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Il ragazzino stragista di Belgrado non merita la pietà che la sua età reclama

- di: Bianca Balvani
 
Kosta Kecmanovic: ricordiamoci di questo nome. E' quello del ragazzino che, a Belgrado, è entrato nella sua scuola, come faceva ogni mattina, ma senza libri o telefonino, ma con due fucili e quattro bottiglie incendiarie. Il resto credo lo sappiano tutti, perché si è lasciato dietro una scia di morti, soprattutto suoi compagni di scuola, compresa la ragazzina per la quale aveva perso la testa, senza che questo lo convincesse a non ammazzarla, come gli altri e come il bidello, l'uomo sbagliato al posto sbagliato.

Il ragazzino stragista di Belgrado non merita la pietà che la sua età reclama

Potremmo ridurre tutto ad un semplice, seppure orribile, fatto di cronaca, come quelli che accadono negli Stati Uniti e ai quali abbiamo fatto quasi l'abitudine, se quanto accaduto a Belgrado non fosse una somma di fattori che, da soli, dovrebbero fare inorridire anche i ''buonisti per principio''. Il primo è che, grazie alla legge serba, Kosta - di cui certo non si è tutelata l'età, essendo stato il suo nome reso noto immediatamente dai media del Paese, rimbalzando in tutto il mondo - non sarà giudicato da un tribunale e per questo, visto quello che ha fatto, è stato subito rinchiuso in un manicomio.
E allora, vi chiederete (come ce lo siamo chiesti anche noi)? Allora c'è che il piccolo, ineffabile, ma furbo Kosta ha firmato il suo massacro appena pochi giorni prima di compiere quattordici anni, la fatidica soglia per potere comparire davanti ad un tribunale.

Una coincidenza? Un caso? Una sua dimenticanza? Abbiamo smesso da tempo di credere alle fiabe e questa ''favoletta'' che un massacro così pianificato, in ogni sua possibile piega, non sia stato attuando giusto in tempo per non pagarne le conseguenze penali ci sembra una fesseria.
Lui, il piccolo massacratore di bambini, non solo ha studiato al millimetro cosa fare, una volta entrato nella scuola (gli è stata trovata in tasca una mappa, con il tragitto da seguire per raggiungere le aule dove c'erano le piccole vittime), quanto si stava preparando da tempo a quella che nella sua mente bacata è forse sembrata una impresa oppure, come stanno dicendo coloro che ne accreditano la pazzia, la giusta risposta al bullismo di cui era fatto oggetto da parte dei suoi compagni, sia quelli attuali che quelli della scuola da cui era andato via per questo motivo.

Ma, anche se questa storia del bullismo fosse vera fino in fondo (e quindi non avesse germinato in una mente che certo sana non è), resta difficile da trovare anche uno straccio di giustificazione a quanto Kosta ha fatto, allo spaventoso dolore che le sue azioni - con il compiaciuto orgoglio del padre, stimato radiologo, che lo portava al poligono ad esercitarsi al tiro, beandosi dei bersagli che centrava con sbalorditiva precisione - hanno causato nella famiglie dei morti e dei feriti del suo folle raid.
Davanti a questa tragedia non possiamo, ci spiace dirlo, essere ''buoni'', non possiamo pensare che la giovane età e i (presunti) atti di bullismo di cui Kosta era oggetto ne possano attenuare o addirittura cancellare le colpe.

Tutto, nel suo agir (dalla freddezza con cui ha sparato, ricaricato e sparato ancora al fatto che, dopo la carneficina, ha aspettato la polizia seduto nel cortile, tranquillo come se fosse in attesa di sentire la campanella di fine lezioni), prefigura una premeditazione che incute terrore.
Quale che sia la sua sorte, Kosta non cancellerà mai il sospetto che abbia programmato tutto, sapendo che la sua età lo mette al riparo da ulteriori conseguenze.
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