Se uno dei nostri figli o dei nostri nipoti ci chiedesse cosa è accaduto in Parlamento, tra un mulinare di pugni e la riproposizione del simbolo della Decima Mas (a mo' di sfottò e non certo per celebrarne gli atti di eroismo, di prima della deriva nazifascista dopo l'8 settembre), saremmo oggettivamente in imbarazzo perché è ben difficile spiegare che quelli che se le sono date e se le sono promesse rappresentano la massima istituzione elettiva, quindi democratica, del Paese.
Invece è accaduto proprio questo e non pensiamo nemmeno lontanamente di prendere le difese di aggredito o aggressore, che sono censurabili entrambi perché quel che successo non doveva accadere, quindi temperando anche comportamenti che la controparte può prendere (per come ha fatto) a scusante dei propri atti violenti.
Cronache dai Palazzi: i pugni in parlamento sono una sconfitta per tutti, anche per chi le ha prese
Quello che a nostro avviso è da stigmatizzare è il come si sia arrivati a questo, come sia stato possibile assistere a scene che ormai accostiamo alle parti ''malate'' della nostra società, dagli ultras delle curve degli stadi ai ragazzotti che, tra una birra e un bicchiere di super-alcolici, si affrontano per strada a pugni e calci, ma anche a cinghiate quando non fanno la loro comparsa coltelli o peggio.
Questo accade nelle strade, ma in parlamento no.
Per favore, no.
Eppure, nelle reazioni dei parlamentari coinvolti, nemmeno una parola di scusa, quasi che l'esercizio dell'aggressione faccia parte dell'alfabeto della democrazia.
Anzi uno dei più esagitati - e per questo sanzionato con una lunga sospensione - si è quasi rammaricato di non essere riuscito a colpire l'avversario. Sì, avete letto bene. Non ha chiesto scusa per avere tentato di aggredire, ma s'è dispiaciuto di non essere riuscito ad assestare un colpo tale da causare danni.
Parlare di cultura, di buona educazione, di valori inculcati dai genitori, di ''non condivido ciò che dici, ma mi batterò perché tu possa dirlo'', sinceramente ci sembra fuori di luogo e, poi, anche senza senso, perché nessuno dei compagni di partito con maggiori responsabilità di quelli coinvolti della rissa ha stigmatizzato l'accaduto, limitandosi a difendere i suoi.
La zuffa è stata invece l'ennesima occasione per disquisizioni politiche c'entrano solo relativamente con pugni, insulti e altro. Perché ad entrarci è la violata sacralità del parlamento, che in passato è stato pure teatro di episodi simili, ma che mai come oggi si susseguono a distanza così ravvicinata.
Quasi che passare dalla violenza delle idee a quella verbale e, quindi, fisica, sia un tributo che necessariamente bisogna pagare al momento storico.
Un momento in cui la stessa maggioranza mostra delle piccole crepe, che però potrebbero allargarsi se le cosiddette diversità di vedute dovessero virare verso contrasti palesi, rendendo difficile, se non impossibile, per Giorgia Meloni andare avanti, mentre gioca partite vitali nel Paese e in Europa.
Forse è giunto il momento che tutti - maggioranza e opposizione - si rendano conto del livello di conflittualità che è stato raggiunto e, insieme, facciano ammenda. Se non proprio chiedendo scusa, almeno dando a vedere di avere capito quanto le scene di Montecitorio abbiano fatto del male al Paese.