Marco Gay: "Per noi di Zest, uno più uno fa tre"

- di: Redazione
 

Camminando con Marco Gay per i corridoi della sede romana di Zest, nella bella sede di via Marsala, dentro la struttura della stazione Termini, ci si deve fare largo fra gruppi di ragazze e ragazzi intorno ai trent’anni. E, infatti, Gay lavora fianco a fianco con i millennials (o giù di lì) per promuovere la trasformazione
digitale del Paese, che è proprio la mission di Zest S.p.A., di cui Gay è Presidente esecutivo e socio: il primo gruppo italiano, con sede a Milano, Torino e Roma, di dimensione europea dedicato alla crescita dell’ecosistema innovazione, e leader di mercato in Italia negli investimenti early-stage-seed in startup e PMI innovative, nell’accelerazione di startup, nell’Open Innovation e Corporate Venturing. Competenze e capacità non mancano, così come l’entusiasmo e la certezza di poter acquisire capitali; ma, avverte Gay, investire in questo environment è fondamentale per la politica industriale del Paese, e quindi sarebbe opportuna una defiscalizzazione per favorire i percorsi di innovazione.

Dottor Gay, la prima domanda riguarda inevitabilmente la ‘genesi’ di questa creatura: com’è nata?

Zest nasce dalla fusione fra Digital Magics e LVenture Group. Si tratta di un progetto nato ufficialmente a marzo 2023 tra aziende e persone che si conoscono da sempre, in quanto il mercato dell’innovazione e delle startup italiane non è ancora così esteso. Zest nasce come un progetto che ha come scopo affermare che 1+1 equivale a 3. L’azienda vuole innanzitutto superare i campanili: le nostre sedi si trovano a Roma, Milano e Torino e siamo il primo player italiano di dimensione europea in quanto, grazie ai nostri numeri, diventiamo un player paragonabile a realtà francesi, spagnole, inglesi, tedesche; questo ci porta ad affrontare le variazioni di mercato più forti. Il progetto prevede una notevole componente sulla parte investimenti e un’altra sulla parte di Open Innovation, diventando così un progetto a tutto tondo che ci ha portato ad avere più di 250 partecipazioni attive, ovvero aziende che stanno lavorando e crescendo sul mercato. Un altro dato significativo è la nostra unità di portafoglio medio, inferiore ai 4 anni, certificando il fatto che queste startup hanno tutte le potenzialità di crescere. Ci avvaliamo di un team fantastico, formato da 80 professionisti e colleghi di cui sono profondamente orgoglioso ed entusiasta; abbiamo anche 13 veicoli di investimento, 7 programmi di accelerazione in gestione, fra i quali 5 con Cassa Depositi e Prestiti. Abbiamo oltre 80 clienti corporate attivi, con i quali facciamo attività di consulenza, corporate innovation, corporate venturing e tutte le strategie, fino al venture building.

Quali sono i vostri obiettivi nel breve, medio e lungo termine?

Gli obiettivi, per quanto possiamo comunicare da azienda quotata quale siamo, riguardano sicuramente il consolidamento della posizione di mercato. Siamo convinti che il nostro modello sia capace di ‘scalare’ a livello nazionale, dove già siamo i primi nel nostro settore, ma anche a livello internazionale. Altri obiettivi sono l’aumento dei ricavi, che ci permettono di sostenere al meglio lo sviluppo dell’azienda in un mondo in cui per noi essere in ebitda positivo e di pareggio è già un grande risultato, essendo principalmente investitori. Inoltre, ci stiamo rendendo conto che le parti inerenti alla consulenza e alla formazione sono sempre più richieste e stanno crescendo notevolmente. Per questo motivo, stiamo aprendo il mercato ad altri settori come, per esempio, tutto il mondo dell’HR e delle competenze digitali. Noi riceviamo oltre 5.000 candidature di startup all’anno e possiamo contare su un database formato da oltre 20.000 startup: questi numeri ci permettono di portare con efficacia l’innovazione nelle aziende e contemporaneamente le aziende verso l’innovazione, creando realtà che hanno l’ambizione di diventare leader nazionali e internazionali nei loro specifici settori.

Ci può fornire qualche esempio a riguardo?

Noi abbiamo partecipazioni importanti in Talent Garden, la community tecnologica più innovativa d’Europa, con oltre 20 sedi sul territorio europeo. Abbiamo, inoltre, da poco effettuato una exit molto importante con Futura, leader internazionale rispetto ai corsi di preparazione ai test di ingresso universitari; abbiamo Macingo, azienda calabrese che gestisce trasporti di materiali ingombranti sulla base dell’intelligenza artificiale e che sta iniziando la sua fase di internazionalizzazione. Questi sono solo alcuni degli esempi delle 250 startup: in generale, i settori sui quali siamo maggiormente attivi sono il Fintech, l’Insurtech (dove abbiamo un portafoglio di partecipazioni e di crescita straordinario, tra i più importanti in Europa). E poi, il settore del Proptech, del Cleantech, del Turismo e dell’intelligenza artificiale, con il nostro programma Magic Mind, il primo progetto trasversale sull’intelligenza artificiale realizzato in Europa 2 anni fa, prima ancora di ChatGPT.

Esiste, quindi, una capacità di attrazione dei capitali o manca ancora qualcosa?

Come Zest, per quanto investiamo, abbiamo una capacità di attrarre sulle nostre partecipate con leva 15: quindi, se noi investiamo 4 milioni, ne raccogliamo 60. Si tratta di un segno distintivo importante. Un altro aspetto interessante riguarda i capitali: ormai, oltre il 40% delle startup che si candidano a lavorare con noi e a vederci come soci, vengono da fuori Italia. Questo assume un doppio significato: in primo luogo è molto importante per noi, perché significa che siamo riusciti a farci conoscere anche fuori dal contesto nazionale. Ma assume un significato importante anche per l’Italia stessa in quanto, evidentemente, sta attraendo sempre più competenze, capitali e opportunità. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma questo non deve diventare una scusa: sicuramente, il mercato avrà una maggiore accelerata nel momento in cui si farà attenzione a defiscalizzare gli investimenti in capitale dei rischi in maniera ancor più efficace e con un minimo di semplicità, come accade negli altri paesi europei. A livello normativo, quindi, bisogna insistere e una normalizzazione europea sarebbe auspicabile. Occorrerebbe defiscalizzare sia per i soggetti privati che per le aziende e favorire, con leve di investimento, percorsi di open innovation, durante i quali le corporate, le piccole e le medie aziende lavorano con le startup in un’ottica di ricerca e sviluppo e di sperimentazione. Investire in questo senso è fondamentale e diventa un pezzo di politica industriale del Paese.

Ha accennato all’intelligenza artificiale, e, in questo, lei ha una sorta di suo osservatorio privilegiato. L’intelligenza artificiale è già arrivata e avrà un’espansione esponenziale nei prossimi anni. Come impatterà sul mondo delle startup?

La sfida è duplice. Innanzitutto, dobbiamo sottolineare che le startup utilizzano la tecnologia dell’intelligenza artificiale già da tempo: molto spesso, infatti, bisogna ribadire che utilizzano degli algoritmi di intelligenza artificiale nei loro progetti perché, ormai, è necessaria per creare progetti di valore. Significa, quindi, che all’interno della startup ci sono competenze e capacità di far sì che le queste diventino prodotto e visione industriale.

La rivoluzione portata dall’intelligenza artificiale non solo sarà pervasiva, ma sarà molto lunga, soprattutto in un territorio come il nostro, e come quello europeo, dove è presente un’industria tradizionale molto capace e che produce innumerevoli dati. Dove ci sono i dati, se c’è anche la cultura di gestire la base dati e la capacità di utilizzare l’algoritmo di intelligenza artificiale, si può avere solo valore aggiunto. Dal punto di vista delle istituzioni, il G7 svolto in Puglia, ha rilevato ancora una volta come l’intelligenza artificiale sia al centro del dibattito. E’ un’ottima notizia per l’Italia: abbiamo portato a dibattere le grandi potenze mondiali sul nostro territorio riguardo un tema cruciale. C’è tanto lavoro da fare ma è un investimento necessario per capire le nuove esigenze e adattare i nuovi strumenti e algoritmi di intelligenza artificiale. Che ci piaccia o no, Asia, Stati Uniti e Cina stanno investendo e noi come Europa non possiamo farci trovare impreparati.

State anche portando avanti un modello industriale come quello delle joint venture.

Sì, e con grande soddisfazione: al momento, ne abbiamo realizzate due, una delle quali con Intesa Sanpaolo, chiamata Apside, che prevede investimenti fino a 15 milioni di euro e ha un investimento mirato verso le startup che sono già nel nostro portafoglio e provenienti da tutti i nostri programmi di accelerazione. L’altra joint venture realizzata è con il Gruppo Tinexta, chiamata Open-T: si tratta di una joint venture con 5 milioni di euro di capitale da poter investire con la stessa logica. La finalità di questi progetti consiste nel realizzare investimenti in fase più matura rispetto a quella iniziale che possa permettere una fase di industrializzazione e di crescita della startup all’interno della galassia della corporate. Questo modello sta funzionando benissimo in quanto valorizza tutto il nostro lavoro e la capacità di investimento.

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