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Consiglio Ue sul commercio, l’Europa affronta il doppio fronte: dazi Usa e dipendenze dalla Cina

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Consiglio Ue sul commercio, l’Europa affronta il doppio fronte: dazi Usa e dipendenze dalla Cina

A Bruxelles si apre oggi un Consiglio Ue sul Commercio che somiglia più a un check-up dell’intera strategia economica europea che a un semplice incontro tecnico. Attorno al tavolo i ministri dei Ventisette, affiancati per un momento cruciale dal segretario al Commercio degli Stati Uniti, Howard Lutnick, e dal rappresentante Usa Jamieson Greer.

Consiglio Ue sul commercio, l’Europa affronta il doppio fronte: dazi Usa e dipendenze dalla Cina

Il clima è quello delle grandi vigilie: la sensazione diffusa è che non si tratti solo di aggiustare tariffe o aggiornare procedure, ma di capire se l’Europa può ancora dire qualcosa in un mondo dove il commercio è tornato arma geopolitica.

Il dossier più urgente è il rapporto con gli Stati Uniti. Da mesi Bruxelles osserva la progressiva espansione dei dazi americani in settori chiave per l’export europeo: macchinari, auto, tecnologie verdi. Le industrie europee, già provate da costi energetici più alti rispetto ai concorrenti internazionali, imputano a quelle tariffe parte della frenata registrata nel terzo trimestre dell’anno. Nel gioco delle responsabilità, Washington rivendica tutto come misura di sicurezza economica, mentre l’Europa teme di perdere competitività proprio nel momento in cui tenta di resistere all’ondata globale della recessione manifatturiera.

Il dilemma cinese e la partita delle terre rare
Il secondo fronte, molto più silenzioso ma più profondo, si chiama Cina. Sul tavolo del Consiglio arriva l’annuncio – poi “congelato” – dei nuovi controlli sulle esportazioni di terre rare, un messaggio chiaro nel linguaggio diplomatico: Pechino può stringere o allentare i rubinetti quando vuole.
L’Europa lo sa bene: oltre il 90% delle terre rare necessarie alla sua transizione verde e digitale arriva proprio dalla Cina. Batterie, turbine, magneti permanenti, microchip: è un’intera architettura industriale che rischia di oscillare ogni volta che Pechino muove una leva regolatoria.

Il problema non è solo economico: è la sensazione di vulnerabilità strategica. E il timore che la Cina possa usare queste leve nello stesso modo in cui altri hanno usato il gas o i semiconduttori. Bruxelles insiste sulla diversificazione e sul riciclo, ma le filiere richiedono anni e capitali: intanto l’Europa continua a dipendere.

FOCUS – La guerra invisibile delle terre rare
Chi controlla le terre rare controlla la tecnologia. La frase circola da anni tra analisti e ministri dell’Industria, ma oggi prende un significato più concreto. Le terre rare sono materiali essenziali per la produzione di batterie, smartphone, aerei, auto elettriche, sistemi radar. Un universo di applicazioni che va dalla vita quotidiana alla difesa.
Nonostante il nome, non sono materiali particolarmente rari: il problema è estrarle e raffinarle. La Cina, negli anni Novanta e Duemila, ha investito miliardi per diventare leader mondiale e oggi controlla non solo i siti estrattivi, ma soprattutto la raffinazione, il vero passaggio decisivo della catena del valore.

L’Europa ha miniere in Paesi come Svezia e Italia, ha tecnologie di riciclo e ha progetti industriali che potrebbero renderla più autonoma. Ma tutto è ancora in fase embrionale. Mentre Pechino, con un semplice atto regolatorio, può rallentare interi comparti europei.
Il Consiglio Ue discuterà come rendersi meno dipendente, ma il tempo gioca a favore di chi è già leader. È la vera partita strategica dei prossimi vent’anni.

Negoziati aperti: l’India come banco di prova
Oltre ai dossier Stati Uniti e Cina, i ministri affronteranno il mosaico degli accordi bilaterali. Da un lato ci sono le intese già negoziate ma ferme in attesa di ratifica, un labirinto procedurale tipicamente europeo. Dall’altro ci sono i negoziati ancora in corso, fra cui quello con l’India, che rappresenta il più grande mercato potenziale disponibile per Bruxelles.
L’India attrae per dimensioni e stabilità, ma resta complessa nelle regole digitali, nelle tariffe sui servizi e nella protezione della proprietà intellettuale. Il Consiglio cercherà di capire se esistano margini per accelerare o se l’accordo rischia di diventare un nuovo dossier infinito.

Russia e Bielorussia, la pressione dei Paesi del Nord
A rendere il tutto più intricato c’è il fronte orientale. Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia e Svezia chiederanno di valutare nuovi dazi contro Russia e Bielorussia. Temono che beni legati alla filiera militare russa continuino a entrare nel mercato europeo tramite triangolazioni.
È una richiesta che divide: la linea dura è sostenuta dai Paesi che confinano con Mosca e Minsk, mentre altre capitali temono contraccolpi sulle proprie catene di fornitura. Ma la discussione è inevitabile, perché riguarda direttamente la capacità dell’Europa di difendere la propria economia mentre resta impegnata nel sostegno all’Ucraina.

Un’Europa che deve decidere chi vuole essere

Il Consiglio sul Commercio non cambierà da solo la geopolitica europea. Ma segna un punto di svolta: da una parte i dazi americani che mordono le esportazioni, dall’altra una Cina capace di condizionare l’intera transizione europea con un decreto sulle terre rare. In mezzo, i dossier aperti con India, i dubbi sul fronte russo-bielorusso, le incertezze delle imprese.

La vera domanda aleggia sopra Bruxelles: l’Europa vuole essere giocatore o campo di gioco?

Oggi il confronto si apre, e la risposta – politica, economica e strategica – è attesa da un continente che sente la sabbia scivolare sotto i piedi.

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