Il Dpcm certifica gli errori del Governo e alimenta la rabbia popolare

- di: Diego Minuti
 
Le immagini delle proteste di piazza, scatenate contro il nuovo Decreto del presidente del Consiglio per contrastare l'espandersi del contagio da Covid-19, devono indurre ad una profonda riflessione non tanto su quali ne siano le motivazioni ufficiali, quanto per l'enorme (e forse sottovalutata) potenziale carica eversiva che si cela dietro di esse.

I contenuti del nuovo, ennesimo Dpcm (che segna un evidente passo indietro nella strategia complessiva dell'esecutivo) sono stati ampiamente commentati, da più angolazioni che hanno visto schierarsi economisti, scienziati e semplici cittadini. Ai quali si sono uniti molti esponenti politici (di maggioranza ed opposizione) che hanno cercato di strumentalizzare il tutto, facendo spesso esercizio di acrobazie logiche, passando per l'ennesima volta e con disinvoltura dal ''tutto chiuso'' al ''tutto aperto'', fiutando l'indirizzo preso dall'opinione pubblica oggi obiettivamente sconcertata da quanto accade.

La situazione è grave, forse molto più di quello che si possa intuire in questi primi giorni della protesta, che vede saldarsi, in una torbida congiunzione di comuni interessi politici, estrema destra ed estrema sinistra, che sono furbescamente montate in corsa sul cavallo di una legittima manifestazione di dissenso da parte di quelle categorie economiche che si vedono, oggettivamente, danneggiate dal nuovo Dpcm.

Forse, prima d'ogni altra considerazione sulla violenza di strada (tacendo dei saccheggi di Torino, per i quali c'è da augurarsi che vengano immediatamente individuati e perseguiti i responsabili), occorre comprendere quello che sta alla base di queste manifestazioni contro un provvedimento che certifica gli errori commessi dal Governo. L'esecutivo Conte ha sprecato il consenso accumulato nella prima fase della pandemia, quando era riuscito, sull'onda dell'emergenza, a fare metabolizzare anche alle opposizioni il perché delle dure misure adottate. Ma poi, a prima ondata ammortizzata, è stato un avventato ''libera tutti'', limitandosi a sole raccomandazioni alla prudenza.



Le immagini dei luoghi d'incontro dei giovani affollati senza controlli - mentre si dava la caccia a bagnanti solitari su spiagge deserte - sono anche oggi la certificazione di una errata politica di prevenzione. Se si fossero tenute sotto controllo alcune attività, forse oggi non saremmo costretti a tenere aggiornate la statistiche di morti, contagi, guariti e terapie intensive. Ma ormai è tardi per recriminare ed è arrivato il momento di tentare di nuovo di fare trovare un minimo di sintonia tra chi governa e chi fa opposizione davanti all'enormità del problema, che sarebbe sbagliato ridurre solo ad aride prese d'atto delle proteste. Che sono quasi tutte civili, almeno nelle intenzioni, ma che costituiscono terreno fertile per chi, dalle ali estreme delle ideologie, ha il solo interesse di destabilizzare lo stato di diritto.

Non vogliamo dare lezioni a nessuno, ma c'è da chiedersi come sia possibile che, quando ci sono proteste violente come quelle di queste ore, chi viene fermato torna libero a distanza di poche ore, quasi che le violenze contro le forze dell'ordine possano essere derubricate a semplici esplicitazioni di un dissenso.

Perché è ben difficile pensare che, dietro l'uomo col volto coperto che lancia bombe Molotov (che, ricordiamolo, se esplodono a breve distanza dal bersaglio, possono provocare ustioni gravissime), ci sia un commerciante, un albergatore, un ristoratore, che vedono la chiusura definitiva ad un passo. E forse ci sarebbe da chiedersi se le Procure o le forze dell'ordine pensino ancora che si tratti di episodi slegati l'uno dagli altri oppure, vista la loro quasi contestualità, che dietro di essi ci sia una regia comune, almeno nell'ambito delle diverse coloriture politiche dei casseurs.
Il Governo, adottando misure come quelle dell'ultimo Dpcm, ha cercato di recuperare terreno rispetto agli sbagli di questi mesi, ma la pezza è certo peggiore del male, perché, come nel caso dei ristoratori, imporre la chiusura alle 18 è l'anticamera del fallimento, dopo che essi si sono fatti carico di tutte le modifiche richieste da precedenti decreti, come quelle legate al distanziamento.

E, salendo lungo la scala della nostra economia, i problemi si vanno ingigantendo, con parti importanti dell'imprenditoria che hanno superato la semplice preoccupazione per ritrovarsi a cercare di individuare una via dignitosa, per sé e per i dipendenti, alla chiusura dei cancelli. Certo, davanti alla delicatissima contingenza sanitaria, il Governo doveva pure fare qualcosa. Qui non si contesta la motivazione per l'adozione delle nuove misure, ma la mancanza di una visione d'assieme che ci si deve aspettare da chi guida un Paese. L'impressione è purtroppo che manchi la necessaria consapevolezza che, ormai da tempo, ogni decisione che si assume potrebbe infliggere colpi durissimi al tessuto economico.

Di vie d'uscita non ne sono rimaste tante e bisogna imporsi di smettere di insultarsi e pensare veramente al Paese e non al misero tornaconto politico che fa capolino in ogni dichiarazione. E forse è anche arrivato il momento di evitare, alla fine di ogni ''sparata'' davanti alle telecamere, di dire che il vaccino è dietro l'angolo e che quindi la fine dell'emergenza è ad un passo: perché, se il semplice cittadino deve potere coltivare la speranza che la Medicina venga in suoi aiuto, un Governo degno di tale nome non può farlo.

Un Governo deve agire sulla base di fatti concreti ed assumere le decisioni necessarie, le più eque possibile per evitare la catastrofe.
Solo in questo modo si potrà evitare che gli estremisti (ma anche le schegge politicizzate delle tifoserie calcistiche e i rimestatori messi in campo dal crimine, organizzato e no) si impossessino di una protesta che non è la loro e che vogliono strumentalizzare. Perché, nella mente della gente, resteranno gli assalti, le Molotov, le aggressioni a Polizia e Carabinieri e non la protesta civile di chi si vede, economicamente, al capolinea.
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