Bruxelles punta su micro e-car low cost per spingere i volumi, mentre Roma chiede flessibilità su tecnologie e tempi dello stop ai motori termici.
Pulite, ultracompatte, soprattutto accessibili. È l’identikit delle nuove micro elettriche europee su cui Bruxelles vuole correre, con prezzi tra 15 e 20 mila euro e una produzione “di casa” per riaccendere domanda e filiere. Non è un annuncio generico: è il seguito operativo del segnale politico arrivato con lo State of the Union 2025. “Il futuro è elettrico e l’Europa farà la sua parte”, ha ribadito Ursula von der Leyen.
Al Consiglio Ue Competitività, il vicepresidente della Commissione Stéphane Séjourné ha indicato il perimetro: sostegni mirati ai costruttori per portare sul mercato mini-e-car “europee”, progettate per la città e ispirate alle compatte giapponesi. L’obiettivo è duplice: prezzi popolari e capacità produttiva interna. La linea è chiara: “Il futuro dell’auto è elettrico”.
Cosa cambia con le mini e-car europee
Le utilitarie elettriche entry-level sono la tessera che mancava: oggi un’EV standard viaggia spesso oltre i 40 mila euro, uno scalino di prezzo che frena le famiglie. Con la fascia 15–20 mila, Bruxelles punta ad accendere i volumi, alimentare il learning-by-doing nelle gigafactory e dare ossigeno all’indotto. Strategico anche il vincolo implicito: componentistica e assemblaggio in Europa, per evitare che il continente diventi solo mercato di sbocco per marchi extra-Ue.
Roma spinge sul pragmatismo
Roma non vuole un elettrico “monocorde”. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha lanciato l’allarme: “Il settore dell’auto sta collassando in Europa… servono realismo, flessibilità e pragmatismo”. Per l’Italia la misura sulle city-car è necessaria, ma va affiancata da carburanti e soluzioni diverse dall’elettrico puro: “Neutralità tecnologica e flessibilità non sono più rinviabili”.
Il dossier caldo: la revisione del 2035
Il momento di verità arriverà con la revisione del regolamento CO₂ su auto e van, anticipata a fine 2025. Possibili opzioni di flessibilità (ad esempio per determinati ibridi plug-in o range-extender in volumi e segmenti limitati) restano sul tavolo, con l’obiettivo zero emissioni al 2035 confermato per le nuove immatricolazioni.
La discussione divide: da un lato una parte dell’industria chiede più tempo e una neutralità “piena” sulle tecnologie; dall’altro l’ecosistema elettrico avverte che arretrare ora congelerebbe gli investimenti e regalerebbe terreno alla concorrenza.
Pragmatismo sì, ma con i numeri
La neutralità tecnologica ha senso se guidata dai dati reali. Ricerche recenti segnalano che molti PHEV emettono più CO₂ su strada di quanto dichiarato nei test, il che complica l’idea di farne il “ponte” prolungato verso il 2035. Per questo ogni eventuale proroga dovrebbe essere condizionata a risultati misurati su strada e a tetti volumetrici. Dall’altro lato, le principali associazioni pro-EV ricordano che il mercato può centrare gli step 2025-2027 con l’offerta già disponibile, se sostenuto da ricarica e flotte aziendali elettrificate.
Filiere europee e concorrenza
Il messaggio industriale è netto: le auto del futuro devono essere progettate e prodotte in Europa. Non basta “assemblare kit” importati: serve valore aggiunto locale, dalla chimica delle batterie all’elettronica di potenza. Il capitolo micro-e-car è anche una difesa attiva contro la spinta dei marchi cinesi nell’entry-level.
La road map dei prossimi mesi
Ecco i tre atti su cui si gioca la partita:
- Incentivi e regole per la micro e-car 15–20 mila euro.
- Piano flotte aziendali per creare domanda stabile e accelerare lo svecchiamento.
- Revisione CO₂ con flessibilità mirata e tempi certi, senza scardinare il 2035.
Se Bruxelles terrà la barra dritta e i governi accompagneranno con realismo, il 2035 può restare un faro. La micro-e-car europea non è un dettaglio: è il grimaldello per riportare l’auto popolare al centro della transizione.