L’economia tedesca, un tempo motore dell’Europa, sta vivendo una fase prolungata di stagnazione, con ricadute significative su tutta l’Unione Europea e in particolare sull’Italia, che vede nel mercato tedesco il principale sbocco delle proprie esportazioni. Dal 2019 ad oggi, la Germania ha subito una crescita economica anemica, aggravata da una serie di eventi globali e interni che ne hanno compromesso la capacità di ripresa.
Tra il 2019 e il 2023, la crescita del PIL tedesco è stata tra le più basse dell’intera Unione Europea, superando solo quella della Finlandia, con un incremento complessivo di appena mezzo punto percentuale. Questo dato appare particolarmente critico se confrontato con il +5,1% registrato dagli altri 26 paesi dell’Unione nello stesso periodo. Il rallentamento della Germania, che nel 2020 ha consolidato la sua posizione di leadership economica dopo la Brexit, rappresenta oggi una delle principali incognite per la stabilità economica europea.
I fattori della crisi: investimenti e shock energetico
Le cause di questo rallentamento sono molteplici e strutturali. A livello interno, la Germania soffre di una scarsa accumulazione di capitale sia privato che pubblico, che ha avuto un impatto negativo sui processi di innovazione e sulla cosiddetta “twin transition” digitale e green. Questa debolezza ha colpito l’efficienza della Pubblica amministrazione e il sistema infrastrutturale del Paese, determinando un gap rispetto alla media europea. Basti pensare che, secondo le previsioni della Commissione europea, nel 2024 la quota di investimenti pubblici sul PIL in Germania sarà del 2,8%, quasi un punto sotto la media dell’UE (3,6%).
Il quadro si è ulteriormente deteriorato con lo shock energetico derivante dall’invasione russa dell’Ucraina. L’elevata dipendenza della Germania dal gas russo ha esacerbato le difficoltà energetiche, mentre la crisi della supply chain globale e il rallentamento dell’economia cinese, mercato cruciale per le esportazioni tedesche, hanno ulteriormente indebolito la crescita.
Crisi dell’auto e transizione elettrica
Uno dei settori più colpiti dalla crisi è quello automobilistico, storicamente il pilastro della manifattura tedesca. Con il 15,4% del valore della produzione manifatturiera tedesca, l’industria dell’auto rappresenta un asset strategico per l’economia del Paese. Tuttavia, la transizione alla mobilità elettrica, promossa dal Green Deal europeo, ha messo sotto pressione l’intero settore. Tra il 2019 e il 2023, la produzione di auto in Germania è crollata del 12%, in un contesto europeo già in calo del 10,6%. Questo declino si aggiunge alla contrazione del 9,8% registrata nel quinquennio precedente (2015-2019), evidenziando una crisi di lungo periodo.
La Germania in recessione nel 2024
Il Governo tedesco, nelle previsioni pubblicate lo scorso 9 ottobre, ha confermato che anche nel 2024 il Paese rimarrà in recessione, con un calo previsto del PIL dello 0,2%, dopo la flessione dello 0,3% già registrata nel 2023. Solo nel 2025 si intravede una timida ripresa, con una crescita stimata dell’1,1%. Tuttavia, i segnali di debolezza restano numerosi: la produzione manifatturiera è calata del 5,2% nei primi sette mesi del 2024, facendo peggio della media europea (-3,4%), e la domanda estera non sembra in grado di risollevare le sorti del settore industriale.
Le conseguenze per il made in Italy: 12 milioni di perdite al giorno
La stagnazione tedesca ha un impatto diretto sul sistema economico italiano. La Germania rappresenta il primo mercato di sbocco per le esportazioni italiane, con un valore complessivo di 72,2 miliardi di euro nel 2024 (ultimi 12 mesi a luglio). Tuttavia, nei primi sette mesi dell’anno, le esportazioni italiane verso la Germania sono scese del 5,4%, mentre le vendite italiane nel resto del mondo sono aumentate dello 0,8%. Questo si traduce in una perdita media di 12 milioni di euro al giorno per le imprese italiane.
I settori più colpiti sono quelli dei mezzi di trasporto (-18,5%), metallurgia e metalli (-13,7%), moda (-6,2%) e macchinari (-4,4%). In controtendenza, però, si registrano aumenti nelle esportazioni di chimica (+2,5%), alimentari e bevande (+4,3%) e farmaceutica (+12,3%).
Le aree italiane più esposte alla crisi tedesca
La crisi della domanda tedesca si riflette anche a livello regionale. Tra le aree più colpite si segnalano l’Abruzzo (-14,0%), il Piemonte (-11,4%), il Friuli-Venezia Giulia (-10,5%) e il Veneto (-9,3%), mentre si osserva una crescita delle esportazioni in Trentino-Alto Adige (+9,1%) e Toscana (+7,0%).
A livello provinciale, i cali più significativi delle esportazioni verso la Germania si registrano a Torino (-22,2%), Brescia (-15,3%) e Roma (-15,0%), mentre province come Bolzano (+13,9%) e Firenze (+21,8%) evidenziano una netta crescita.
Con una stretta monetaria storica e una politica fiscale tedesca eccessivamente prudente, le prospettive di una ripresa rapida dell’economia tedesca appaiono limitate. Questo scenario incide fortemente anche sull’Italia, che dovrà affrontare la sfida di diversificare i mercati di sbocco per mitigare l’impatto della crisi del suo principale partner commerciale.