Crisi: Mattarella chiama Draghi, ma il cammino è già in salita

- di: Diego Minuti
 
C'è una discrasia evidente nel tentativo del presidente della repubblica, Sergio Mattarella, di uscire dalla crisi grazie ad un esecutivo di alto profilo, a guida Mario Draghi. C'è da un lato l'evidente inadeguatezza della attuale classe politica a prendere atto che la gravità della situazione imporrebbe la capacità di arretrare rispetto ad ambizioni e vendette per il bene supremo del Paese. Dall'altro c'è il fatto che, se andasse a buon fine il tentativo dell'ex presidente della Bce, la sconfitta peserebbe su tutti. E poco conta mascherare quest'ultima considerazione alzando lamenti sul fatto che la formula migliore resta, sempre e comunque, quella di un governo politico. Verrebbe da dire: l'occasione l'avete avuta e l'avete buttata in un cassonetto, sedendovi al tavolo della trattativa con il solo obiettivo di guadagnarci politicamente.

A differenza di quel che, già da ieri sera, alcuni soggetti politici (definizione in cui trovano posto anche giornalisti ed editorialisti, guru politici di questo o quel movimento) affermano sull'opportunità di depotenziare il mandato affidato a Draghi, la situazione italiana lascia pochissimo spazio ad altre soluzioni.
Mattarella, nell'elencare le motivazioni che l'hanno spinto a chiedere all'ex presidente della Banca europea di aiutarlo, ha messo in un angolo tutte le richieste del centrodestra - che continua a spingere per elezioni subito -, ma anche bacchettato l'arroganza dei vecchi partner della maggioranza incapaci di mettersi d'accordo nonostante lo spettro d'essere bastonati dal voto popolare, per come è pacifico che accadrebbe, almeno ad oggi.

In fondo è il dramma che il Paese vive da sempre, in un eterno "giorno della marmotta" in cui tutte le formule politiche si trovano percorrono lo stesso cammino, che le porta alla dissoluzione, all'avvio di una trattativa, alla soluzione e, quindi, alla nuova caduta. I protagonisti cambiano, ma non cambia l'arroganza che sembra connotare chi si siede intorno al tavolo, ognuno portatore di interessi che alla gente importano poco, ma che diventano delle mannaie sul cammino che dovrebbe concludersi con la soluzione della crisi.

Il percorso intrapreso da Matteo Renzi, con il senno di oggi, è coerente con un disegno che mirava allo spappolamento della vecchia maggioranza. È il fine ultimo che resta oscuro, perché è chiaro che per tornare a fare parte di una coalizione di governo sullo schema del Conte-bis Italia viva dovrebbe fare non uno, ma alcuni pasi indietro. Cosa che Renzi non sembra disposto a fare, almeno alla luce dei continui rilanci fatti nel corso della trattativa, in cui non solo ha fatto delle richieste, ma anche posto dei veti su nomi e poltrone dell'ipotetico Conte-ter. Un po' troppo per un partito che se oggi si andasse al voto raccoglierebbe una percentuale ridicola rispetto alle ambizioni del suo leader e del suo ego.
La corda è stata tirata troppo ed alla fine s'è spezzata. Ma in fondo potrebbe anche essere un bene, perché, davanti allo spettro che a Palazzo Chigi arrivi il primo della classe, tutti i partiti dovranno ripensare alle loro strategie.

A partire dal Pd che, prima di esplicitare il suo appoggio convinto a Draghi (che arriverà sicuramente), dovrà chiarirsi al suo interno per capire come mai il solo a fare politica è un signore che non ha alcun mandato ufficiale, che non ha alcuna carica elettiva, che peraltro risiede dall'altro lato del mondo, eppure pontifica, elabora, disegna, ma soprattutto impegna il suo partito.
È solo una delle anomalie della nostra politica, dove i Cinque stelle - il movimento dei duri e puri, che doveva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, che doveva dare lezioni di preparazione ed onestà - sono diventati un partito come gli altri, sedendosi spesso e volentieri davanti alla torta aspettando la loro fetta per affondarci i denti. Come certificato dalle nomine "pesanti" degli amici degli amici, il più delle volte senza alcun titolo di merito, se non l'essere stati compagni di scuola di questo o quel ras del movimento: dagli amici di Luigi Di Maio a quelli di Virginia Raggi.

Resta ora da capire cosa intender fare l'opposizione, che appare già divisa sull'atteggiamento da tenere nei confronti di Mario Draghi e del mandato che gli è stato affidato dal presidente Mattarella. Appena pochi istanti prima che il presidente della repubblica si presentasse davanti alle telecamere per spiegare i perché delle sue decisioni, Matteo Salvini lo aveva sollecitato a sciogliere le Camere, come fa da tempo, usando le stesse formule per spiegare che bisogna ridare al popolo il diritto di esprimersi. Ma le parole di Renzi, che ripetono costantemente lo stesso copione, ora devono tradursi in qualcos'altro, perché, lui che si dice martire per avere difeso i sacri confini del Paese dall'orda di clandestini portatori di crimini e malattie, dovrà eventualmente spiegare il perché di un "no" a Mattarella, che si appellato al buonsenso dei politici di casa nostra, chiedendo loro di appoggiare "l'esecutivo di alto profilo" che la situazione impone. Comunque, a dispetto del prestigio di Mario Draghi, la sua missione non si presenta affatto facile, anche perché il suo esecutivo resterebbe condizionato dall'appoggio di partiti che, a parole, lo coprono di elogi, ma che, nel chiuso dei loro conciliabili, lo temono. Perché se facesse veramente un buon lavoro, chi avrebbe il coraggio di non votarlo?
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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