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Bonus Sport 2025, la fotografia di un Paese diviso tra welfare e mercato

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Bonus Sport 2025, la fotografia di un Paese diviso tra welfare e mercato

Da ieri, lunedì 29 settembre, è partita la possibilità di presentare le domande per il Bonus Sport 2025. Un appuntamento amministrativo che in realtà riflette una questione più ampia: il ruolo delle politiche pubbliche nel sostenere l’accesso allo sport, soprattutto per le famiglie con redditi bassi.

Bonus Sport 2025, la fotografia di un Paese diviso tra welfare e mercato

Il provvedimento, nato per favorire la pratica sportiva tra i più giovani, mette in luce un problema strutturale: lo sport in Italia rischia di diventare un bene di lusso. Negli ultimi anni il settore dilettantistico e di base ha subito un forte contraccolpo: la pandemia, l’inflazione, il caro-energia e l’aumento degli affitti hanno pesato sulle famiglie, molte delle quali hanno ridotto o interrotto la partecipazione dei figli ad attività sportive.

Un indicatore delle fragilità sociali

Il Bonus Sport agisce come un termometro del disagio. La sua necessità dimostra che l’accesso a corsi, allenamenti e palestre non è più garantito a tutti. In un Paese che storicamente ha considerato lo sport un mezzo di inclusione e mobilità sociale, il ritorno a forme di sussidio pubblico segnala che la forbice tra chi può permettersi l’attività sportiva e chi no si è ampliata.

Questo incentivo non ha dunque solo un valore assistenziale ma rappresenta anche un sostegno indiretto a un intero comparto economico, fatto di associazioni dilettantistiche, piccole società, istruttori, allenatori e gestori di impianti. Un mondo che, oltre a promuovere salute e coesione, genera occupazione e indotto locale, ma che oggi fatica a reggere senza interventi pubblici.

Una leva di welfare e un investimento economico
Sostenere lo sport di base significa prevenire problemi di salute, ridurre costi futuri per il Servizio sanitario nazionale e contrastare fenomeni come la dispersione scolastica e l’esclusione sociale. Il Bonus Sport può essere letto anche come una misura di politica economica: contribuisce a mantenere viva la domanda interna in un settore che vale miliardi di euro e che negli ultimi anni ha sofferto un calo di iscrizioni e di ricavi.

Tuttavia, il provvedimento mette a nudo anche i limiti del welfare italiano, spesso frammentato e dipendente da fondi a breve termine. La domanda da porsi è se iniziative come questa, utili per alleviare le difficoltà contingenti, siano in grado di produrre effetti strutturali o se servano solo a tamponare emergenze sociali senza modificare le condizioni di fondo.

Un banco di prova per le politiche pubbliche
L’apertura delle domande per il Bonus Sport 2025 è dunque un banco di prova per le politiche di inclusione sociale e per la capacità dello Stato di investire nel capitale umano. Non si tratta solo di erogare un sussidio, ma di capire se il Paese riesce a considerare l’accesso allo sport come un diritto e non come un privilegio.

In un’Italia alle prese con la crescita diseguale dei redditi e con il rischio di nuove esclusioni, il bonus diventa il simbolo di un modello di welfare che prova a coniugare sostegno alle famiglie e rilancio di un settore economico essenziale, chiamato a trasformarsi in chiave inclusiva e sostenibile.

Così, dietro la scadenza amministrativa del 29 settembre si nasconde un nodo politico ed economico cruciale: come garantire pari opportunità di accesso allo sport e rafforzare al tempo stesso un comparto che produce lavoro, salute e integrazione sociale, ma che oggi senza aiuti pubblici rischia di restare appannaggio di pochi.

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