Cronache dai Palazzi - Il problema non è l'autonomia, ma come essa sarà utilizzata

- di: Redazione
 
In uno Stato che, con la nascita delle Regioni, aveva deciso di ripartire meglio le risorse, affidandole in gran parte alle sue emanazioni territoriali e non più esclusivamente a quelle centraliste (e non centralizzate), parlare di autonomia in termini positivi dovrebbe essere pleonastico.
Ed invece il via libera del Senato alla legge sull'autonomia differenziata, fortemente sostenuta dalla Lega e che gli alleati hanno votato compattamente (che poi lo abbiano fatto convintamente è un altro discorso), ha allargato il baratro che c'è tra maggioranza ed opposizioni.
Niente di nuovo, verrebbe da dire, considerato il clima quotidiano che si respira dentro e intorno ai palazzi del potere, ma ora il dossier autonomia rischia di dare, della situazione politica, una rappresentazione devastata in termini di rapporti e confronto.

Il problema non è l'autonomia, ma come essa sarà utilizzata

Dando per assodato che il governo di una Regione deve godere della libertà di dare piena esecutività alle deleghe che le sono riconosciute dal titolo V, ora occorrerà vedere il come, in base alla riforma. Perché se il rapporto governanti-governati si basa sul concetto che i primi decidono e i secondi sono destinatari appunto delle decisioni, l'interrogativo di fondo è capire con quanti e con quali soldi.
Il presupposto che le Regioni virtuose devono potere capitalizzare le loro capacità gestionali (e quindi di spesa) ci sta, certamente. Ma questo potrebbe anche andare ad intaccare uno dei capisaldi di una politica nazionale, almeno con il nostro modello costituzionale, il principio della sussidiarietà, allargando il divario tra le Regioni ricche (in termini di prodotto interno) e quelle che lo sono meno, quando addirittura non sono povere.
Aumentare le distanze tra singole Regioni più che sollecitare un effetto traino, rischia di affondare quelle che restano dietro, che dovranno, come conseguenza, tagliare i servizi che oggi, bene o male, garantiscono ai cittadini.

E quando tutti i nodi (economici) verranno al pettine, chissà quanti decideranno di lasciare la propria regione, per cercare migliori condizioni altrove.
E' qui che tutto si ammanta di nebulosità, perché alcune Regioni guidate da presidenti leghisti sembrano avere accolto il voto sull'autonomia come un primo passo, come una base di partenza, come il primo importante tassello di ben altre conquiste.
Ora, non vorremmo essere tacciati di chissà cosa, ma vedere la vice-capogruppo della Lega al Senato sbandierare il vessillo della Serenissima all'ufficializzazione dell'esito del voto è stato un elemento stonato. Non certo per la dimostrazione di soddisfazione per il passaggio del provvedimento, quanto perché è stato come rivendicare plasticamente temi che, più che all'autonomia, fanno pensare a qualcosa di più, qualcosa che allontana le Regioni del nord a trazione leghista da un quadro nazionale che la nuova legge dice invece di volere rafforzare.

Nella vita, e quindi anche in politica, allo stesso modo in cui - come dicevano i Rokes - bisogna saper perdere, perché non sempre si può vincere, quando si vince bisogna saperlo fare.
E lo si deve fare mostrando moderazione e continenza, e quindi rispetto per lo sconfitto, non certo facendo mostra di volerlo umiliare. E sventolare il rosso vessillo con il leone alato mentre dalle opposizioni si alzavano cartelli con il Tricolore non è forse stato il modo migliore per celebrare una vittoria.
Ma, tranquilli, è lo stesso comportamento che, a parti invertite, hanno avuto gli sconfitti di oggi.
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