Il nuovo Presidente di Federauto ha obiettivi chiari e ambiziosi: “ampliare il nostro posizionamento attraverso sinergie con le rappresentanze della filiera dell’automotive, consolidare il nostro know-how normativo, incrementare il nostro peso specifico in Europa”. Alla politica il numero uno dei dealer chiede “una riforma fiscale che consenta ai costruttori di recuperare lo sforzo compiuto per innovare, ai concessionari di poter contare anche su un usato meno vetusto, ai consumatori di poter affrontare la transizione ecologica con minori incertezze”. E mentre sulla transizione ecologica auspica “l’apertura ai biocarburanti” (“solo attraverso di essi vediamo la possibilità di raggiungere quella fascia di mercato che altrimenti rinuncerà a cambiare il proprio veicolo”), sull’auto a batteria resta scettico: “il motore elettrico costringe a modificare il sistema di vita nel quale siamo vissuti finora. Da noi probabilmente è la cosa più difficile da accettare, perché, in fondo siamo sempre l’Italia dei Comuni che si ribella all’Impero”.
Federauto: i concessionari auto affilano le armi
In genere un nuovo presidente è nominato sulla base di un programma. Dottor Artusi, che cosa c’è nella sua agenda 2024-2027?
Ho presentato un programma basato su due concetti: disponibilità al confronto e visione di lungo periodo, perché sono convinto che saper ascoltare e guardare lontano sono i modi che potranno rendere Federauto sempre più forte nel suo ruolo di rappresentanza e sempre più autorevole ai tavoli istituzionali, italiani ed europei. Per questo intendiamo ampliare il nostro posizionamento attraverso sinergie con le rappresentanze della filiera dell’automotive, consolidare il nostro know-how normativo, incrementare il nostro peso specifico in Europa, puntando al riconoscimento del ruolo del Concessionario per le sue funzioni di agevolatore e garante del consumatore/utente, in un quadro di protezione contrattuale.
Negli ultimi 15 anni le concessionarie sono passate da circa 3 mila a poco più di 800. Questo processo di concentrazione proseguirà anche nei prossimi anni? E potrà rafforzare il peso di Federauto nelle interlocuzioni con la politica?
È un processo che probabilmente continuerà anche nei prossimi anni, ma ritengo con un ritmo più lento. I concessionari attuali - che sono circa 850 - hanno, infatti, trovato ormai un loro assetto che copre adeguatamente il territorio. Noi teniamo questo processo sotto osservazione, sapendo però che l’importante non è il numero dei concessionari, né se sono grandi o piccoli, ma la qualità del servizio che essi offrono. In altre parole, non è il numero che ci rende autorevoli ai tavoli istituzionali, ma il legame con i nostri clienti e il know-how di presenza e di conoscenza del territorio che da questo rapporto scaturisce insieme alla nostra professionalità
Il passaggio da concessionaria ad agenzia avrà vantaggi per tutta la filiera Case-Dealer-Clienti o solo per le Case, come afferma qualcuno? C’è anche chi sostiene che le Case che sceglieranno il modello di agenzia perderanno quote di mercato in favore di chi, invece, proseguirà con il modello tradizionale…
È tutto da verificare. Quello che però dobbiamo comunque ricordare - e non solo noi concessionari - è che sarà sempre il cliente a decidere e non è detto che l’eventuale economicità dei costi di distribuzione coincida con i suoi interessi o addirittura comporti automaticamente un’economicità dei costi complessivi dell’automobile. Spesso, anzi, il rapporto diretto con il costruttore limita fortemente l’autonomia decisionale del cliente.
Che impatto avrà l’auto cinese sulla distribuzione automobilistica e più in generale sul mercato dell’auto? L’arrivo di macchine low cost in segmenti trascurati dalle case europee non può essere anche un’opportunità per le concessionarie e per i clienti?
Si parla molto dell’impatto che le auto elettriche prodotte in Cina possono avere sul mercato italiano ed europeo. Ma se guardo le statistiche ho l’impressione che il dibattito sulla transizione ecologica attraverso la trazione elettrica stia diventando un cavallo di Troia per la tecnologia orientale, non solo per l’automobile, ma per tutti i prodotti della filiera, orientando il pubblico verso prodotti del Far East, spesso ad alimentazione tradizionale, mentre quelli a trazione elettrica, pur avendo prezzi più bassi dei modelli europei, restano pur sempre più elevati di quelli a combustione. In questo modo, però, resta scoperta la domanda di fascia bassa: non dimentichiamo che per molti l’automobile è soprattutto un oggetto d’uso, impiegato su brevi distanze, spesso in ambito urbano. Per questo ciò di cui ha bisogno la filiera europea dell’automotive, schiacciata fra l’aggressività commerciale cinese (finanziata con generosità dallo stato) e la politica daziaria americana, è una strategia complessiva, chiara e coerente. Più che imporre dazi, si tratta di costruire una politica che garantisca tutto il sistema dell’automotive: dai costruttori ai concessionari (spesso dimenticati), ai consumatori, offrendo a questi ultimi fin da ora la possibilità di alternative - come l’alimentazione termica a basso impatto ambientale, in attesa di quella carbon neutral dei biocarburanti - che sarebbe comodamente accessibile alla domanda di fascia bassa e migliorerebbe fin da subito le condizioni ambientali che ci circondano.
Nel 2024 si svolgeranno le elezioni europee. Molti sperano in un ripensamento sul divieto di immatricolare nuove auto con motore termico a partire dal 2035. Secondo lei la transizione ecologica disegnata dai governi europei nell’arco della prossima decade potrà essere messa in discussione?
È appunto a questo che mi riferivo. Il dibattito sui biocarburanti è il nodo centrale del Regolamento sui target della CO2 all’interno delle istituzioni europee. L’Unione sta ratificando proprio in queste ore un testo che apre ai carburanti sintetici (anche questi ad alto costo di produzione), ma non esplicitamente ai biocarburanti, bocciando (per ora) le verifiche basate sul Carbon Correction Factor, proposte dall’Italia, che avrebbero permesso di anticipare l’impiego di queste alimentazioni che - a differenza dell’elettrico - sono carbon neutral. Ma è rimasta aperta una porta: nel 2026 (2027 per gli HDT) le misure adottate saranno sottoposte a una verifica che dovrà tenere conto anche dei passi avanti compiuti dalla scienza in materia di carburanti. Saranno le nuove istituzioni europee - Commissione e Parlamento - che dovranno condurre questa verifica e prendere le decisioni conseguenti. Noi ci auguriamo che si sblocchi l’apertura ai biocarburanti, anche perché vediamo solo attraverso di essi la possibilità di raggiungere quella fascia di mercato che altrimenti rinuncerà a cambiare il proprio veicolo rischiando la cosiddetta «Avanizzazione» della circolazione: cioè il progressivo aumento della quota di veicoli obsoleti, inquinanti e poco sicuri. Chi davvero vuole la decarbonizzazione - a cominciare dai concessionari - non può lavorare per questo scenario.
I numeri delle auto elettriche in Italia sono tra i più bassi in Europa. Perché gli italiani non le comprano?
Intanto c’è da dire che i paesi che vengono portati a esempio sono quelli scandinavi, dove il numero ridotto di abitanti, l’alto reddito pro-capite e i massicci incentivi messi in campo, hanno favorito una penetrazione più rapida dell’auto elettrica. Ma, secondo me, in Italia pesa anche un altro motivo: il fatto che il motore elettrico è una scelta senza alternative, un’imposizione che costringe a modificare il sistema di vita nel quale siamo vissuti finora. Del resto, i paper europei che affrontano il tema della transizione ecologica spesso evocano questa necessità di cambiare i comportamenti dei cittadini. Il che da noi probabilmente è la cosa più difficile da accettare, perché, in fondo siamo sempre l’Italia dei Comuni che si ribella all’Impero.
Il 2023 si è chiuso con una crescita delle immatricolazioni del 19%, proseguita anche nei primi due mesi dell’anno, a cui è seguita una battuta d’arresto a marzo. I volumi, però, sono ancora molto ancora al di sotto dei livelli pre-Covid. Che cosa prevede per il 2024?
In una fase storica come quella che stiamo vivendo, con la guerra in Ucraina, il medio oriente in fiamme, la crisi di Taiwan nell’aria, i noli dei container che vanno sulle montagne russe, fare previsioni di medio-lungo periodo è davvero difficile. Sul breve, c’è la attesa del nuovo Ecobonus appena varato. Se andrà bene, l’anno potrà anche sorridere. Ma per avere risultati consolidati c’è bisogno di una riforma fiscale che consenta ai costruttori di recuperare lo sforzo compiuto per innovare, ai concessionari di poter contare anche su un usato meno vetusto, ai consumatori di poter affrontare la transizione ecologica con minori incertezze.