Il Governatore di Bankitalia: Serve un patto europeo per la produttività

- di: Redazione
 
di Fabio Panetta*
(tratto dall’intervento al XX Foro di dialogo Spagna-Italia)

(…) Oggi l’economia europea stenta a tenere il passo con quelle dei paesi più dinamici, in particolare degli Stati Uniti, soprattutto a causa della bassa crescita della produttività. Non è da ora che l’economia europea perde terreno. Il divario rispetto agli Stati Uniti si è aperto sul finire del secolo scorso con la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per poi ampliarsi con la rivoluzione digitale e infine con l’intelligenza artificiale.
Queste tre opportunità mancate per l’Europa sono interconnesse e indicano debolezze strutturali. I loro effetti sono visibili nel calo del peso economico dell’Unione europea a livello internazionale e, in ultima analisi, nelle condizioni di vita dei cittadini: se l’Italia o la Spagna fossero uno degli Stati della federazione americana, si collocherebbero nel quintile più basso in termini di Pil pro capite, così come la UE nel suo complesso
Il modello economico e sociale europeo – consolidatosi dopo il secondo conflitto mondiale sui principi di libertà, uguaglianza e solidarietà, oltre che sulla cooperazione internazionale – segna la strada del progresso civile. In molti ambiti si è rivelato vincente, come emerge dai dati sulle aspettative di vita. Va preservato, e per farlo serve un’economia capace di crescere e di generare benessere diffuso (…) Collocare l’innovazione al centro delle politiche economiche come motore della produttività e della crescita, mobilitando a tal fine risorse pubbliche e private. 

Innovazione, tecnologia, produttività 
All’origine della bassa produttività dell’economia europea vi è un’insufficiente capacità di innovare, a sua volta dovuta alla scarsa dinamicità del tessuto produttivo. Negli ultimi dieci anni gli investimenti in ricerca e sviluppo effettuati dalle aziende europee sono stati circa il 60 per cento di quelli delle imprese statunitensi, con un divario crescente nel tempo (a questo si aggiunge la sfavorevole composizione settoriale dell’attività di ricerca, che in Europa si concentra per circa il 30 per cento in settori maturi) . Negli ultimi vent’anni le imprese in vetta alla classifica degli investimenti in ricerca e sviluppo appartengono per lo più al settore automobilistico, che oggi stenta a tenere il passo con l’innovazione più radicale dei concorrenti extra-europei. 
Negli Stati Uniti, invece, sia le aziende sia i settori leader nella spesa in ricerca e sviluppo sono cambiati nel tempo. Se vent’anni fa erano i produttori di automobili, oggi sono le imprese dell’economia digitale e ad alta intensità tecnologica, tra le quali emergono di continuo nuovi attori, capaci in breve tempo di raggiungere dimensioni e capitalizzazioni molto elevate.
La prevalenza dei settori a tecnologia intermedia in Europa è dovuta principalmente a tre motivi. Innanzi tutto, ai ritardi accumulati a partire dalla fine del secolo scorso, quando il sistema produttivo europeo non riuscì a sfruttare appieno le opportunità offerte dalla diffusione di internet e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Fu allora che emersero i giganti tecnologici americani – Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft – che grazie all’accesso a enormi quantità di dati, conoscenze scientifiche, risorse finanziarie e una vasta base di clienti oggi dominano i servizi digitali e settori all’avanguardia come l’intelligenza artificiale. Un ulteriore limite dell’innovazione europea è la frammentazione delle attività di ricerca e sviluppo tra aziende, università e centri di innovazione di diversi paesi. Ciò ostacola il trasferimento di idee e conoscenze e rende arduo intraprendere progetti con un elevato fabbisogno finanziario. Pesa infine la scarsa integrazione tra il mondo scientifico e quello imprenditoriale, aggravata da rigidità amministrative e regolamentari che ostacolano la trasformazione dei risultati della ricerca in prodotti e servizi competitivi sul mercato globale.
Un esempio emblematico è quello dell’intelligenza artificiale. In questo campo, sebbene i centri di ricerca europei producano studi di elevata qualità, le aziende del continente hanno una presenza trascurabile nello sviluppo della tecnologia: tra il 2013 e il 2023 in Europa gli investimenti privati in intelligenza artificiale hanno raggiunto 20 miliardi di dollari, contro 100 miliardi in Cina e 330 negli Stati Uniti (…) 

Gli investimenti necessari per una nuova Europa 

Negli ultimi dieci anni, in Europa gli investimenti produttivi sono stati sistematicamente inferiori a quelli degli Stati Uniti; il divario, che negli anni precedenti la pandemia sembrava essersi ridotto, ora sta nuovamente ampliandosi. Inoltre, la dinamica degli investimenti in ri erca e sviluppo segnala problemi di qualità e composizione della spesa.
Per garantire una crescita sostenibile e l’autonomia strategica dell’economia europea saranno necessarie ingenti risorse. Secondo diverse analisi, la doppia transizione – verde e digitale – e il rafforzamento della difesa richiederanno complessivamente 800 miliardi di investimenti pubblici o privati aggiuntivi ogni anno fino al 20308 . Questo importo, pari a quasi il 5 per cento del Pil della UE all’anno, non include tutte le spese necessarie per migliorare la capacità innovativa, come quelle per la formazione di competenze legate alle tecnologie emergenti. 
Non entrerò nei dettagli delle stime, ma desidero sottolineare tre aspetti. Il primo riguarda l’esigenza di realizzare i progetti strategici mediante iniziative a livello europeo. Dato il loro alto costo, gli investimenti risulterebbero troppo onerosi per i singoli Stati membri, anche i più solidi finanziariamente. Solo interventi comuni possono migliorare il funzionamento del mercato unico, sfruttare economie di scala, evitare le duplicazioni che si avrebbero con azioni a livello nazionale e scongiurare i problemi di free riding tipici dei beni pubblici. 
Il secondo aspetto riguarda la provenienza dei fondi. Interventi di questa portata richiedono un contributo congiunto di risorse sia pubbliche sia private. In passato quattro quinti degli investimenti produttivi europei sono stati finanziati da privati, mentre la parte restante è stata realizzata dal settore pubblico. Tuttavia, è ragionevole attendersi un aumento della quota pubblica, poiché molti interventi – come la produzione di tecnologie innovative, la transizione digitale, la sicurezza energetica e la difesa – riguardano beni pubblici europei. Inoltre molti progetti, specialmente nelle fasi iniziali, presentano rendimenti bassi ed esiti incerti, rendendo cruciale il ruolo del settore pubblico per stimolare l’iniziativa privata. Un esempio storico è il progetto DARPA degli Stati Uniti, che dagli anni Sessanta ha gettato le basi per lo sviluppo di internet. 
Il terzo aspetto, non meno importante, è l’esigenza di spiegare con chiarezza ai cittadini europei che i costi elevati degli investimenti saranno bilanciati da benefici anch’essi elevati. Durante la transizione sarà essenziale tutelare le fasce più deboli della popolazione, che potrebbero risentire maggiormente dei cambiamenti. Questo approccio è fondamentale per ridurre eventuali resistenze sociali e politiche, rafforzando il sostegno 

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