Un settore in cambiamento
“Il mondo della moda sta vivendo un cambiamento epocale, caratterizzato da un’accelerazione senza precedenti nelle abitudini dei consumatori, amplificata dai social e dalla situazione economica globale”, afferma Giulio Felloni (Foto), presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, fotografando la fase di transizione del comparto. La moda, storicamente legata al negozio fisico e al rapporto diretto con il cliente, oggi deve misurarsi con una trasformazione radicale che mette in discussione regole, margini e strategie.
L’effetto social e nuove abitudini
I social media hanno rivoluzionato il rapporto tra marchi, consumatori e trend. La velocità con cui un prodotto può diventare virale, esaurirsi e lasciare spazio a nuove tendenze ha reso il ciclo della moda più breve e imprevedibile. Al tempo stesso, la situazione economica globale, segnata da incertezze e da un potere d’acquisto più debole, spinge i consumatori a comportamenti meno lineari: acquisti online più frequenti, ricerca di offerte e sconti, attenzione crescente alla sostenibilità.
Il nodo istituzionale
Felloni sottolinea che il settore non può affrontare da solo questa sfida. “È necessario coinvolgere governo, regioni, comuni e camere di commercio per soluzioni efficaci”, afferma. La richiesta principale è al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, chiamato a istituire “al più presto il Gruppo di Lavoro sul Commercio all’interno del Tavolo della Moda”. Un organismo che, nelle intenzioni di Confcommercio, dovrebbe diventare il luogo di confronto stabile tra istituzioni e operatori, per definire politiche che garantiscano equilibrio competitivo.
Online contro negozi fisici
Il cuore del dibattito è la disparità normativa e fiscale tra chi vende online e chi gestisce punti vendita tradizionali. “Bisogna applicare il principio stesso mercato, stesse regole per superare la disparità tra online e negozi fisici”, conclude Felloni. Oggi i player digitali, spesso internazionali, possono beneficiare di condizioni fiscali più favorevoli e di costi strutturali inferiori rispetto al retail fisico, che deve invece sostenere spese di affitto, utenze e personale.
Impatto sul territorio
La questione non riguarda soltanto la concorrenza diretta, ma tocca la vitalità dei centri urbani. Le boutique e i negozi di abbigliamento rappresentano un presidio sociale ed economico per molte città italiane. La chiusura di attività storiche non è solo una perdita economica, ma impoverisce la vita dei quartieri, riducendo la varietà dell’offerta e l’attrattiva dei centri storici. Per Confcommercio, ignorare questo effetto significherebbe lasciare campo libero a modelli di consumo impersonali, dominati da piattaforme internazionali.
L’urgenza di nuove regole
La richiesta di regole comuni non si traduce necessariamente in una penalizzazione dell’online. Piuttosto, l’obiettivo è armonizzare il quadro normativo, così da favorire una competizione equa. Questo potrebbe significare nuove forme di tassazione per i grandi player digitali, incentivi mirati per chi investe nel retail fisico o meccanismi di sostegno alla digitalizzazione dei piccoli esercenti, così che possano integrare i propri canali di vendita senza perdere competitività.
Il peso dell’Italia
L’Italia, con la sua tradizione manifatturiera e la centralità della moda nel Pil, non può permettersi di restare indietro. Le filiere della moda e del tessile-abbigliamento generano milioni di posti di lavoro e costituiscono un pezzo fondamentale dell’export nazionale. Se la trasformazione digitale non sarà accompagnata da politiche equilibrate, il rischio è di compromettere un asset strategico che ha garantito crescita e visibilità internazionale per decenni.
Un equilibrio da trovare
Il messaggio di Felloni si inserisce in un dibattito più ampio che coinvolge tutta l’Europa. Molti Paesi stanno discutendo di come riequilibrare il rapporto tra colossi del web e commercio tradizionale. In Italia, il settore moda è in prima linea perché unisce la dimensione globale dei marchi alla capillarità dei punti vendita locali. La sfida è trovare un modello che non soffochi l’innovazione ma garantisca condizioni eque a chi lavora ogni giorno sul territorio.