Arrivano i cinesi, ma a Stellantis non va bene e fa la voce grossa
- di: Redazione
Si dice che ciascuno a casa sua può fare quel che gli pare, non dovendo dare conto a nessuno.
Una regola aurea che, se fosse rispettata sempre e da tutti, eviterebbe un sacco di problemi a questa disgraziata umanità. Forse questo concetto, anche abbastanza essenziale e che non ha bisogno di orpelli filosofici, non va proprio giù a Stellantis, che, avendo la Fiat come una delle tre gambe dell'accordo che ne ha sancito la nascita, pensa di potere fare il bello e il cattivo tempo in Italia. Il Paese in cui, fino a poco tempo fa, la Fiat era talmente influente da piegare, alle sue strategie industriali, le scelte dei governi.
Arrivano i cinesi, ma a Stellantis non va bene e fa la voce grossa
Ma il tempo passa, certe sudditanze, psicologiche o meno, si stemperano per lasciare posto ad altre logiche.
Ma pare oggi strano che Stellantis tenga il broncio (e lo faccia vedere) al governo italiano ritenendo che l'arrivo, nel Paese, di un produttore cinese di auto sia una vera e propria offesa, più che un semplice sgarbo.
Non sappiamo come Stellantis abbia manifestato la sua contrarietà a questa ipotesi, ma se l'ha fatto veramente forse dovrebbe leggere testi di storia, dai quali apprendere che la servitù della gleba in Italia, giù a partire dalla seconda metà del 1200, non esiste più e quindi certe strani pensieri non dovrebbero nemmeno sfiorare i cervelli della casa automobilistica franco-italo-americana.
Così non è, perché la notizia che le trattative tra il governo (attraverso l'unità di attrazione degli investimenti esteri del Ministero delle imprese e del Made in Italy) e un produttore cinese, Dongfeng Motors (nell'élite delle case automobilistiche del Dragone), per favorirne l'approdo in Italia marcino speditamente parrebbe essere stata maldigerita da Stellantis. Perché, se il progetto dovesse andare a buon fine, l'Italia comincerebbe ad affrancarsi al legame storico con il marchio di Torino - Fiat - con il quale l'industria automobilistica nostrana si è sempre identificata. Una immagine che, appannatasi parecchio nel corso degli ultimi anni, subirebbe un duro colpo non potendosi presentare come l'unica realtà degna di tale nome del settore in Italia.
Lo stabilimento di Dongfeng avrebbe anche un altro atout che lo rende appetibile nell'ambito di un progetto complessivo perché sarebbe la testa di ponte del produttore cinese per tutto l'Europa, peraltro attraversata da impetuosi venti protezionistici. Stabilimento che vedrebbe il coinvolgimento delle aziende della componentistica, che da sempre sono uno dei fiori all'occhiello dell'industria del Paese e che sarebbero disponibilissime ad accettare nuove commesse. Che significano anche posti di lavoro salvati.
L'operazione sta avendo come regista il ministro Urso che ha incontrato i vertici di Dongfeng nel corso di una visita in Cina. Una ''alleanza'' che potrebbe essere rafforzata anche dall'ingresso del governo nella futura società, con una partecipazione di minoranza. Ipotesi che, se trovasse conferma, andrebbe ulteriormente per traverso a chi pensa ancora all'Italia come un disegnino sulla tavola del Risiko dove mandare carrarmati e piantare bandierine.
Ma stiamo parlando del futuro di medio-termine quando il domani del settore automobilistico resta in bilico, dal momento che la trattativa tra Stellantis e il Governo resta in bilico. Una situazione delicata in cui il produttore sta forse cercando di conquistare una rendita di posizione, annunciando la decisione di cedere la quota di maggioranza di Comau a Usa One Equity Partners, fondo statunitense che gestisce una decina di miliardi di dollari di asset, guardando soprattutto ai settori industriale e tecnologico.
Una notizia che ha provocato l'immediata reazione dei sindacati che parlano di Comau come di ''un gioiello di tecnologia per l’imprenditoria italiana che va messo in sicurezza con un ruolo attivo del governo''.
Parliamo comunque sempre di un annuncio, che potrebbe essere neutralizzato attivando il golden power e, in ogni caso, lasciandosi aperta la possibilità di rendere la procedura complicata, rallentandola terribilmente. E ancora non ha imboccato l'ultimo miglio la questione dei tempi di avvio della realizzazione della gigafactory di Termoli, di cui ancora resta incerto se il finanziamento ricade nei finanziamenti previsti dal Pnrr oppure toccherà al governo trovare i 400 milioni di contributo a fronte di un investimento complessivo di un miliardo e 200 milioni di euro.