruzioni, da sempre tra i protagonisti dell’attività economica nel Mezzogiorno e che lo scorso anno ha contato anche sulla forte spinta de superbonus, dalla chiusura dell’agenda dei fondi comunitari, da fattori esogeni come il Pnrr, con gli interventi che proprio nel 2023 hanno iniziato a essere messi a terra. Ma, uscendo dall’analisi congiunturale, i nodi che attanagliano il Mezzogiorno sono tutti da sciogliere, con danno non solo per il Sud, ma per l’intero Paese. Molti, infatti, credono che il problema stia nel rapporto tra nord e sud Italia, senza capire che, invece, il problema è quello del posizionamento dell’Italia intera nel contesto europeo e globale. L’Italia è il grande malato d’Europa, non solo il Sud. La Lombardia, l’Emilia Romagna, il Veneto hanno perso posizioni rispetto all’Europa. Si illudono di cavarsela perché attirano le migliori forze del sud, ma piano piano peggiorano anche le loro situazioni. Non si salvano alzando ponti levatoi. Dando al Mezzogiorno che gli serve per svilupparsi l’Italia giocherebbe a pieno il suo ruolo di ponte cruciale nel Mediterraneo, rafforzando la sua posizione geoeconomica e geopolitica.
E allora cosa serve al Mezzogiorno per diventare, come lei ha auspicato in numerosi interventi, la locomotiva dell’Italia?
Non l’assistenza, che peraltro il Mezzogiorno non chiede. Quello che chiede sono investimenti, infrastrutture come porti, ferrovie e così via. E con lo sviluppo i diritti sociali arrivano da soli. Servono soprattutto idee, anche semplici: l’Italia è un paese strategico per la sua posizione al centro del Mediterraneo, ma per essere tale deve essere attrezzato con grandi hub portuali, come Rotterdam. L’Africa è il continente del futuro, bisogna saperlo. E poi è necessario l’aggiornamento energetico. Invece le politiche pubbliche puntano solo su bonus e incentivi. E poi serve la creazione di zone economiche speciali per attrarre investimenti. Se accompagnato in modo intelligente, il Sud diventerebbe davvero la locomotiva del Paese. Pensi solo ai porti di Bari, Augusta, Gioia Tauro, Taranto e così via. Pensi allo stato delle ferrovie meridionali. Ripeto: investimenti e infrastrutture. La priorità sarebbe quella di puntare sullo sviluppo, che è cosa ben diversa dalla coesione. Le politiche di coesione significano mantenimento dell’esistente, sviluppo invece vuol dire intervenire per cambiare la realtà. La coesione è molto conservatrice, al di là delle apparenze. Il concetto di sviluppo è fuori moda perché è difficile cambiare la realtà, lo Stato dovrebbe prendere decisioni. Oggi invece lo Stato è arbitro e non più regista. Deve venire l’Europa con il Pnrr per invitare a cambiare le cose. E nonostante tutto il Sud è vivo, anzi talvolta è avanti, perché ad esempio nel settore hi-tech c’è qualcosa che in Italia non c’è. Ma al Mezzogiorno non gli si dà ciò di cui abbisogna. Con danno, sottolineo ancora, per tutto il Paese, anche per il Nord.
Ha detto che al Sud c’è qualcosa che in Italia non c’è. Cosa, per esempio?
La questione sta nel posizionamento nella catena del valore. Chi sta in cima ha una posizione di forza. Il Nord del Paese, in generale, non fa la catena del valore, che sta in mano ad altri Paesi come la Germania. Pensi solo al fatto che, nell’automotive, il Nord dipende completamente dai cicli del settore automobilistico tedesco. Mentre al Sud ci sono realtà che fanno la catena dal valore, come Leonardo.
E c’è la partita del Pnrr, i cui investimenti debbono andare per il 40% al Mezzogiorno.
Il Pnrr ha preso la direzione della manutenzione di una macchina obsoleta, più che quella dello sviluppo nei termini in cui dicevo prima.
Cosa pensa dell’autonomia differenziata, diventata legge?
Il tema dell’Autonomia s’innesta su un’esigenza fondamentale: mettere al centro del dibattito la terapia per l’Italia, il grande malato d’Europa. Ne do un giudizio pacato, né sono contrario in assoluto, dipende da come è fatta. Il ministro Calderoli ha fatto una inversione rispetto alla logica costituzionale e alla legge 42/2009 per convenienza, lasciando da parte la fissazione preliminare dei LEP per non scontrarsi con quell’ostacolo insormontabile. Perciò ne ha congelato la trattativa per il prossimo biennio, consentendo però le Intese su tutto il resto, così da costituzionalizzare per quelle funzioni la spesa storica. La verità è che i ceti dirigenti del Nord con l’autonomia differenziata intendono prima di tutto blindare il meccanismo della spesa storica nei trasferimenti. In altre parole, temono da un lato contrazioni future nella spesa pubblica e, dall’altro, sanno che, posizionati non bene nelle catene del valore perché dipendono da economie di altri Paesi che sono in difficoltà da cui non usciranno tanto presto, la loro crescita non sarà esaltante. Così si proteggono, al di là di tante chiacchiere, blindando la spesa pubblica a loro favore. Perché, deve essere chiaro, l’ammontare del trasferimento delle risorse, nell’ambito delle materie che passeranno alle regioni che ne faranno richiesta, è irreversibile. Di questo, benché sia previsto chiaramente nel testo della legge sull’autonomia differenziata, nel dibattito pubblico non si parla mai. Perché svelerebbe i veri obiettivi di questa autonomia differenziata arraffazzonata e che aggraverà, non risolverà, i problemi del Paese. Peraltro, in attesa della definizione delle materie trasferibili dopo aver fissato i Lep (ossia i livelli essenziali delle prestazioni, che vanno garantiti in tutte le regioni), se mai saranno fissati. Intanto i governatori delle regioni del Nord vogliono subito il trasferimento delle altre funzioni così da blindare, in maniera irreversibile, la spesa storica. Calderoli è furbo e tutto ciò lo sa bene, tanto che l’ha inserito nella legge. Qualcuno dovrebbe invece spiegarlo bene alla Presidente del consiglio. Stiamo regredendo e spaccando il Paese in due e ciò è un suicidio anche per il Nord, che continuerà a perdere posizioni rispetto al resto dell’Europa.