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Dodici miliardari alla Casa Bianca: il potere (e i rischi) del denaro

- di: Bruno Legni
 
Dodici miliardari alla Casa Bianca: il potere (e i rischi) del denaro
Dodici miliardari alla Casa Bianca: il potere (e i rischi) del denaro

Dal commercio alla diplomazia, l’amministrazione Trump si riempie di super-ricchi: una mappa dei nomi, delle deleghe e delle domande che restano sul tavolo.

Dodici miliardari (escludendo Donald Trump) con ruoli, incarichi o passaggi formali dentro l’amministrazione nel 2025. E un patrimonio complessivo che, secondo un conteggio del Washington Post, arriva a 390,6 miliardi di dollari usando stime aggiornate a marzo 2025. Se vi sembra un numero da classifica “Forbes”, è perché lo è: questa, nella fotografia ricostruita dal quotidiano americano, è la Casa Bianca più ricca di sempre.

L’aggancio è finito anche nelle agenzie italiane: un lancio ANSA datato 11 dicembre 2025 ha rilanciato i conti e due nomi-chiave, Howard Lutnick (Commercio, spesso descritto come architetto della linea dura sui dazi) e Steve Witkoff (inviato speciale su dossier esplosivi come Gaza e Ucraina), oltre al passaggio di Elon Musk, indicato come presente nell’amministrazione fino a maggio.

Perché questa storia fa rumore

La politica americana è abituata a un certo via vai tra pubblico e privato, ma qui cambia la scala: non si parla di “manager prestati allo Stato”, bensì di persone che arrivano al governo con fortune personali da miliardi e con reti di partecipazioni societarie che spesso somigliano a mappe metropolitane.

La domanda non è moralistica, è pratica: quanto è semplice separare interesse pubblico e interesse privato quando chi firma decisioni su commercio, regolazioni e geopolitica ha (o ha avuto) investimenti, rapporti d’affari, donazioni politiche e legami con settori direttamente toccati dalle scelte di governo?

I numeri: 12 miliardari e 390,6 miliardi in dote

Il punto di partenza è l’elenco del Washington Post (pubblicato l’11 dicembre 2025): dodici miliardari che hanno avuto ruoli nell’amministrazione nel corso dell’anno, per una ricchezza aggregata pari a 390,6 miliardi (stima “as of March”). L’articolo sottolinea anche il peso delle donazioni politiche: secondo l’analisi del giornale, questi nomi hanno versato complessivamente oltre 52 milioni di dollari nel ciclo elettorale 2024.

Trump resta fuori dal conteggio “dei dodici”, ma il tema è inevitabile: la presenza di una cerchia di ultraricchi attorno al presidente amplifica un’immagine di potere dove denaro, influenza e accesso istituzionale tendono a sovrapporsi.

Chi sono: la “dozzina” che pesa come un indice di Borsa

L’elenco ricostruito dal Washington Post mette insieme profili diversi per storia e settore. Tra i nomi citati: Linda McMahon (co-fondatrice WWE, indicata dal Post come alla guida dell’Istruzione), Joe Gebbia (co-fondatore Airbnb, citato come “chief design officer”), Tilman Fertitta (imprenditore della ristorazione e proprietario degli Houston Rockets), Stephen Feinberg (finanza/industria della difesa), Warren Stephens (finanza), Paul Atkins (citato come presidente della SEC), Kelly Loeffler e Jeff Sprecher (coppia legata al mondo delle borse e dei mercati), oltre a Elon Musk (indicata una presenza “di passaggio” come consigliere).

Due figure, però, raccontano bene l’idea di governo come “cabina di regia” del business: Howard Lutnick e Steve Witkoff.

Howard Lutnick: commercio, dazi e la promessa di “tagliare i ponti”

Lutnick è l’uomo del Commercio che torna sempre quando si parla di tariffe, contromisure e strategie industriali. La sua traiettoria è stata seguita passo passo: la conferma al Senato e le audizioni hanno messo al centro proprio la questione delle incompatibilità.

Secondo Associated Press (audizione, inizio 2025), Lutnick ha dichiarato di voler disinvestire dalle sue attività entro 90 giorni, sostenendo di aver “guadagnato abbastanza” e puntando a evitare conflitti di interesse. Reuters e Bloomberg hanno raccontato il suo ruolo come perno della politica commerciale dell’amministrazione, con un’impostazione aggressiva sui dazi e un approccio duro sulla tecnologia e sui trasferimenti verso la Cina.

Il dettaglio che rende la storia “politica” (non solo economica) è che le tariffe non sono più uno strumento tecnico: diventano un messaggio identitario. E quando il messaggero è un miliardario con una lunga storia nel cuore di Wall Street, la lente dell’opinione pubblica si fa inevitabilmente più severa.

Steve Witkoff: dal mattone alla diplomazia “da dealmaker”

Witkoff è il simbolo di un altro fenomeno: la diplomazia affidata a figure di fiducia personale del presidente, con un profilo da “negoziatore” più che da carriera istituzionale. La sua presenza è stata raccontata anche come una storia di rapporto personale con Trump, nata negli anni Ottanta e riemersa oggi come leva di influenza.

Per Le Monde (marzo 2025) Witkoff è diventato un attore centrale su Gaza e poi, di fatto, si è allargato anche ad altri tavoli. The Atlantic (maggio 2025) lo descrive come una figura che compensa la scarsa esperienza diplomatica con la fiducia totale del presidente, in un modello che privilegia le relazioni personali e il “fare accordi”.

Sullo sfondo, il tema etico è tornato con forza anche sulla stampa britannica: The Guardian (maggio 2025) ha ricostruito polemiche e accuse di commistione tra affari e missioni, proprio perché i dossier internazionali muovono capitali, investimenti, contatti con fondi sovrani e grandi gruppi. La Casa Bianca e l’entourage respingono le accuse, ma il tema resta: quando un inviato è anche un magnate, ogni stretta di mano fa rumore doppio.

Il “fattore Musk”: presenza lampo, ombra lunga

Elon Musk avrebbe fatto parte dell’amministrazione fino a maggio. Anche quando i ruoli sono temporanei o informali, l’effetto è potente: un personaggio con quel peso mediatico e industriale sposta l’attenzione dal “che cosa decide il governo” al “chi siede vicino al presidente”.

E non è solo percezione: Reuters, raccontando l’inaugurazione del gennaio 2025, ha sottolineato la presenza in prima fila di Musk insieme ad altri big della tecnologia. È la fotografia di un’America in cui la politica non corteggia più soltanto i grandi donatori: li mette in scena.

Conflitti d’interesse: la zona grigia che non scompare

Il punto non è sostenere che ricchezza significhi automaticamente corruzione. Il punto è che, quando l’élite economica entra in massa nella stanza dei bottoni, la gestione dei conflitti diventa una partita di trasparenza, recuse (astensioni su decisioni sensibili) e regole di disinvestimento che devono essere comprensibili al pubblico.

La stessa stampa americana ne discute da tempo: già a dicembre 2024 il Washington Post descriveva i rischi di un gabinetto “ultra-ricco” in termini di intrecci finanziari, partecipazioni e potenziali benefici indiretti. Nel 2025, con i nomi e le cifre aggiornate, la questione si è allargata: non è più un tema da “pagina affari”, è un tema da tenuta democratica.

Il contesto: miliardari in crescita, influenza in crescita

Il fenomeno si inserisce in un trend globale: il numero dei miliardari continua a crescere e con esso la loro capacità di incidere sui processi politici. Un dispaccio ANSA (4 dicembre 2025), citando un rapporto UBS riportato dal Wall Street Journal, segnala un record di circa 2.900 miliardari nel mondo, con ricchezza complessiva stimata in 15.800 miliardi di dollari. In questo scenario, l’idea che “i ricchi facciano politica” non è un’eccezione: è un pezzo di sistema.

Eppure, quando la concentrazione si materializza dentro un governo nazionale, la domanda cambia tono: la politica governa i mercati o i mercati governano la politica?

Che cosa succede adesso

Nei prossimi mesi la partita si giocherà su tre fronti: 1) le misure concrete di disinvestimento e trasparenza (chi vende cosa, quando, e con quali controlli); 2) le decisioni su dazi, export control, tecnologia e grandi negoziati internazionali; 3) la reazione dell’opinione pubblica e del Congresso, che può trasformare i casi individuali in un confronto politico strutturale.

Perché una cosa è certa: quando il governo sembra una “riunione di consiglio” dei super-ricchi, ogni scelta – anche la più tecnica – diventa un test di fiducia. 

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