Corea del Sud, svolta a metà
- di: Barbara Leone
Meglio tardi che mai. E’ la prima cosa che mi viene in mente leggendo una notizia che arriva dalla Corea del Sud, dove finalmente il Parlamento ha approvato una legge che vieta l’allevamento e il macello di cani destinati a il consumo alimentare. Idem per il commercio della loro carne. Divieto che sarà preceduto da un periodo di transizione che durerà, ahimè, ben tre anni per entrare poi pienamente in vigore nel 2027. Una decisione che era nell’aria, un po’ perché negli anni le proteste delle organizzazioni animaliste internazionali si son fatte, specie dopo la pandemia, sempre più incalzanti ed incisive. Un po’, e forse è la ragione principale, perché nel Paese il consumo di carne di cane è sempre meno frequente. Specie tra i giovani che, vivaddio, cominciano a ritenerla un’abitutine desueta e crudele. Una svolta, dunque, non solo culturale. Ma anche generazionale, stando ai commenti raccolti dalla Bbc tra i coreani. E così, per esempio, Kim Seon-ho, 86 anni, dice: “Mangiamo carne di cane fin dal Medioevo. Perché impedirci di mangiare il nostro cibo tradizionale? Se si vieta la carne di cane, si dovrebbe vietare anche la carne di manzo”. Diametralmente opposta è la visione di Lee Chae-yeon, uno studente di 22 anni: “Oggi tantissime persone hanno un animale domestico. I cani sono come membri della famiglia e non è certo bello mangiare la nostra famiglia”. I dati parlano chiaro, visto che nel 2022 una famiglia sudcoreana su quattro possedeva un cane mentre nel 2010 la percentuale era di appena il 16%. Ed ancora: secondo un sondaggio pubblicato da Animal Welfare Awareness, Research and Education, un think tank con sede a Seul, oltre il 94% degli intervistati ha affermato di non aver mangiato carne di cane nell’ultimo anno e circa il 93% ha affermato che non lo avrebbe fatto in futuro.
Corea del Sud, svolta a metà
Un insieme di fattori, dunque, complice anche l’amore per gli animali del presidente Yoon Suk Yeol e della "first lady" Kim Keon Hee che spesso e volentieri si fanno ritrarre in compagni dei loro cani. Il risultato è quella che molti animalisti hanno subito e con esultanza definito una rivoluzione. Il che da una parte è anche vero. Ma attenzione: Perché ad essere vietati, e punibili anche col carcere (fino a tre anni) o con una multa di 30 milioni di won (circa 23.000 dollari), saranno l’allevamento, la vendita e la macellazione dei cani. Non il consumo in sé. La differenza è sostanziale, e non solo formale. Quindi liberi, teoricamente, di uccidere cani per uso proprio. Senza contare che con ogni probabilità, e c’è da giurarci che accadrà, si moltiplicheranno gli allevamenti casalinghi dei più duri e puri. O, molto più semplicemente, si porterà dalla vicina Cina la “materia prima” per preparare la famosa Bosintang, la tradizionale zuppa coreana a base di carne di cane.
Una svolta a metà, insomma, che salva in qualche modo capre e cavoli. Nella fattispecie i cani no. Non fino in fondo. Senza contare, ma questo è un personalissimo pensiero, la contraddizione di fondo. Perché noi che, giustamente per carità, inorridiamo davanti a tale abominio siamo gli stessi che permettiamo la caccia, l’olocausto degli agnelli a Pasqua, gli allevamenti intensivi dei polli e la truce macellazione di cavalli, mucche, pecore e maiali in questo caso con tanto di sangue che sgorga dalla bocca perché così, dicono i maledetti contadini che ancora lo fanno (eccome se lo fanno specialmente nel Sud!), la carne è più buona. E magari ci fanno pure il sanguinaccio. E vogliamo parlare dei cugini francesi che torturano le oche per fare il prezioso foie gras? E l’haggis, il piatto nazionale scozzese fatto con interiora di pecora insaccate in un budello, dove lo mettiamo? Insomma, tutti felici e contenti per la decisione coreana. Un po’ meno per la doppia morale. Perché la morte è morte. Si chiami Fido, Gatto Silvestro, Peppa Pig, Bambi o la Mucca Clarabella. L’orrore non conosce confini geografici. E nemmeno di specie.